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mercoledì 27 giugno 2012

LE TORRI GEMELLE DI LECCE A BELLOLUOGO

Damigelle e nobiluomini, duelli al chiaro di luna e feste danzanti. Come doveva essere Torre del Parco di Belloluogo, nel periodo del suo splendore, sotto Maria D'Enghien? La storia ufficiale attribuisce al XIV secolo la costruzione di quella che inizialmente era una torretta militare di avvistamento e che solo successivamente venne trasformata in una vera e propria residenza estiva. Ma esistono fondati "sospetti" che la data possa spostarsi indietro nel tempo fino addirittura al mille e cento.
Ci vuole uno sforzo notevole per immaginare scene di vita di corte in quell'antico maniero che oggi è preda di ripetuti atti di vandalismo, nonostante sia "ingabbiato" in un cantiere i cui lavori si protraggono da anni - in irtardo sulla prevista consegna - senza lasciar intravedere una conclusione. Il ritardo e l'abbandono dell'antica torre sono stati oggetto di ripetute segnalazioni all'amministrazione comunale, pur impegnata in una lenta riqualificazione di un'area di cui doveva essere il cuore pulsante e nella quale invece, rischia di rimanere una mal tollerata appendice. Come è parsa del resto alla giovane coppia di turisti francesi che, racconta Beniamino Piemontese, è arrivata sul posto dopo una lunga passeggiata chiedendo proprio a lui se fosse quella la torre di cui avevano letto tanto.
Beniamino Piemontese - nel raccontare la scena - è mortificato. E non può essere diversamente per chi si batte, con dispendio di risorse e di tempo, per la salvaguardia di una delle vestigia più affascinanti di un'epoca che non è quella barocca e che, forse proprio per quello, viene percepita come avulsa in una città che di Santa Croce ha fatto il suo marchio di fabbrica, insieme al pasticciotto. Torre del Parco (viale Don Minzoni), Torre del Parco di Belloluogo - le torri gemelle di Lecce, ora separate da un destino che le ha consegnate l'una nelle mani del privato, l'altra in quelle del pubblico -, chiesa di Santo Stefano a Soleto, la Basilica di Santa Caterina a Galatina. I punti cardinali di un'epoca che nel Salento è stata fiorente, con pochi paragoni nell'Italia meridionale.
Ma al Salento interessa questo nobile retaggio, questo tassello ulteriore nel mosaico della sua storia millenaria? Ci aveva visto giusto l'allora sindaco Stefano Salvemini, quando, nel 1994, all'ombra di un fico che l'associazione ha supplicato di non toccare, ammonì i presenti sull'indifferenza generale suggerendo di inserire il recupero della torre, obiettivo dei volontari e degli altri firmatari della relativa campagna di sensibilizzazione, nel contesto di un'area a verde che fosse quotidianamente fruibile da cittadini e turisti.
Qual è insomma il rapporto tra il Salento e il suo passato, al di là delle parole d'ordine a uso e consumo del marketing territoriale? Piemontese teme che un ulteriore ritardo nei lavori faccia metaforicamente sprofondare la torre nelle sabbie mobili dell'oblio, questa volta definitivo. "Ci vuole impegno, ci vuole amore", va ripetendo. Nel 1993, quando è iniziata la faticosa operazione di restauro, il complesso monumentale era squarciato in due, come ferito da un fulmine di acciaio. Ora è integro nell'aspetto esteriore, ma sofferente in più punti: scorrerie facilmente realizzabili con incursioni nottetempo non risparmiano nemmeno la straordinaria cappella gentilizia e i piantonamenti volontari non bastano, così come non servono a molto i pur cortesi scambi di missive tra associazione e uffici del Comune.
Il riconfermato sindaco, Paolo Perrone, forte dell'ampiezza del mandato ricevuto, è chiamato ad attivarsi per imprimere ai lavori quell'accelerazione verso il traguardo finale, fin troppo sospirato, ben oltre la burocrazia spesso resistente di taluni livelli intermedi. In fondo qui nessuno vuole farne profitto o restaurarsi casa con i soldi pubblici, ma semplicemente offrire alla città e al suo bagaglio paesaggistico e monumentale un elemento ulteriore di valorizzazione. Lecce è un polo museale diffuso, ma in pochi ne hanno consapevolezza. In altre parti di Italia ci avrebbero ricavato già milioni di euro dalla tasche dei turisti ben contenti di pagarli. Così si potrebbero riparare almeno quei vetri ridotti in frantumi.

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