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venerdì 13 settembre 2013

L'ABUSO REALE A CATANZARO CONTRO I CAVALIERI GEROSOLIMITANI: L'INVADENZA SETTECENTESCA IN UN'ISTITUZIONE SOVRANA

Si sa come a Catanzaro esista la Reale Arciconfraternita dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista detta “dei Cavalieri di Malta ad honorem”. Un titolo che ricorda una dignità cavalleresca solo nominale ma che si ritiene spetti ai confratelli con il semplice atto della loro ammissione nella pia Associazione. Un titolo originale e discusso e che, nonostante il nome, niente ha a che vedere con l’Ordine cavalleresco ma che risale a una concessione sovrana borbonica, e che per questo motivo è stato per secoli pacificamente usato ai tempi della vecchia Dinastia e perpetuato dopo la sua caduta. L’aggiunta della  intitolazione nel nome del Sodalizio fu indubbiamente fu concessa dal Re di Napoli Carlo III il 28 novembre 1735, nel corso di una sua visita nella città calabra. Il Sovrano, in quella occasione, insieme a un onore che ricordava molto da vicino una designazione cavalleresca, riconfermò anche i diritti feudali goduti dalll’Ente sulla locale fiera di S.Giovanni Decollato che si svolgeva il 29 agosto . Il Diritto del Sovrano alla prima concessione traeva origine dalla sovranità che la Spagna aveva goduto sulle Isole maltesi e che il Re pensava di aver ereditato una volta conseguite le Corone spagnola e napoletana. 
Era consuetudine di molte Famiglie reali continuare a rivendicare Troni che antichissimi antenati avevano occupato, a inquartare le proprie armi con quelle dei territori di cui si pretendeva la sovranità, portare nelle designazioni ufficiali i titoli di Nazioni dove loro e i loro padri e nonni a volte non avevano mai messo piede. Pensiamo ai Re d’Inghilterra che si intitolarono Re di Francia anche dopo che nessuna città era rimasta loro sul Continente. Ai Duchi di Savoia che rivendicarono i titoli di Re di Gerusalemme, Cipro e Armenia (ancor oggi fra quelli che vengono attribuiti al Capo della Casa). Al Granduca di Toscana che rivendicava il Trono di Gerusalemme come Signore di Pisa cui era spettata una parte della Città. Al Doge di Venezia che aspirava allo stesso titolo quale erede dell’ultima Regina di Cipro Caterina di Lusignano. Ai Re di Sicilia che lo pretendevano come successori degli Angioini, avendo Carlo d’Angiò acquistato i diritti al Trono dall’ultima Sovrana Maria d’Antiochia . Titoli, è giusto precisare, del tutto cartacei, dal momento che altre Potenze avevano già occupato da secoli Cipro o Gerusalemme quando i Savoia o i Medici decisero di pretendere ufficialmente a questi Troni senza che nessuno li prendesse sul serio. Le pretese del Duca di Savoia alla Corona reale di Cipro furono anzi accolte con ironia in Europa, e il cardinale di Richelieu commentò che avendo il Duca accresciuto il suo Stato (alludeva alla perdita di Pinerolo), aveva diritto anche ad accrescere il suo titolo . Malta, dunque, pur essendo stabilmente passata ai Cavalieri gerosolimitani, secondo il Sovrano di Napoli apparteneva ancora giuridicamente al suo patrimonio, e l’atto della concessione del titolo alla Confraternita calabrese simboleggiava la volontà di sostenere una simile pretesa di fronte all’opinione pubblica internazionale. 
La pretesa nasce dunque dall’ipotesi secondo cui il Re Carlo III avrebbe conferito alla Confraternita calabrese la possibilità di potersi fregiare delle decorazioni dell’Ordine di Malta in virtù della sovranità che egli deteneva sull’Isola, e al fatto che i Cavalieri stessi andavano perciò considerati suoi vassalli, avendola ricevuta in feudo da Carlo V. Ipotesi del tutto invalida, in quanto, sia pur nato come atto di concessione territoriale, non si deve dimenticare che l’Ordine veniva considerato un Ente internazionale, e che le condizioni previste al momento della consegna facevano invece già pensare ad una pratica cessione di un territorio che forse la Corona spagnola non avrebbe potuto continuare a mantenere. Ma in realtà su quali fondamenta si poggiavano i diritti di Carlo III? 
Quando si parla di feudalità, protettorato, sovranità, occorre fare grande attenzione a vocaboli che sembrano essere simili o correlati ma che, in realtà, vanno intesi e misurati con due elementi essenziali del Diritto Internazionale, ossia la effettività e il tempo. Il tempo, in primo luogo, costituisce un elemento imprescindibile per l’approfondimento di questa indagine, in quanto nella vita delle relazioni politiche ed internazionali, ogni atto giuridico va rapportato a quanto sia effettivamente in vigore o abbia validità in un determinato momento storico, senza che possano essere invocate in suo favore leggi o consuetudini di centinaia di anni prima. Consuetudini o convinzioni che si credono ancora in essere o che si pensa possano essere richiamate in esistenza ma senza alcun reale fondamento. Si pensi, ad esempio,  ad una persona che discende dal feudatario di un determinato territorio, il quale vive ancora su terreni che un tempo furono feudo della sua famiglia ma che ora possiede solo in quanto proprietario; egli oggi non potrà certo invocare i passati diritti per imporre a vicini o domestici le prerogative che un tempo su quel luogo spettavano ai suoi avi. I tempi sono mutati dal Settecento ad oggi; ed erano già mutati nel Settecento rispetto al Cinquecento. Ma questo riguarda solo una parte del problema in esame. Infatti per comprendere meglio il dato di fatto, è necessario scendere dettagliatamente nelle mutate condizioni  storiche e regolarsi sul vero significato delle istituzioni giuridiche.
Affermare che Malta era feudo della Spagna prima, durante e dopo il Regno della Casa di Borbone-Spagna e Due Sicilie, costituisce infatti una superficialità di gran conto. In realtà, i nostri antenati conoscevano le sostanziali differenze che intercorrono tra feudalità essenziale e feudalità nominale; tra alta ed effettiva sovranità; fra protettorato ed influenza. E tutti questi diversi status mutavano con il passare del tempo e il riadattarsi delle istituzioni ai nuovi modi di intendere la vita politica. E’ fuori discussione che sia Venezia che Amalfi, o meglio, Amalfi e il territorio su cui nacque Venezia, fossero posti sotto la sovranità dell’Impero bizantino. E tuttavia, nella città campana i rappresentanti legali di Costantinopoli non tardarono a conquistare una propria autonomia che nel giro di qualche secolo divenne completa, fino ad eliminare qualsiasi autorità esterna. I sovrani stranieri, gli stessi conquistatori, guardavano al Ducato marittimo come a un vero Stato ai cui affari interni l’Impero non aveva ormai in un primo tempo alcun interesse, quindi nessun legittimo diritto di interessarsi. Ancora più radicalmente, la soluzione veneta di una città nata sull’acqua, quasi estranea alla solidità di un dominio imperiale terrestre e lontano, rendeva rapidamente aleatorio il legame con Costantinopoli, di cui il nome del funzionario-doge rimaneva unico ricordo al di fuori delle notizie storiche. 
Qui entra in gioco il fenomeno della effettività. Nel momento in cui uno Stato non sia effettivamente in grado di garantire il suo potere su un territorio o parte di esso, e quel determinato territorio sia pacificamente sottoposto alle leggi e alla giurisdizione di un diverso potere, non è dubbio che siamo in presenza di una sovranità che non appartiene più al vecchio Stato dominante ma che è passata ad un nuovo ente che a sua volta si può senz’altro definire statale. Gli esempi di origine medievale sono estremamente numerosi, ed indicano chiaramente una trasmissione o attribuzione di potere che vengono trasferiti a soggetti idonei a rivestire questo ruolo, specialmente quando lo Stato ex-sovrano non abbia le possibilità o non voglia interessarsi direttamente alla conduzione degli affari del territorio già sottoposto alla sua giurisdizione.
Il più eclatante esempio è sicuramente il dominio del Regno di Sicilia; dominio che i Pontefici ritenevano di detenere e che tuttavia era sempre stato in mano a Sovrani temporali. E’ chiaro che non potendo i Papi esercitare realmente le prerogative temporali su un vastissimo territorio su cui non avevano mai avuto un effettivo dominio, preferivano vantarvi almeno la loro “alta sovranità”. Ossia dichiararsi sovrani dello Stato ma affidare ad altri la effettività della Corona. Così il potere lo avevano avuto i Normanni che in Sicilia avevano effettivamente strappato il potere ai Musulmani, poi gli Svevi per eredità dai Normanni, quindi gli Angioini, dopo che il Pontefice aveva dichiarato decaduta la Dinastia di Federico II, sostituendola con quella francese. In realtà, in quest’ultimo caso, il Papa esercitava un diritto che egli considerava proprio per diritto divino, e che se usava con la Sicilia ricordando la primitiva sovranità sull’Isola e sul Regno, in realtà si estendeva potenzialmente su tutto il mondo cattolico, ove si trovassero uomini e fazioni disposti a prenderne le parti dopo che avesse dichiarato decaduti i governanti non più devoti alle sue direttive. Insomma, per imporre la propria alta sovranità, oppure per imporre direttamente la propria sovranità, era anche necessario che il Pontefice potesse prendere effettivamente in mano la situazione, così come gli riuscì a Bologna o nel Montefeltro. A Napoli l’alta sovranità pontificia (contestata dottrinariamente agli inizi del Settecento da Pietro Giannone nella sua famosa Istoria civile del Regno di Napoli) non si sarebbe mai potuta affermare senza che si fossero prima affermate opportune contingenze politiche, come l’insoddisfazione della popolazione o l’appoggio di una Potenza straniera. E la situazione era ben tollerata dall’effettivo sovrano che ogni anno mandava al Pontefice due giumente bianche in segno di sottomissione. Si può affermare che la pace sociale costava poco, e che il gesto di devozione rimaneva semplicemente tale, senza che fosse messa in discussione la sovranità dinastica. 
Anche il Sacro Romano Impero aveva i suoi feudi nella Penisola italiana, e fino al Settecento non mancarono i casi in cui l’Imperatore riuscì a riprendere il controllo di alcuni territori che da secoli sembravano ormai divenuti Stati autonomi, come nel caso del Ducato di Guastalla. Ma si trattava di piccoli Stati, con limitate forze che non avrebbero mai potuto opporre una vera resistenza alle truppe imperiali; e che comunque furono in genere aggregati a più potenti vicini quali i Duchi di Mantova o di Modena. Con altre Entità ben più importanti come Firenze, il controllo imperiale venne imposto molto più prudentemente, tenendo presente sia la vastità territoriale e le sue potenzialità di resistenza militare; sia la capacità degli uomini di Stato che si trovavano a governarlo. Così nel caso del Duca Cosimo, cui questo controllo era stato assicurato  sotto forma di guarnigioni, di influenza politica e di matrimonio; ma che venne abilmente aggirato e sminuito, grazie a un graduale irrobustimento del potere ducale e amministrativo che riuscì a fare di Firenze un vero Stato indipendente, solo nominalmente vassallo o sotto l’alto potere dell’Imperatore. Cosimo, maestro nella pazienza e nella ricostituzione della vita finanziaria ed economica fiorentina, riuscì a far nominare un comandante filo-francese per le truppe del Ducato; quindi ad ottenere la riconsegna delle roccaforti di Firenze e di Livorno, già occupate dagli Spagnoli. E’ vero che la situazione internazionale era delicata per Carlo V e che la guerra contro la Francia e i Turchi necessitava di un’ampia pace sul fronte italiano oltre che un sostanzioso aiuto finanziario. Ma proprio quest’ultimo sostegno, garantito dalle rifiorite finanze ducali, contribuì a far compiere a Firenze l’ulteriore passo verso l’indipendenza di uno Stato “vassallo”, praticamente ottenuta con la riconsegna delle fortezze a Cosimo . 
Anche il Duca di Savoia era Alto Signore di Monaco. Ma si sa quanto il suo potere sia stato reale su un Ente già solidamente statale e in grado di muoversi fra le opposte alleanze con la Francia o con la Spagna, forte dell’importanza strategica della sua posizione e del possesso di una rocca che sembrava imprendibile. Pur di sventare il pericolo di attacchi alla Signoria da parte di coalizioni di temibili nemici, i sovrani monegaschi riuscivano in più occasioni a frantumare le alleanze e a soddisfare i più pericolosi aspiranti al dominio sulla rocca, offrendo una sorta di protettorato su una parte di territorio. In pratica, in  due occasioni i Duchi di Savoia erano riconosciuti alti signori di Mentone e Roccabruna: titolo quasi esclusivamente onorifico ma che garantiva i Monegaschi dal rischio di un’occupazione. I Savoia da rivali aggressivi qual erano, potevano dichiararsi soddisfatti, dal momento che a loro veniva garantita una sorta di sovranità che eliminava dalle contese altre Potenze. I Savoia avrebbero potuto inoltre accampare, come fecero fino all’Ottocento, diritti all’assorbimento delle città. E questo era tanto più importante se si pensa che ci si trovava in secoli lungo i quali era quasi indispensabile vantare titoli di sovranità quanto più “credibili” fosse possibile, prima di procedere alla pratica rivendicazione di un territorio. I Signori di Monaco, a conti fatti, preferirono pensare che era meglio rimanere sostanzialmente liberi nel presente e non preoccuparsi per la soluzione dei problemi futuri .
Con la consegna di Malta ai Cavalieri gerosolimitani da parte di Carlo V, in realtà non si verificò alcuna autentica costituzione di uno Stato vassallo. Stato vassallo o Stato “esiguo” , è infatti considerato dalla dottrina solo quello che soffre di incapacità giuridica. Per incapacità giuridica si considera l’occupazione di truppe straniere (come era avvenuto per Firenze), la soggezione a una legislazione straniera, l’impossibilità di difendersi . Questo non era il caso di Malta e dei Cavalieri. L’Imperatore, infatti, da precedente e riconosciuto signore dell’Isola, si trovava in un momento di estremo pericolo per i suoi Stati. La guerra contro i Turchi che avrebbe portato al disastro di Algeri, la difficoltà di garantire la difesa delle coste dagli attacchi imminenti della flotta ottomana, l’esercito del Re di Francia che erodeva i confini dell’Impero, costituivano difficoltà cui il pur potente Sovrano non riusciva a tener testa contemporaneamente. Ed ecco il motivo per cui Carlo V  preferisce consegnare Malta ai Cavalieri, affidando loro un territorio in costante pericolo ma che, in mano a un consolidato Ente cavalleresco e militare, avrebbe potuto resistere a un’offensiva nemica, senza che il Governo imperiale fosse costretto a distogliere forze rilevanti da altri fronti. In pratica, la sovranità effettiva su Malta passava ai Cavalieri senza che Carlo potesse e volesse essere più colui che la esercitava realmente. Secondo il Diritto Internazionale, nel momento in cui avviene la trasmissione dei poteri a un Ente in grado di reggersi autonomamente, si verifica la nascita di un nuovo Stato.
Il Diritto internazionale, infatti, nell’esaminare le condizioni di Stato vassallo, ricorda gli esempi classici in cui si necessita di truppe e funzionari stranieri per controllare in ogni modo il territorio. Così, anche se spesso sussistettero alcuni organismi locali come sovrani e ministri, nessun dubbio rimane che gli Stati vassalli o protetti non furono realmente Stati e quindi soggetti di Diritto Internazionale. Così non furono veri Stati la Tunisia, il Marocco, l’Annam e la Cambogia al tempo della protezione della Francia, il Marocco sotto la protezione della Spagna, Buchara sotto la protezione della Russia, Sarawak, Zanzibar, l’Egitto, il Transvaal e l’Orange quando vi esercitò a lungo il proprio controllo l’Inghilterra, la Corea al tempo del protettorato del Giappone. Il fatto che un Sovrano locale continui a godere alcune prerogative o che un alto Sovrano sia aleatoriamente il detentore di alcune prerogative, non ha alcun significato nel mondo del Diritto Internazionale. “La c.d. ‘legittimità costituzionale’ -commenta Rolando Quadri- non ha importanza, il potere di governo e la sua esclusività concernono l’ ‘effettività’ e non l’astratta legalità. La formazione di un nuovo Stato è un fatto, un dato ‘storico’ consistente nella formazione di una organizzazione sovrana indipendente”  . Il fatto che i Cavalieri gerosolimitani inviassero ogni anno un falcone al Re di Spagna, in simbolo di sottomissione feudale, ricordava solo la finzione medievale, simile a quella esercitata dai Sovrani di Sicilia su Tunisi: un atto giuridicamente irrilevante. La legittimità sovrana, anche plurisecolare, infatti, non costituisce assolutamente elemento di Diritto. Così, già ai tempi di Cromwell, la Francia riconobbe lo Stato repubblicano come riconoscimento di un fatto: l’esistenza di un Governo in grado di mantenere compatto il territorio e la capacità di esercitarvi incondizionatamente il suo imperio . Che in esilio vivesse un legittimo Sovrano inglese il quale aspirava al rientro in Patria, non costituiva un fatto di alcuna rilevanza per il mondo del Diritto. Lo stesso concetto venne invocato per il riconoscimento francese dell’indipendenza degli Stati Uniti nel 1779, delle colonie ex-spagnole da parte di Francia e Austria, della Unione Sovietica da parte dell’Inghilterra nel 1924. Al contrario, l’assalto turco del 1565, respinto grazie ai prodigi di valore dei Cavalieri e della popolazione maltese, e la vittoria salutata come declino dell’offensiva ottomana nel Mediterraneo, dimostravano che l’Isola costituiva un Ente sovrano perché in grado di difendersi con le proprie forze. Inoltre, i Cavalieri negoziavano per secoli autonomamente con le Potenze straniere, fino alla famosa missione diplomatica a San Pietroburgo di fine Settecento. Ulteriore dimostrazione che l’Ordine era da considerarsi soggetto di Diritto Internazionale.
Quando Carlo III compie il gesto con cui attribuisce una onorificenza alla Confraternita calabrese, in effetti compie un gesto giuridicamente irrilevante sotto due punti di vista. In primo luogo egli non ha alcun potere sull’Isola di Malta. Negli stessi anni, il Papa non conferiva alcun titolo sul Regno di Napoli, come l’Imperatore non concedeva feudi o onorificenze che si trovassero o fossero legati alla Toscana. Malta era uno Stato indipendente e ogni atto del Sovrano era equivalente a quello che avessero compiuto a riguardo il Re d’Inghilterra o il Re di Portogallo, e cioè assolutamente nullo. Dal punto di vista del Diritto ecclesiastico, poi, l’atto era ugualmente irrilevante. L’Ordine di Malta, infatti, non solo costituiva uno Stato sovrano; ma era ed è anche un Ordine religioso, e come tale l’unico che avrebbe potuto aver voce in capitolo, sotto il punto di vista delle ammissioni e delle concessioni, sarebbe stato soltanto il Superiore gerarchico naturale del Gran Maestro, e cioè il Papa.
 Dunque nel momento in cui il Re ha conferito un onore alla Confraternita e ai suoi componenti, è andato ben oltre le sue capacità normative. Non avrebbe certo potuto conferire validamente un titolo nobiliare o cavalleresco su un feudo che si trovava in Inghilterra o su un ordine di collazione del Re di Svezia. Il Sovrano ha compiuto un atto eccedente le sue possibilità, e per questo nullo fin dalla sua origine. Piuttosto, Carlo III inseriva questo gesto nel vasto piano di controllo dei beni e delle giurisdizioni ecclesiastiche che sarebbe stato portato alle estreme conseguenze con l’opera del ministro Tanucci, intesa a strappare dal tessuto sociale del Regno l’influenza e il potere della Chiesa. Il Sovrano decideva dunque di allargare il suo intervento anche alla sfera dell’Ordine di Malta, conseguendo il doppio risultato di colpire e sminuire quella parte dell’aristocrazia che si raccoglieva sotto l’egida della Chiesa e che faceva parte dell’Ordine, e di avanzare nuovi diritti sull’Isola in nome di un antica signoria, cui il suo predecessore Carlo V aveva praticamente rinunciato.
Trattandosi di un atto che eccedeva l’effettiva potestà del Re, esso andava e va considerato al di fuori della sfera del diritto, e non si può assolutamente parlare, come a mio avviso si è erroneamente sostenuto, di un passato o presente riconoscimento . L’atto andava guardato come a una finzione: figura nota nel Diritto Internazionale. A conclusione della guerra tra Angioini e Aragonesi vi furono contemporaneamente un Re di Sicilia angioino e un Re di Trinacria aragonese: finzione che consentiva di salvare l’onore reciproco ma di cui il Sovrano angioino non approfittò intervenendo con immaginifici atti giuridici cartacei nella grande Isola, dal momento che egli ne era solo titolarmente Re. Soluzione ancora messa in pratica, per decenni, in favore dell’Unione Sovietica quando, per consentire a questo Stato di avere maggior peso politico nelle votazioni all’Onu, nel secondo dopoguerra furono ammessi nel Consesso internazionale l’Ucraina e la Bielorussia: oggi due Stati indipendenti ma allora due Stati confederati che in realtà non erano Soggetti di Diritto Internazionale perché completamente controllati dall’Urss.
Il fatto che l’Arciconfraternita di Catanzaro abbia continuato a concedere ammissioni e una sorta di onorificenze sotto il nome di cavalieri ad honorem, allargando notevolmente il numero delle persone che ne fanno parte, mi sembra debba essere guardato solo come a un atto assimilabile a quello del tesseramento di una associazione.
Esiste poi il problema della Baronia che viene intesa come collegata alla dignità dell’Ente stesso. In realtà, con la concessione e il riconoscimento dei diritti feudali sulla fiera, non è stato compiuto un atto desueto. Singoli, comunità ed enti godevano in ogni parte d’Europa di simili diritti. Ma questo non significa che con il decreto reale si avvenuta una “trasformazione della Confraternita da Istituzione semplicemente religiosa in religioso-cavalleresca-nobiliare” . Sono numerosi infatti gli enti che in Italia e all’estero hanno goduto di titoli, senza che siano stati trasformati nella loro sostanziale finalità e condizione. L’arcivescovo di Ravenna gode del titolo di Principe ed esarca di Ravenna; l’arcivescovo di Salerno aveva i feudi di Montecorvino e Olevano; chi è a capo del famoso ente musicale S.Cecilia ha il titolo di Conte palatino, tanto per menzionare alcuni esempi. Ma questo non vuol dire che alle famiglie degli arcivescovi, dei sacerdoti o dei musicisti venga riconosciuta una dignità nobiliare o che cambi il loro status . Più semplicemente, all’ente viene tributato un onore che deriva dall’importanza o da una rilevanza storica, e che rimane solo nella sfera onorifica della persona giuridica e non della persona fisica. Quando il Presidente della Repubblica conferisce la medaglia d’oro al gonfalone di un comune, non vengono certo insigniti dell’onorificenza tutti gli abitanti di quel comune; ma si tratta di un onore che è moralmente conferito all’intera comunità rappresentata dalla persona giuridica. 
Nel caso di Catanzaro, alla Confraternita venivano conferiti insieme un onore e la possibilità di godere beni finanziari utili al suo funzionamento, per particolare prestigio goduto dai suoi appartenenti. A mio avviso si scrive perciò erroneamente che “la Baronia dell’Arciconfraternita non appartiene ad un solo membro rappresentativo della Comunità Religiosa ma all’intero consesso e quindi ad ogni singolo Confratello. Il quale ha il diritto di essere chiamato barone e di portare la corona nobiliare baronale che non è quella personale ma quella a ricordo dell’effettiva, se pur limitata, giurisdizione anticamente goduta”. Si tratta di un’esposizione davvero confusa dal punto di vista giuridico, e che ignora la differenza tra persona fiusica e persona giuridica che si trova negli ordinamenti; tanto più se dopo appena qualche rigo, il titolo già cambia, dal momento che si afferma che “gli appartenenti alla Reale Arciconfraternita, fregiandosi del titolo di Cavaliere di Malta ad honorem e di Nobile dei Baroni esercitano una prerogativa che spetta a loro e che ha un fondamento storico inoppugnabile” . E’ evidente che chi scrive non fa molta distinzione fra i titoli di Barone, Barone del Sacro Palazzo lateranense  e Nobile dei Baroni. Secondo me solo sulla carta intestata degli ufficiali dell’Arciconfraternita, e solo nell’esercizio delle loro funzioni legate alla vita dell’Ente, spetterebbe imprimere una corona che andrebbe poi meglio identificata, non essendo il feudo, a mio avviso, titolato come una Baronia. In tanta confusione, è del tutto da spiegare che cosa significhi barone del Sacro Palazzo Lateranense, poiché  essere “filiale” dell’Arcibasilica lateranense non costituisce titolo di nobiltà, neppure per i tanti confratelli degli altri sodalizi con la stessa caratteristica, e in ogni caso questo sarebbe un titolo (mai concesso) diverso da quello che si pretende discendere dall’esercizio feudale sulla fiera. 

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