Pagine

martedì 3 aprile 2012

ALBOINO E LA COLOMBA

Moneta con l’effige di Alboino, Augustus Romanorum,
Gothorum et Langobardorum (fonte: fmboschetto.it)

Percorrendo il basolato di Corso Garibaldi, tra gli archi ed i portoni antichi che sembrano occhi aperti nel cuore del centro storico, fatti appena pochi passi ci si trova all’incrocio con una delle viuzze che confluiscono nel corso venendo su dal Lungo Ticino Sforza, un vialone che lambisce il fiume e la parte sud di Pavia prima di voltare ad ovest ed allontanarsi dall’abitato. E’ via Alboino, poco più di un vicolo vetusto che si affaccia su Garibaldi in prossimità di una costruzione del Basso Medioevo che il popolino pavese per secoli ha chiamato “la Reggia”.
A torto, visto che il regio palazzo sorgeva altrove. Ma l’inganno è forse stato voluto, se solo si considera come, sul muro a ridosso dell’edificio, campeggi una lapide in caratteri latini che riassume la supposta, singolare vicenda occorsa ad un sovrano barbaro che, primo tra le genti germaniche, riuscì nell’impresa ardita di soggiogare l’Italia. Il testo recita:

ANTIQUISSIMAE REGIAEQ. URBIS
HAEC OLIM IAM PORTA, CUIUS IN
LIMINE ALBOINI LONGOBARDOR.
REGIS, POST DURAM ANNOR. III
ET MENSIUM VI OBSIDIONE(m), UTILI
ET HONORIFICA TICINENSIBUS
PACTIONE FACTA, MIRABILITER
EQUUS, IPSO INSIDENTE FOE=
DIFRAGO, CONCIDIT ANN. SAL.
DLXXII

Riporta ad una leggenda che compare tra le pagine del secondo libro della Historia Langobardorum, sorta di antica enciclopedia redatta dalla penna diligente di Paolo Diacono che detiene il vanto di ergersi a testimonianza quasi esclusiva per l’Italia del traumatico passaggio dai fasti della – classica - civiltà romana a quella, ormai medievale, germanica. Un potente sovrano straniero assedia la città per tre anni di fila, ma invano. Giura allora, e solennemente, di radere la suolo l’abitato, e passare a fil di spada la popolazione. Tutta quanta. Un proposito fosco che arriva in Alto, acquista una gravità nuova e sortisce l’effetto di far stramazzare al suolo col suo peso il destriero stesso del sovrano presso la Porta pavese di San Giovanni. Il cavallo è vivo. Ma si rifiuta di alzarsi. Sembra incollato al terreno, e nessuno riesce a rimetterlo sulle zampe, mentre il re si ritrova improvvisamente scaraventato in basso. Qualcuno ripensa allo scellerato giuramento. E consiglia al re di rompere il patto. Così viene fatto, il destriero torna saldo sulle zampe ed il condottiero fa il suo ingresso trionfale in quella città che, unica, aveva resistito alla sua inarrestabile avanzata. Quel re, partito da lontano, diventerà più di un eroe per le genti germaniche. 
Bifora della falsa reggia di Alboino a Pavia
(fonte: scuolaer.it).
Sarà una leggenda vivente, che tanto darà da scrivere - e da ricamare - agli altrettanti letterati e storici che si troveranno a parlare dei Longobardi. Un intrico vivente di realtà e mito, del quale si ignorerà perfino la data ed il luogo esatto di nascita. Alboino, re dei Longobardi. Alboino, il conquistatore. Alboino, il re d’Italia. Pannonico, figlio di un reggente longobardo e di una pronipote del grande Teodorico, re degli Ostrogoti, appartenente alla stirpe dei Gausi. Formidabile guerriero, e per ciò stesso ancor più gradito al suo popolo bellicoso, recide di sua mano sul campo di battaglia la vita del figlio del re gepido Turisindo, Torrismondo. Dopo la battaglia il fior fiore dei condottieri longobardi si accinge al banchetto, ed Alboino con loro, quando il padre Audoino gli nega un posto in tavola, non avendo il principe recato con sé le armi del possente nemico abbattuto. Alboino prende quaranta dei suoi e fa ingresso nel campo dei Gepidi. Presso la tavola di Turisindo si siede e reclama le armi del figlio appena morto. Scoppia il putiferio, ma Turisindo placa gli animi e consegna le armi al tracotante Alboino che può così far ritorno al suo popolo. Morto il padre accede al trono e riprende la lotta contro i Gepidi di Cunimondo, che nel 565, forti del patto stretto con Bisanzio e spaventati dal suo potere in ascesa, gli infliggono una pesante batosta. Una lezione che insegnerà al nuovo sovrano il valore degli accordi, tanto da indurlo all’alleanza con gli Avari di stirpe unna, scomodi orientali vicini di Cunimondo. Se Alboino vince, gli Avari si prendono la Pannonia dei Gepidi. E’ il 567 quando Alboino ed i suoi alleati sfidano Cunimondo, l’uno spingendo da occidente, l’altro da oriente. Il sovrano gepido stesso cade, annega nel suo stesso sangue la spada stretta nel pugno. Del suo cranio Alboino farà una macabra coppa. Cunimondo lascia un popolo allo sbando. Ed una figlia, Rosmunda. Alboino tira le sue somme. Aggrega gli sbandati al suo popolo, e per rendere l’unione più duratura, prende per sé Rosmunda. Sarà la sua seconda sposa, dopo Clodosvinta, figlia del re franco Clotario. La vittoria rinforza la fama del re. Ma anche le pretese dei suoi, che frattanto sono anche cresciuti di numero con l’inquadramento dei Gepidi, il sodalizio degli Avari e l’inclusione dei tanti tributari locali tra Sarmati e Turingi, Rugi e Sassoni, Alani, Eruli ed Unni. Serve spazio, e bottino. Serve una migrazione di massa. I Franchi incalzano, ed i Bizantini necessitano di validi foederati che provvedano al contenimento nel Nord-Italia. Alboino non deve far altro che approfittare della domanda che Bisanzio non pone. La penisola è fiaccata dall’infinita Guerra Gotica che i bizantini hanno vinto con fatica. L’Impero Romano è ormai in disgregazione. Ma l’Italia è ancora un paese dei balocchi. E’ il giorno di Pasqua del 568 quando il re convoca l’assemblea generale dei suoi popoli in armi. Si decide la partenza, ed un mese dopo 30mila picche e 120mila familiari marciano verso sud. Una schiera infinita cui si aggiungono i carri con le masserizie e persino le messi. Dalle antiche strade romane di Pannonia, l’orda arriva fino alla rive dell’Isonzo. Da Emona calano lungo la valle del fiume Vipacco fino ad Aquileia. I Bizantini non oppongono resistenza. Forse sono convinti che i barbari si ritireranno una volta finite le razzie ed accumulato bottino sufficiente. Hanno torto. 
La lapide di Alboino (fonte: scuolaer.it)
Alboino fa occupare in maniera sistematica la terra. Non si torna, stavolta. Cade Forum Iulii in Friuli, che diventa feudo del nipote del re, Gisulfo, rimasto a difendere i longobardi sul fianco est e garantire l’exit strategy. L’estate consente ancor più libertà di movimento, ed Aquileia e Vicenza si arrendono. A Verona il re stabilisce il primo quartier generale. Poi vira verso ovest, scende nella pianura padana ed entra in Lombardia. Qui avanza di città in città. Quando raggiunge Milano è ormai il 3 settembre 569. Guardando indietro, fra le Alpi ed il Po, la terra che scorge è tutta sua. L’Italia è ancora uno scrigno la cui chiave è in mano a Bisanzio. Ma ora un ampio anello la protegge cingendone la sommità. Di fronte alle truppe del conquistatore solo una città resiste. Pavia. I Longobardi non sono barbari come gli altri. Abili nella caccia e nell’allevamento, sono maestri nell’arte di conservare le vettovaglie, massimamente le carni macinate, durante i loro spostamenti. Forse sono addirittura gli inventori dell’insaccamento dei cibi, e di tutte le tecniche di lunga cottura delle carni che conosciamo ancora oggi. Alboino, dal canto suo, è uno stratega e, quando vuole, non lesina una certa magnanimità. Ma è e resta il primus inter pares di una stirpe di conquistatori e guerrieri. Giungerà a far bere vino a Rosmunda dal calice ricavato dal cranio del padre. Rescinde il giuramento di massacrare i pavesi e recupera il suo destriero. Dopo la capitolazione di Pavia, la gloria di aver eliminato l’unico ed ultimo ostacolo sulla sua strada si mescola alla consapevolezza di un potere ancor più grande, dovuto al possesso di nodo strategico tanto importante, collegamento fluviale diretto alla roccaforte bizantina di Ravenna. Alboino riprende mordente. Ricorda la fiamma di vendetta che gli arde le viscere dopo tre anni di stenti e battute d’arresto sulle rive del Ticino. Ed ordina ai cittadini di consegnargli doni in grado di placare la sua furia. Arriva denaro e bauli pieni d’oro, gioielli e tanti oggetti dell’artigianato locale. Poi vestiti e stoffe fini. Armi e finimenti pregiati. Cibi prelibati a non finire. Il re non ne è affatto impressionato. Con un gesto della mano li cancella dalla sua vista. Qualcuno ricorda che i milanesi hanno inventato per il sovrano un nuovo dolce. I fornai pavesi realizzano un impasto simile a quello del panettone, ad esso aggiungendo mandorle tostate e della fragrante granella di zucchero. E’ Pasqua, a Pavia e nell’Italia occupata, e si decide di dare al nuovo pane dolce la forma di una colomba. 
Una pagina della Historia Langobardorum 
di Paolo Diacono (fonte: wikipedia.org)
Alboino lo vuole assaggiare senza indugio, e pochi morsi dopo proclama che rispetterà la colomba come simbolo di pace tra i Longobardi e Pavia. Poi, dalle porte della città caduta escono dodici fanciulle. Giovani. Bellissime. Un’ampia veste candida di seta pregiata stretta attorno al corpo con nastri sgargianti. Le chiome raccolte sopra la testa, ornate di rose. Il dono finale, supremo, di carne di un popolo piegato. Sono in lacrime, tutte quante. Le ragazze si presentano al suo cospetto, il re le esamina una per una. Chiede alla prima il nome. “Colomba” risponde la giovane. Lo stesso dicono le altre undici. Strappate alla loro vita pacifica, ai loro affetti, al calore del focolare giocano l’ultima astuta carta, l’asso nascosto nella manica. Alboino è perplesso. O forse soltanto divertito. Sta di fatto che, tra la golosa pace sigillata col dolce e l’angoscia tangibile delle dodici giovani, fa del suo proclama di rispetto per la colomba un monito nei confronti delle ragazze. Le libera una dopo l’altra, commosso, e ne ricompensa l’astuzia e lo spirito di sacrificio con una dote di denaro sonante. Pavia è salva, ed il re ne fa perfino la sua capitale. E’ una vicenda fantastica, quella della colomba, un simbolo cui nel tempo si è agganciata la tradizione cristiana della Pasqua, radicandosene in maniera tanto stretta che a tutt’oggi, nelle festività pasquali, in ogni luogo si consuma il pane dolce del perdono.

Articolo di Simone Petrelli. Tutti i diritti riservati

0 commenti:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...