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giovedì 5 aprile 2012

LA BATTAGLIA DI CIVITATE

La battaglia di Civitate (nota anche come battaglia di Civitella sul Fortore) ebbe luogo il 18 giugno 1053 nei pressi di San Paolo di Civitate e vide contrapposti i Normanni di Umfredo d'Altavilla e un esercito di Suebi, Italiani e Longobardi coalizzati da papa Leone IX e guidati dal duca Gerardo di Lorena e Rodolfo, Principe di Benevento. La vittoria dei Normanni segnò l'inizio di un lungo conflitto terminato solo nel 1059 col riconoscimento delle loro conquiste nel Sud Italia. Il primo gruppo di Normanni, popolo nordeuropeo stanziato in Normandia, giunse in Italia nel 1017, in pellegrinaggio al santuario di San Michele a Monte Sant'Angelo sul Gargano, in Puglia.
Questi guerrieri erano essenzialmente dei mercenari - famosi per essere militariter lucrum quaerens, ossia "in cerca di compensi per servigi militari" - e la loro presenza nel Sud Italia non sfuggì ai governanti cristiani della regione, che presto li assunsero al proprio soldo per combattere le numerose guerre interne. Per diversi anni i Normanni prestarono il loro servizio al miglior offerente, a cominciare da Melo di Bari, finché nel 1030 il duca Sergio IV di Napoli offrì a Rainulfo Drengot la contea di Aversa: questo feudo costituì il primo radicamento territoriale dei Normanni in Italia, punto di partenza per la successiva opera di conquista del Meridione. Sulla scia del successo ottenuto dai Drengot Quarrel (famiglia), molti altri Normanni raggiunsero il Mezzogiorno in cerca di fortuna. Fra questi giunsero anche i membri della famiglia Altavilla, sei fratelli che in tempi diversi arrivarono in Italia e compirono folgoranti carriere militari e politiche. Il primo di essi fu Guglielmo Braccio di Ferro, che nel settembre 1042 si fece acclamare conte di Puglia e fu a capo di un nuovo stato indipendente, appannaggio della propria famiglia. La battaglia di Civitate è la seconda, dopo l'Olivento, delle grandi battaglie campali combattute dai Normanni nella Puglia per conquistare il Sud dell'Italia. Segnò le relazioni tra la Chiesa e le casate normanne e rese concreta la posizione contraria del Papa, preoccupato dell’espansione dell'invasore. Papa Leone IX non vedeva, infatti, di buon occhio la costituzione di un forte Stato ai confini dei territori del Papato e decise di scacciare i nemici, ispirato da Ildebrando di Soana, anche perché mirava a prendere il controllo del meridione. Le conquiste normanne, peraltro, turbavano il Papa anche per la loro irriverenza nei confronti della Chiesa. L'avanzata dei Normanni nel sud Italia mise in allarme il Papato. Nel 1052 Leone IX incontrò in Sassonia l'imperatore Enrico III, al quale chiese aiuto nell'impresa di arginare la dilagante espansione dei Normanni. L'imperatore negò il proprio sostegno al pontefice, il quale fece ritorno a Roma nel marzo del 1053 con appena 700 fanti suebi. La crescente potenza normanna non allarmava solo il Papato: anche i governanti Longobardi del Meridione, in un primo tempo vicini ai Normanni, si rivoltarono contro i loro vecchi alleati, perché nutrivano forti preoccupazioni per questa inarrestabile ascesa e furono proprio loro a rispondere alla richiesta d'aiuto del Pontefice. Fallito il tentativo di coalizione con l'Impero, si fecero avanti alcuni governanti italiani: il principe Rodolfo di Benevento, il Duca di Gaeta, i conti di Aquino e Teano, l'Arcivescovo e gli abitanti di Amalfi: tutti misero a disposizione uomini provenienti da Puglia, Molise, Campania, Abruzzo e Lazio. La coalizione anti-normanna era dunque pronta. Ma il Papa volle chiamare in proprio soccorso anche un'altra potenza amica, l'Impero bizantino governato da Costantino X. I Bizantini, che tenevano sotto il proprio controllo quasi tutta la Puglia, avevano già tentato di sventare la minaccia cercando di "comprare" i Normanni e impiegarli nelle proprie armate, memori del loro particolare attaccamento al denaro. A occuparsene era stato il Catapano bizantino d'Italia, Argiro, il quale aveva offerto ai mercenari normanni del denaro in cambio dei loro servigi militari sui confini orientali dell'impero. Ma i Normanni avevano rifiutato la proposta, affermando esplicitamente che il loro obiettivo era la conquista del meridione d'Italia. Informato tempestivamente da Argiro, il papa si mise alla testa delle sue armate e marciò verso la Puglia, mentre Argiro portava al servizio della causa un contingente di soldati bizantini. Con i due eserciti che marciavano l'uno verso l'altro, i Normanni venivano stretti in una morsa. Compreso il pericolo che si avvicinava, i Normanni reclutarono tutti gli uomini disponibili e formarono più armate capeggiate dal conte di Puglia Umfredo d'Altavilla, il conte Riccardo I di Aversa ed altri membri della Casa d'Altavilla fra cui Roberto, destinato a mettersi in luce proprio nel corso della battaglia. Dopo il quarto sinodo di Pasqua, nel 1053, il Papa si mosse contro i Normanni con un esercito di volontari Longobardi e Germanici (della Svevia), con alcuni Bizantini; scese in lega con i Greci e proclamò una guerra Santa. Benevento gli si consegnò, ma la situazione apparve precaria perché, dopo la caduta delle piazzeforti di Bovino, Troia ed Ascoli Satriano, i Normanni controllavano tutte le vie che attraverso l'Appennino conducevano nella Capitanata. L'unica strada aperta restava quella del Biferno, verso Civitate, sul Fiume Fortore. Leone IX marciava con il suo variegato esercito, e si preparava a riunire le sue truppe con quelle promesse dai Bizantini di Argiro, che proveniva dall'Apulia. Il Papa, marciando lungo il fiume Biferno, mentre paesi e villaggi gli sbarravano le porte per timore delle rappresaglie normanne, ebbe accoglienza solo nel piccolo borgo di Guardialfiera (Guardia Adalferii). Di qui, sempre lungo il Biferno, pose il campo ad Sales, tra Termoli e Petacciato,dove tenne una riunione con i comandanti del suo esercito. Quindi si diresse a Sud e si accampò sul fiume Fortore sotto la struttura delle mura di Civitate, centro importante e sede Vescovile. In avvenire sarà distrutta e ricostruita a breve distanza con il nome di San Paolo Civitate. Leone IX aspettava Argiro con un contingente di soldati Bizantini, in quanto l'accordo prevedeva il congiungimento delle forze a Siponto. I Pontifici disponevano di un migliore armamento. Il Papa sottovalutava i Normanni e progettava di prenderli alle spalle con due eserciti, per stringerli in una morsa, ma modificò i piani a seguito del mancato arrivo di Argiro. I Normanni disponevano di pochi rifornimenti e soprattutto avevano meno uomini rispetto ai loro nemici: non più di 3000 cavalieri e appena 500 fanti a fronte di oltre 6000 tra fanti e cavalieri. Essi apparivano avvantaggiati da una strategia migliore, e da spirito combattivo. Le truppe alleate del Conte di Aversa, Riccardo Drengot, di Roberto il Guiscardo, di Umfredo d’Altavilla e dei Baroni Normanni di Campania e di Puglia, si preparavano ad affrontare compatte le armate Pontificie. Tutti erano preoccupati di guerreggiare contro la Santa Sede e speravano in un accordo pacifico con Leone IX. Una delegazione dei Normanni si recò al campo Pontificio ed avanzò proposte di pace; iniziarono le trattative, che il Papa prolungava, perché sperava nell'arrivo dei rinforzi di Argiro, ma anche perché i cavalieri della Svevia gli chiedevano di non accettare e di dare seguito all'uso delle armi. I Normanni cercavano, invece, di anticipare l’arrivo dei rinforzi, motivati anche dalle scarse provviste alimentari e dal timore di essere giocati da Leone IX. Lo scontro definitivo si svolse tra il 17 ed il 18 giugno 1053 nella pianura posta all’ingresso Nord della Puglia, alla confluenza del torrente Staina, presso il ponte romano sul fiume Fortore, sulla collina terrazzata che domina la valle, in un territorio delimitato a sud della strada che collega Termoli a Siponto e ad ovest dal corso d'acqua e dalla fortezza di Civitate. Le armate si disposero per la battaglia campale ai due lati della piccola collina. Il Papa stesso assunse il comando dell'esercito nello scontro decisivo; si trovava, con il proprio seguito, al riparo sui bastioni della fortezza di Civitate ed il suo stendardo, il vexillum sancti Petri, sventolava al centro dell'esercito come segno della sua presenza e della sua volontà. Per l'alleanza pontificia si schieravano, a ridosso della fortezza, le truppe dei mercenari della Svevia inviati dall’Imperatore; i cavalieri Svevi assumevano la posizione centrale ed i cavalieri capaci di combattere a piedi si disponevano con gli avventurieri della Germania nell’ala destra, in formazione stretta ed allungata. Si ammassavano, invece, sull’ala sinistra gli alleati Bizantini ed i Longobardi, guidati dal Duca Gerardo di Lorena e dal Principe Rodolfo di Benevento, le fanterie mercenarie ed i cavalieri. Completavano la formazione le truppe di Roma, Gaeta, Aquino, Teano, Amalfi, Spoleto, della Sabina, della Campania e della Marca d’Ancona. Nelle file della lega pontificia militavano armati di tutti gli stati del Paese dei Marsi. Tra questi le truppe di Valva, accompagnate dal conte Randuisio, figlio del conte dei Marsi Berardo. I Normanni avevano pochi rifornimenti e meno uomini, bassi di statura, ma eccellenti guerrieri pronti a tutto. Il progetto elaborato dai Normanni prevedeva di combattere prima contro Leone IX a Civitate e poi, a pochi giorni di distanza, contro Argiro presso Siponto. Questo piano evitava il congiungimento delle truppe Pontificie con le schiere Bizantine. Lo schieramento era comandato da Umfredo d’Altavilla, con tremila cavalieri e cinquecento fanti divisi in tre formazioni, guidate a destra dal conte di Aversa, Riccardo Drengot, al centro dallo stesso Umfredo I ed a sinistra da Roberto, a capo di una schiera di cavalieri e di fanti (i cosiddetti sclavos, fanti slavi), provenienti dalla Slavonia. Umfredo I intercettò l'esercito pontificio, ne vigilò i movimenti e, prima che le trattative giungessero ad una conclusione, deliberò di attaccare all'improvviso. I Normanni guadagnarono all'alba la collina e compirono il primo attacco. In quel momento le truppe rivali ancora dormivano. La battaglia ebbe inizio con i cavalieri, guidati da Riccardo di Aversa, che caricarono contro l'esercito italiano del Papa ai lati del Fortore. Nella confusione i normanni attraversarono il pianoro, si precipitarono lungo l'argine del fiume Fortore, al fine di sbarrare il passo alla lega di Leone IX, e conquistarono la posizione di fronte. Giunti in vista dei Longobardi, penetrarono nelle loro file, rompendone le formazioni, prese dal panico, che caddero e si diedero alla fuga senza neanche provare a resistere. Riccardo Drengot travolse ed inseguì i contingenti longobardi e le forze pontificie. I Normanni uccisero molti nemici e proseguirono verso il centro del campo rivale: sulla sinistra trovarono i restanti militi Longobardi, frammisti alle truppe mercenarie. Al centro dello schieramento, Umfredo d'Altavilla incontrò i cavalieri della Svevia, con i quali accese un duello, la cui sorte rimaneva in bilico. Unicamente l'esercito della Germania si opponeva con forza. Nel frattempo i Suebi erano saliti sulla collina e venivano a contatto con le armate normanne disposte al centro: erano riusciti a sopraffarle, nonostante l'inferiorità numerica. Roberto il Guiscardo, che aveva trattenuto all'ala sinistra del proprio fronte il contingente di riserva, si rivolse a Gerardo di Buonalbergo (Gerardo de Bonne Herberg), il quale aveva portato dalla Calabria una truppa costituita da numerosi cavalieri (e li aveva affidati al comando di Umfredo d'Altavilla) e ordinò a queste truppe di avanzare verso la collina. A questo punto il Guiscardo, vedendo il fratello in pericolo, portò con sè l'ala sinistra e salirono sulla collina: riuscì ad alleggerire la pressione dell'offensiva dei Suebi. Ma intanto il centro stava per cadere: a segnare l'esito finale del conflitto fu il ritorno sul campo di battaglia di Riccardo, dopo aver compiuto una strage degli Italiani; il Conte di Aversa si trovò alle spalle dei cavalieri della Svevia e lanciò i propri soldati contro i Suebi, che furono sopraffatti e annientati. Roberto il Guiscardo, intanto, mise in fuga gli ultimi Longobardi. I Normanni massacrarono i cavalieri svevi, fermi, ed annientarono le truppe. Alcuni armigeri della Lega fuggirono e furono uccisi, altri tentarono di guadare il Fortore ed affogarono nel fiume. Roberto d'Altavilla offrì prova di grande coraggio e si mise in luce come l'eroe di questo scontro, che costituisce il principio della sua ascesa militare e politica. Il fronte alleato sgominò e sconfisse i clavisegnati.
Tutto si svolse nell'arco di poche ore. Gli scontri furono violenti e tutti i contendenti riportarono gravi perdite. Il Papa perse la guerra sul campo. La coalizione pontificia ne uscì definitivamente sconfitta. La battaglia fu decisiva per le sorti del Sud della penisola ed i Normanni la vinsero anche politicamente, oltre che militarmente. Fu la svolta decisiva nella conquista nel Sud: il Guiscardo diventò il braccio armato della Cristianità grazie alla nascita di un rapporto di vassallaggio fra il Papa ed i sovrani normanni. I Capi Normanni vittoriosi catturarono il Papa Leone IX e il Duca Gerardo di Lorena, e certamente tennero entrambi prigionieri a Benevento. Ma, mentre quest'ultimo fu rilasciato e riuscì a ritornare in Lorena, del Pontefice non si conoscono con certezza i dettagli. Fonti storiche del Papato riferiscono che Leone abbandonò Civitate e si arrese ai nemici per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Altre fonti raccontano invece che furono gli abitanti di Civitate a consegnare il pontefice ai Normanni. Altra ipotesi è che il Papa si precipitò a Benevento in cerca di rifugio. In ogni caso, Leone IX ricevette dai Normanni un trattamento di rispetto, anche se la sua prigionia a Benevento durò quasi nove mesi, durante i quali fu costretto a ratificare una serie di trattati favorevoli ai Normanni. Al papa, Leone, Roberto il Guiscardo e i duchi normanni s'inchinarono, ma lo detennero come prigioniero, "in onorevole cattività". I Capi normanni trattavano Leone IX con segno di sottomissione, gli imploravano lo sgravio dalla pressione del suo bando e gli giuravano fedeltà e omaggio. Il Papa restò a Benevento fino al marzo 1054. La sua liberazione era - tuttavia - subordinata al riconoscimento delle due Casate Normanne e all’investitura feudale delle conquiste realizzate dagli Altavilla e dai Drengot Quarrel. In particolare Leone, ancora imprigionato, era costretto a riconoscere la Contea di Puglia, assegnata al Guiscardo ed il Principato di Capua, confermato a Riccardo dei Drengot, con il figlio Giordano, nella Signoria di Gaeta. Poi finalmente Leone raggiunse la capitale Melfi e qui creò Umfredo suo vassallo; consacrò il vassallaggio, alla Chiesa, del Guiscardo, che s'impegnava a proteggerla ed a recuperare la Regalia Sancti Petri in Puglia e Basilicata. La dipendenza feudale era rappresentata con il dono a Leone di una cavalla bianca. Il Guiscardo, in cambio, offrì al Papa la signoria su Benevento. Leone fu costretto a togliere la scomunica ai Normanni, li perdonò e benedisse Umfredo I d'Altavilla, che si schierava al suo fianco per affrontare i comuni nemici: gli Imperi di Bisanzio e della Germania. I capi normanni liberavano il Papa solo previa firma della pace e la concessione del perdono. Sei anni dopo la battaglia di Civitate – e dopo tre papi anti-normanni – il Trattato di Melfi, concluso durante il Concilio del 1059 segnò il definitivo riconoscimento delle conquiste normanne nel Sud Italia. Un rovesciamento della politica papale che ha una doppia motivazione: da un lato, i Normanni si erano dimostrati un nemico potente e geograficamente troppo vicino alla Santa Sede, mentre l'Imperatore era ormai un debole e lontano alleato; dall'altro, papa Niccolò II aveva deciso di tagliare i ponti fra la Chiesa di Roma e il Sacro Romano Impero. Nell'imminente lotta contro l'Impero, infatti, un potente alleato era senz'altro preferibile ad un potente nemico. La battaglia di Civitate segnò anche l'inizio della prepotente ascesa di Roberto il Guiscardo. Celebrato come Eroe di Civitate per il particolare valore mostrato in battaglia, Roberto riscosse questo credito pochi anni dopo, alla morte del fratello Umfredo: nominato reggente e tutore dei figli di quest'ultimo, egli pretese ed ottenne per sé il riconoscimento del titolo comitale di Puglia e Calabria, diseredando di fatto i due nipoti. Con il Trattato di Melfi, il Papa lo elevò alla dignità ducale e ne riconobbe tutte le conquiste, compresa quella ventura della Sicilia.Leone IX considerò i caduti in battaglia come martiri e promosse un culto che procacciava miracoli e guarigioni. Dato il valore d'espiazione della guerra, essi combatterono per liberarsi dei peccati e passarono da una condizione penitenziale ad una di venerazione. Pier Damiani contesterà questa posizione, perché i guerrieri erano spesso avanzi di galera, di fatto indegni di essere venerati. Per il cronachista Lupo Protospata «Hoc anno in ferie sesto de mense Iunii Normanni fecerunt bellum cum Alamannis, quos Santo Padre Leo conduxerati et vicerunt. Et hoc anno fuit magna fames»; e l'Anonimo Barese descrive l’evento e l’azione di Argiro nell'Apulia: «Et venit ipse Leo Papa cum Alemanni er fecit proelium cum Normanni in Civitate». Secondo lo storico coevo Guglielmo di Puglia, il Guiscardo imperversò nella battaglia senza mai perdersi d'animo, benché disarcionato e rimontato in sella per ben tre volte. L'esito dello scontro fu per lui un vero successo. Leone IX «trovandosi in battaglia a Civitate combatteva perché, di fatto, era un barone feudale, lo fece per una genuina ispirazione religiosa, a differenza di quanto era accaduto fino a qualche decennio prima, quando il pontefice era ancora Benedetto VIII». Gualtiero era all'epoca della battaglia il Signore di Civitate, una delle dodici baronie della Contea di Puglia.

Fonte: Wikipedia

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