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mercoledì 30 aprile 2014

FOTOGRAFIA DI UNA CROCIFISSIONE

Se i cristiani che venivano dal giudaismo potevano nutrire disgusto e anche paura verso un oggetto come la sindone, spingendo senz’altro i suoi custodi a nasconderla, per i cristiani che venivano dal paganesimo, cioè dalla cultura greco-romana, la situazione non era molto migliore. I greci e i romani non erano prevenuti verso ciò che era stato a contatto con un cadavere, fatte salve le normali cautele di tipo sanitario; ma nella cultura cristiana dei primi tempi si era diffusa per diversi motivi un’avversione molto netta nei confronti delle immagini. E la sindone di Torino, se era nota e conservata in quei tempi, poteva essere guardata con estrema avversione proprio per via dell’immagine che porta: si tratta infatti di un’immagine inconfondibile. La caratteristica più singolare della sindone è che su una faccia del tessuto esiste una doppia impronta e una doppia imagine, l’una sovrapposta all’altra: insieme restituiscono la sagoma di un uomo che vi fu avvolto dentro. Alla fine dell’Ottocento l’avvocato torinese Secondo Pia, che praticava la fotografia per passione, chiese ed ottenne il permesso di sottoporre la sindone a questo nuovo procedimento. Lo sviluppo delle lastre mostrò un fatto che cambiò il modo in cui la sindone veniva guardata: l’immagine infatti si comporta esattamente come un negativo fotografico, sicché il negativo delle foto della sindone mostra l’immagine di un uomo con un realismo a dir poco impressionante. Non è propriamente una fotografia perché le foto sono bidimensionali, invece l’immagine sindonica ha caratteri tridimensionali; ma se per comodità di discorso può essere paragonata a una foto, bisogna dire che si tratta della fotografia di una crocefissione. 

Articolo per gentile concessione della dott.ssa Barbara Frale

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