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giovedì 10 aprile 2014

LE ORIGINI DEI VANGELI

Parallele nel contenuto ma anche diverse fra loro per vari aspetti, le quattro biografie su Gesù Nazareno rimontavano a quattro cristiani famosi. Due erano state composte in Medio Oriente dalla uomini che avevano conosciuto e seguito il Nazareno di persona. Il più giovane si chiamava Giovanni di Zebedeo, apparteneva a una ricca famiglia della regione di Galilea e al tempo della crocifissione di Gesù era un ragazzino di circa quindici anni: aveva potuto seguire il Nazareno sotto la tutela di suo fratello maggiore Giacomo, anch’egli un seguace. Il testo di Giovanni dava di Gesù una visione più ricca degli altri, che lo considerava un’immagine fedele del Padre Celeste, una specie di ritratto vivente e visibile di Dio, che invece è invisibile. Il senso della vista è molto accentuato nel suo scritto: per via della particolare natura di Gesù, vederlo è un po’ come sbirciare dentro la dimensione del divino. L’idea che l’uomo fosse stato creato a immagine e somiglianza di Dio stava nell’anima più antica della religione ebraica, ed era scritto nel Libro della Genesi; ma qui c’era di più. Il secondo autore si chiamava Matteo Levi ed era un pubblicano, cioè uno degli odiati e spesso disonesti funzionari che Roma assoldava per riscuotere le tasse dai sudditi: quando aveva incontrato il Nazareno, aveva chiuso il suo banco delle imposte e si era messo a seguirlo.Le altre due biografie portavano la firma di due uomini che non avevano conosciuto Gesù di persona, ma si erano incaricati per motivi diversi di registrare la sua vita nel modo più fedele possibile. Uno si chiamava Giovanni Marco ed era figlio di una ricca vedova che abitava a Gerusalemme. Avvicinatosi alla comunità dei cristiani, era entrato in familiarità con l’anziano pescatore di Betsaida Simone di Giovanni, uno dei primi seguaci che Gesù aveva soprannominato Pietro. Pietro gli si era affezionato come ad un figlio, e dovendo recarsi a Roma per aiutare la comunità cristiana della capitale che era in subbuglio, lo portò con sé: Marco gli faceva da interprete, perché Simone/Pietro, come quasi tutti quelli che venivano dal Medio Oriente, non capiva una parola di latino. L’altro biografo era un medico originario di Antiochia in Siria e si chiamava Lucano, anche se tutti lo conoscevano con il diminutivo Luca. Uomo di cultura e di vaste conoscenze, come del resto dimostra il suo sapiente uso della lingua greca, Luca lavorò al servizio di un nobile cristiano chiamato Teofilo che gli dette incarico di stilare un resoconto preciso sulla vita e sugli insegnamenti di Gesù Cristo, dal quale derivava la sua religione.Dopo aver svolto ricerche su varie fonti e interrogato testimoni oculari, scrisse un’opera in due libri che oltre alla vita di Gesù esponeva anche la storia dei primi cristiani dopo la sua morte.

Delle quattro biografie, la più antica fu probabilmente quella scritta dall’interprete Giovanni Marco. Vivendo a Roma nella famiglia di Pietro, buttò giù dei resoconti dei suoi discorsi che non seguivano un ordine cronologico preciso, un po’ come se fossero episodi isolati della vita e della predicazione del Nazareno. Poiché il pescatore di Galilea era vecchio, Marco gli propose di raccogliere quegli episodi in uno scritto ordinato, che potesse servire alle nuove generazioni quando Simon Pietro se ne fosse andato; Pietro però era contrario: il potere della testimonianza viva non aveva pari, e inoltre un testimone oculare non correva il rischio di insegnare male travisando le cose. Alcuni esperti del Nuovo Testamento credono che una prima versione del vangelo di Marco, fatto come una specie di abbozzo, venne scritta prima dell’anno 36-37: questo perchè quel testo contiene alcuni accorgimenti speciali i quali hanno senso solo se certi personaggi precisi erano ancora vivi, ben noti a tutti, e in grado di provocare guai alla comunità dei cristiani. Nel vangelo di Marco ad esempio si dice che Gesù fu catturato e consegnato a Ponzio Pilato senza specificare che Pilato era il governatore romano: questo fatto doveva essere talmente evidente a tutti che si poteva sottintendere, altrimenti chi leggeva non avrebbe capito niente. Inoltre parlando della cattura di Gesù operata a tradimento, si dice che venne condotto davanti al sommo sacerdote, il quale ordì un processo-farsa al puro scopo di trovargli una colpa che fosse punibile con la morte: però non si fa mai il nome né di Anna, anziano capo di una potentissima lobby aristocratica che teneva in suo pugno Gerusalemme e il Sinedrio, già sommo sacerdote lui stesso, né di suo genero Caifa, che era sommo sacerdote in carica al momento della morte di Gesù. I due responsabili della condanna, insomma, non sono mai nominati in modo esplicito, come se chi scrive avesse paura della loro vendetta. Quando più tardi vennero scritte le altre tre biografie (Luca e Matteo nell’80 circa; Giovanni, 90 circa), ormai tutti quei potenti erano morti da tempo e il problema non si poneva più. Il brogliaccio dell’interprete Giovanni Marco venne sistemato in un libro vero e proprio solo una trentina d’anni dopo, e probabilmente per cause di forza maggiore.  Secondo lo storico latino Gaio Cornelio Tacito, il 19 luglio dell’anno 64 scoppiò nella città di Roma un terribile incendio: favorite dal caldo torrido e dal vento, le fiamme distrussero gran parte della capitale. Subito dopo la devastazione l’imperatore dette ordine di ricostruire la sua reggia in modo più splendido e megalomane che mai: nel popolo cominciarono a serpeggiare voci piene di rabbia che lo accusavano di aver voluto distruggere mezza Roma proprio per dare spazio ai suoi sogni folli. Onde liberarsi da quell’orribile sospetto, Nerone fece ricadere la colpa sui cristiani, che a Roma sotto il suo regno erano ormai in molti. Fu approntato un enorme spettacolo notturno nel circo che Nerone si era fatto costruire presso l’ager Vaticanus, un’area di campagna che era rimasta intatta dalle fiamme. Molti cristiani morirono crocifissi, arsi vivi o dati in pasto alle belve, in un modo che riempiva di compassione anche chi -come Tacito- non li amava per niente. Secondo la tradizione e le fonti antiche, in questo orrendo spettacolo morì anche il pescatore di Galilea Simon Pietro, condannato alla crocifissione.

Articolo per gentile concessione della dott.ssa Barbara Frale

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