
Delle quattro biografie, la più antica fu probabilmente quella scritta dall’interprete Giovanni Marco. Vivendo a Roma nella famiglia di Pietro, buttò giù dei resoconti dei suoi discorsi che non seguivano un ordine cronologico preciso, un po’ come se fossero episodi isolati della vita e della predicazione del Nazareno. Poiché il pescatore di Galilea era vecchio, Marco gli propose di raccogliere quegli episodi in uno scritto ordinato, che potesse servire alle nuove generazioni quando Simon Pietro se ne fosse andato; Pietro però era contrario: il potere della testimonianza viva non aveva pari, e inoltre un testimone oculare non correva il rischio di insegnare male travisando le cose. Alcuni esperti del Nuovo Testamento credono che una prima versione del vangelo di Marco, fatto come una specie di abbozzo, venne scritta prima dell’anno 36-37: questo perchè quel testo contiene alcuni accorgimenti speciali i quali hanno senso solo se certi personaggi precisi erano ancora vivi, ben noti a tutti, e in grado di provocare guai alla comunità dei cristiani. Nel vangelo di Marco ad esempio si dice che Gesù fu catturato e consegnato a Ponzio Pilato senza specificare che Pilato era il governatore romano: questo fatto doveva essere talmente evidente a tutti che si poteva sottintendere, altrimenti chi leggeva non avrebbe capito niente. Inoltre parlando della cattura di Gesù operata a tradimento, si dice che venne condotto davanti al sommo sacerdote, il quale ordì un processo-farsa al puro scopo di trovargli una colpa che fosse punibile con la morte: però non si fa mai il nome né di Anna, anziano capo di una potentissima lobby aristocratica che teneva in suo pugno Gerusalemme e il Sinedrio, già sommo sacerdote lui stesso, né di suo genero Caifa, che era sommo sacerdote in carica al momento della morte di Gesù. I due responsabili della condanna, insomma, non sono mai nominati in modo esplicito, come se chi scrive avesse paura della loro vendetta. Quando più tardi vennero scritte le altre tre biografie (Luca e Matteo nell’80 circa; Giovanni, 90 circa), ormai tutti quei potenti erano morti da tempo e il problema non si poneva più. Il brogliaccio dell’interprete Giovanni Marco venne sistemato in un libro vero e proprio solo una trentina d’anni dopo, e probabilmente per cause di forza maggiore. Secondo lo storico latino Gaio Cornelio Tacito, il 19 luglio dell’anno 64 scoppiò nella città di Roma un terribile incendio: favorite dal caldo torrido e dal vento, le fiamme distrussero gran parte della capitale. Subito dopo la devastazione l’imperatore dette ordine di ricostruire la sua reggia in modo più splendido e megalomane che mai: nel popolo cominciarono a serpeggiare voci piene di rabbia che lo accusavano di aver voluto distruggere mezza Roma proprio per dare spazio ai suoi sogni folli. Onde liberarsi da quell’orribile sospetto, Nerone fece ricadere la colpa sui cristiani, che a Roma sotto il suo regno erano ormai in molti. Fu approntato un enorme spettacolo notturno nel circo che Nerone si era fatto costruire presso l’ager Vaticanus, un’area di campagna che era rimasta intatta dalle fiamme. Molti cristiani morirono crocifissi, arsi vivi o dati in pasto alle belve, in un modo che riempiva di compassione anche chi -come Tacito- non li amava per niente. Secondo la tradizione e le fonti antiche, in questo orrendo spettacolo morì anche il pescatore di Galilea Simon Pietro, condannato alla crocifissione.
Articolo per gentile concessione della dott.ssa Barbara Frale
0 commenti:
Posta un commento