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giovedì 10 aprile 2014

DOCUMENTI VATICANI DEL PROCESSO AI TEMPLARI - 2


Oltre alla famosa Pergamena di Chinon, esiste un altro documento che riveste un'importanza cruciale nel processo ai Templari. Il fascicolo confluito nel Registro Avignonese 48, contenente documenti di Benedetto XII (1334-1342) proviene in realtà da un altro registro più antico risalente al pontificato di Clemente V, il papa che dovette affrontare il processo contro i Templari. Il codice originario fu smembrato, e poco prima che il papato tornasse in Italia dopo la cattività avignonese (1309-1377), i diversi pezzi vennero rilegati con altro materiale estraneo. Questi fogli formavano un brogliaccio, ovvero un quaderno di lavoro. Furono scritti nell’autunno del 1311, quando Clemente V si ritirò con alcuni collaboratori fidati nell’abbazia di Maucène per discutere la spinosa e complicata faccenda del processo ai Templari.  Incombeva infatti l’apertura del Concilio di Vienne, durante il quale si doveva emettere un verdetto pro o contro l’ordine. Dopo quattro anni di processo, era ormai evidente che l’intera manovra trascendeva eventuali colpe reali dei Templari, e che la corona francese aveva montato un complotto contro l’ordine sia per urgente bisogno di denaro, sia perché il Gran Maestro Jacques de Molay ostacolava certi progetti di Filippo il Bello nella politica del Mediterraneo. Clemente V aveva fatto confezionare dalla sua Cancelleria una trascrizione sintetica (rubrice) tratta dal testo delle varie inchieste, formando così un dossier più breve e agevole da sfogliare, che riportasse comunque in forma completa il succo delle confessioni rilasciate dagli imputati; le rubrice erano corredate da una specie di classificazione finale (concordancie) che serviva a raccogliere le affermazioni ordinandole secondo il contenuto, il tipo e la gravità della risposta alle domande poste. Questo consentiva di avere una visione rapida e immediata di cosa i Templari avevano ammesso, accusa per accusa.
La parte più interessante del brogliaccio sono le note marginali che il papa e gli inquirenti scrissero durante l’esame, a commento di quanto i Templari avevano dichiarato. Circa le strane azioni loro imposte durante la cerimonia d’ingresso, cioè il rinnegare Cristo a parole e sputare verso la croce, davano risposte di questo tipo: modus est ordinis nostri, ovvero “è un uso del nostro ordine”. Si trattava di una prova, un rituale militare e allo stesso tempo una consuetudine goliardica imposta per umiliare le nuove reclute dinanzi agli anziani, cui si doveva obbedienza assoluta. Sulla base di queste riflessioni condotte a porte chiuse, Clemente V nel successivo Concilio di Vienne decise di sospendere il Tempio ma non condannarlo, e dichiarando espressamente che il processo non aveva fatto emergere prove di eresia a carico dei frati.Uno dei più grandi, intricati e lunghi processi del medioevo si concludeva dunque senza alcun verdetto.

Articolo per gentile concessione della dott.ssa Barbara Frale

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