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giovedì 3 aprile 2014

IL PROCESSO AI TEMPLARI - 7


Il 20 agosto 1308 si concluse l’inchiesta riservata di Chinon con l’assoluzione di Jacques de Molay e degli altri dignitari, i quali tornarono a ricevere i sacramenti. Tuttavia, la vittoria riportata dalla parte pontificia era solo momentanea: l’intento di Clemente V era imporre all’ordine del Tempio una riforma profonda che lo avrebbe epurato di tutte le sue mancanze, per poi dotarlo di una nuova regola e fonderlo con l’ordine degli Ospitalieri. Ma Filippo il Bello aveva sferrato l’attacco al Tempio perché spinto da una necessità pragmatica: la Francia infatti era sull’orlo della bancarotta per via dei costi enormi che aveva comportato la guerra contro il re d’Inghilterra, cominciata nel 1294 con la prospettiva di una vittoria molto rapida e che invece si era trascinata per più di dieci anni. L’ordine del Tempio possedeva proprio in territorio francese la maggior parte dei suoi beni fondiari e dei suoi capitali liquidi, perciò era stato individuato come un’ottima soluzione per il problema. Il sovrano aveva dapprima tentato di impadronirsi del patrimonio templare in via pacifica, con accordi politici o sotto forma di prestito; però aveva trovato la fiera opposizione proprio di Jacques de Molay, perché il denaro custodito dall’ordine era stato donato da tutta la cristianità per il recupero della Terrasanta, e non poteva essere usato per altri scopi. A quel punto Filippo il Bello aveva abbracciato l’antico adagio mors tua, vita mea; l’ordine del Tempio, che pure era formato in gran parte da suoi sudditi francesi, fu
sacrificato per tutelare la politica reale divenendo vittima illustre di quella che poi sarebbe stata chiamata “ragion di stato”.  Quando l’inchiesta di Chinon divenne di dominio pubblico, Clemente V fu sottoposto ad un vero e proprio ricatto: se si ostinava a voler salvare l’ordine del Tempio, la monarchia francese avrebbe
riesumato le ossa di papa Bonifacio VIII per celebrare un processo alla sua memoria, in seguito al quale la salma del papa dichiarato illegittimo sarebbe stata bruciata sul rogo con l’accusa di stregoneria. Così tutta la successione apostolica dopo Celestino V sarebbe stata dichiarata nulla; e Clemente V, divenuto improvvisamente papa illegittimo, sarebbe stato deposto per procedere poi all’elezione di un nuovo pontefice più cedevole agli interessi reali.  Se Clemente V avesse voluto mantenere l’ordine templare, in pratica avrebbe dovuto accettare l’apertura di uno scisma in seno al cattolicesimo, con la formazione di una chiesa di Francia separata e indipendente dall’obbedienza romana. Clemente V scelse di sacrificare quanto restava dell’ordine templare per tutelare l’unità della Chiesa, che aveva ereditato integra e che aveva giurato di custodire. Durante il concilio celebrato a Vienne nel 1312 il papa sancì espressamente che l’ordine del Tempio non poteva essere condannato per eresia perché il processo non aveva portato alla luce le prove necessarie. Dunque lo proclamò sospeso con una modalità particolare, frutto del suo genio giuridico, 
che in pratica poneva il Tempio al di fuori della realtà concreta senza decretarne la condanna. Il Tempio veniva come “tolto via” dalla storia non in forza di una sentenza giudiziaria bensì con un semplice atto amministrativo, un provvedimento d’emergenza preso per salvare la Chiesa.

Articolo per gentile concessione della dott.ssa Barbara Frale

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