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lunedì 22 aprile 2013

STORIA DELLA SICILIA IN ETA' NORMANNA

Con la conquista normanna (1061-1091), il paesaggio fortificato almeno in una prima fase, non fu notevolmente modificato. Infatti, gli interessi principali del nuovo governo s'incentrarono soprattutto verso le grandi città e le città nobilitate dalla presenza di un nuovo vescovado. L'organizzazione delle campagne rimase pressoché immutata rispetto al periodo precedente, anche se ovviamente svuotata di alcuni significati e ridotta ad un'intelaiatura esterna. Cambiano il regime della proprietà fondiaria e la condizione degli uomini che l'abitavano, appartenenti alle etnie sottomesse greche ed arabe ora ridotte in schiavitù; inoltre, caratteristica principale del casale è lo statuto d'inferiorità, la mancanza d'autonomia amministrativa e quindi la dipendenza da un abitato più importante. Alcuni indizi consentono d'ipotizzare una stretta corrispondenza tra il casale e gli originari feudi normanni. Il casale era l'unità di produzione idonea per il mantenimento di un cavaliere. Da un punto di vista archeologico non sono stati pubblicati scavi che abbiano interessato un abitato aperto, fatta eccezione per alcune note preliminari riguardanti il casale di Milocca a Milena, in provincia di Caltanissetta. In relazione con l'affermarsi di un forte potere centrale e di una non numerosa feudalità, i Normanni introducono in Sicilia il Castellum, fortilizio feudale o demaniale. Infatti, in questo periodo esistono due tipi di castello: quelli demaniali, ovvero controllati direttamente dalla corona normanna, che comprendono tutte le fortezze costruite durante la conquista o quelle di rilevante importanza strategica – la dislocazione dei castra regii demanii costituiva la base stessa della potenza e della supremazia reale – ed i castelli feudali sede di poche, potenti famiglie, arroccate sui loro domini. Se i castelli reali primeggiano per importanza e potenza, non bisogna tuttavia sottovalutare il numero e la rilevanza dei castelli posseduti dall'aristocrazia che, seppur pochi rispetto all'incastellamento munito sui feudi del XIV secolo, costituiscono comunque una rete capillare di controllo del territorio. Esistono anche in questo periodo fortilizi vescovili e monastici, cattedrali e chiese munite. Infatti, la chiesa latina insediatasi in Sicilia al seguito dei conquistatori è una chiesa di frontiera che teme la reazione dei vinti musulmani. Inoltre la monarchia si era appoggiata notevolmente sulle gerarchie ecclesiastiche per esercitare controllo e dominare capillarmente la popolazione. Pertanto la chiesa di questo periodo deteneva un grande potere che si serviva anche di simboli esteriori per affermarsi. Basti pensare all'architettura munita del duomo ruggeriano di Cefalù dotato in facciata di torri merlate con feritoie e di un cleristorio (stretta galleria ricavata negli spessori murari) che portava ai cammini di ronda sulla cresta dei muri che costituivano uno dei punti forti della difesa della fortezza. Anche la dislocazione topografica in un luogo alto, dominante l'abitato, è propria di un fortilizio. Lo stesso avvenne ad Agrigento dove il vescovo Gerlando fece costruire la cattedrale nel punto più alto della città nei pressi di un castello edificato da Ruggero; o a Catania, dove il vescovo della città ne era anche il signore e la sua cattedrale aveva tutte le caratteristiche di una ecclesia munita con muros et turres; o a Palermo dove la cattedrale-fortezza voluta dall'arcivescovo Gualtiero immediatamente fuori la Galka (antica paleapoli nella parte alta del Cassaro, separata dalla neapoli mediante un muro, che nel Medioevo divenne sede del quartier generale normanno) espresse chiaramente la potenza raggiunta dal capo della chiesa metropolita in diretta concorrenza col castello reale a pochi passi. Queste caratteristiche si ritrovano un po' ovunque nell'architettura munita religiosa siciliana di piena età normanna quale, per citare soltanto l'esempio più noto, il Duomo di Monreale che oltre a presentare tutte le caratteristiche di luogo di culto munito, finora espresse negli esempi precedenti, insieme al monastero ed al palazzo reale, dovettero essere circondati da uno spesso muro di cinta scandito da torri ed avere pertanto esternamente l'aspetto di una città fortezza. Questo accorgimenti militari nei luoghi di culto non erano soltanto giustificati dalla volontà di potenza delle gerarchie ecclesiastiche, ma da reali motivi di pericolo tanto che, durante il periodo delle rivolte musulmane, più di una volta il duomo di Monreale è stato saccheggiato. Infine non mancano esempi di architettura munita religiosa anche tra i monasteri basiliani di rito greco come quelli dei SS. Pietro e Paolo a Forza d'Agrò, San Filippo di Demenna ed il SS. Salvatore a Messina. Il castello, rispetto al periodo islamico, rappresenta il simbolo e lo strumento del nuovo potere (del re, del dominator, del vescovo) che viene esercitato in primo luogo sulle popolazioni residenti. La difesa del confine costiero contro i musulmani era esigenza di secondo piano rispetto ai pressanti problemi di organizzazione interna imposti dalla conquista. Dei castelli normanni restano poche testimonianze riconducibili secondo F. Maurici a due modelli differenti e ben identificabili: il donjon di tradizione francese, ovvero il palazzo-torre come quelli di Paternò, Adrano e Motta, ed il palazzo “aperto” di tradizione islamica come quello di Caronia. A questi tipi ben riconducibili bisogna aggiungere tutta una serie di fortilizi minori che presentano adattamenti e tipologie differenti in stretto rapporto con la varietà delle situazioni topografiche e delle preesistenze (sono questi gli esempi di Calatrasi, Calatubo, Rocca d'Entella, Clathamet, ecc.). Sono d'età ruggeriana i castelli di Carini, Calatrasi, la seconda fase di Calatubo, ecc. che tuttavia presentano caratteristiche planimetriche ancora simili ai castelli d'età islamica. Nel corso del XII secolo la discriminazione razziale, sociale, culturale e giuridica troverà espressione nella progressiva e lentissima espulsione delle etnie sottomesse soprattutto di quelle islamiche (1189-1246) con la loro concentrazione in aree limitate e controllabili quali la diocesi di Monreale (il Val di Mazara). I centri di raccolta dei musulmani vicino Palermo sono: Monte Iato, Entella, Calatrasi, Corleone ed il primo abitato di Segesta. Con la repressione violenta delle comunità islamizzate del Val di Mazara sotto Federico II intorno alla metà del XIII secolo il paesaggio insediativo della Sicilia occidentale si trasforma in deserto con vaste aree spopolate e con pochi abitati sopravvissuti perché precocemente latinizzati. Vengono distrutti e quindi abbandonati i siti ubicati nel Val di Mazara di Monte Iato, Calathamet, Entella, Partinico, Calatrasi, Platani, per citare soltanto i più noti.
È diversa la situazione nella Sicilia orientale in età federiciana interessata da due iniziative di ripopolamento: la fondazione delle terre fortificate di Terranova (Gela) ed Augusta.

Fonte: Wikipedia

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