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sabato 8 settembre 2012

I FRANCHI NEL MACERATESE

Ho trovato per caso – scrive l’architetto Medardo Arduino – un atto di donazione che vi descrivo. A Tolosa, verso la fine del 1300, i Benedettini del monastero di Soreze, fanno copiare fedelmente un atto di donazione fatto loro da Pipino il Breve nel 754; il documento è sbiadito ma si legge ancora, il notaio riconosce bene il sigillo dell’anello del Re franco e lo certifica nella formula di apertura della copia. Il documento è importante per i monaci perché conferisce loro la potestà assoluta di eleggere il loro priore, senza interferenze di altri poteri pubblici e religiosi. Queste antiche carte sono valide nella società tardo feudale, addirittura fino a dopo Napoleone. Il testo originale dice in sintesi che Pipino dona ai monaci Benedettini, perché ci facciano un monastero, un sito facente parte delle sue proprietà, nel territorio di Castrum Verdinius, li dove scorre il ruscello Soriclnii (ndr: sic).
Perché i monaci possano mantenersi assegna loro le sue proprietà di Villapinta e il fondo detto Villamagna, con acque, molini, campi, vigne, colti e incolti, contadini di ambo i sessi ecc. La copia del 300, non fa cenno alcuno alla localizzazione di questi fondi, perché non sono le “pertinenze” che contano, conta l’autonomia concessa. Il documento è rogato nel palazzo di Re Pipino in Aquisgrani, dove il sovrano imprime il sigillo del suo anello. La collazione termina con le conferme dei testimoni. In base a quanto scritto sulla copia autentica dell’antico documento non ci sono problemi di localizzazione o di ambiguità: il toponimo Casette Verdini non ha omonimi; Pinto località di Colbuccaro, frazione di Corridonia, confina in alto con Villa Magna, toponimo alto-medioevale e ancora attuale, di una grande area archeologica con elementi anche romani classici. In perfetta aderenza con la descrizione del documento di Pipino sono coerenti fra loro e non molto lontani da quella che da più parti è ritenuta Acquisgrana in val di Chienti. Villa Magna è presente nelle carte fiastrensi del 1072, gli altri toponimi sono sui cabrei di Fiastra del 1722 mentre in località Pieve, nel piccolo altopiano fra Sforzacosta e Macerata (3 km dall’attuale Casette Verdini, probabilmente scesa in piano per comodità) ci sono i resti delle colonne di un chiostro imprigionate nelle mura di una masseria cinquecentesca, a lato del “rivo Ricci” dal nome dell’antica famiglia proprietaria dal ‘500. In zona sono presenti anche insediamenti romani. Nella zona dove si conserva il documento che i monaci hanno custodito per secoli nei loro trasferimenti, non vi sono né Castrum Verdinium né gli altri due toponimi. Certamente questo ai monaci non interessava, perché importava loro che al monastero di Soreze fossero ancora applicabili le garanzie di Pipino. C’é una Villepinte in Francia ma si trova nel banlieu parigino, e la Villemagne più vicina a Soreze è a 70 chilometri abbondanti, da casello a casello. Questi tre luoghi francesi sono così distanti fra loro e da Aachen (l’Aquisgrana tedesca dove Pipino avrebbe dovuto imprimere il sigillo) da non poterli prendere neppure in minima considerazione. Mente invece le località del maceratese sono tutte prossime tra loro. Certo invece è che i francesi non si fanno scrupoli, infatti cercando Soreze sul web si può venire a conoscenza che castrum verdinium è l’“oppidum Bernicaut” una cima di roccia brulla e mai abitata, sui Pirenei (ndr: Pipino aveva donato ai monaci per il loro mantenimento due località presumibilmente prossime al costruendo monastero fertili e ubertose che con l’oppidum Bernicaut nulla hanno a che vedere).

Fonte: arch. Medardo Arduino il il sito http://larucola.org/2012/09/07/i-franchi-nel-maceratese/

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