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sabato 20 agosto 2011

LA CHIESA, ARTICOLAZIONE DEL LOCALE E DELL'UNIVERSALE

Con il termine universale si indica la cristianità romana- Durante i secoli V e VI la Chiesa appare come una collezioni di diocesi autonome in cui ogni vescovo è padrone e quello di Roma dispone solo di una preminenza simbolica. In epoca carolingia si riafferma l'unità cristiana e su istigazione dell'imperatore e del papa, Benedetto di Aniane unifica il monachesimo occidentale sulla base della regola benedettina mentre l'uniformazione liturgica diffonde le usanze romane ed eclissa piano piano le altre tradizioni. La centralizzazione pontificia divenne la forma  concreta presa dall'unità della cristianità. Il papa ne è l'incarnazione e la proietta al di la di se stessa, facendo appello alla crociata o accordando ai regni iberici un diritto di conquista garantendo il monopolio indispensabile allo sfruttamento del Nuovo Mondo (bolla Inter caetera di Alessandro VI del 1493 e Trattato di Tordesillas nel 1494).
Nei primi secoli del cristianesimo, la celebrazione eurcaristica è un atto di memoria. Il pane e il vino sono quindi simboli del corpo e del sangue di Cristo che servono a commemorare il suo sacrificio. Per Agostino, Cristo è presente nel sacramento come figura, cosicchè tra l'ostia e il corpo di Cristo esiste la stessa differenza che c'è tra un simbolo e la cosa che rappresenta. Prevale una vicinanza tra i fedeli e l'altare tanto più che il pane usato è lo stesso di quello destinato all'alimentazione (oblato) che verrà sostituito dal IX secolo dal pane non lievitato (azzimo). Secondo Berengario di Tours (che fu obbligato a ritrattare le sue concezioni nel 1059) l'eucarestia non è una evocazione simbolica e spirituale di Cristo ma una presenza sostanziale del Corpo di Cristo.  La bolla del 1059 afferma che "il pane ed il vino sono il vero corpo e sangue di Cristo, sono fisicamente presi e mangiati dai fedeli." Dal momento che l'ostia è identificato col corpo storico di Cristo si può affermare che Cristo è realmente presente al momento del sacramento. Così quando il prete consacra l'ostia si compie una metarmofosi, il pane ed il vino cessano di essere pane e vino per diventare il corpo e sangue di Cristo sebbene le apparenze del pane e del vino rimangono visibili. Questa trasformazione si chiama TRANSUSTANZIAZIONE. Per Tommaso d'Aquino la presenza fisica di Cristo nell'ostia si realizza in modo che il corpo del Salvatore è mangiato sotto la specie sacramentale. Così il gesto con il quale il prete innalza l'ostia appare nell'XI secolo a Torus come per sostenere il realismo eucaristico contro il pericolo delle teorie dichiarate eterodosse di Berengario. Poi tra il 1198 e il 1203 il vescovo di Parigi Eudes de Sully ne prescrive l'uso nella sua diocesi. L'Innalzamento esibisce la presenza reale di Cristo e la sottopone all'adorazione dei gedeli: questo gesto diviene così importante che focalizza l'attenzione dei fedeli al punto di apparire loro un sostituto della comunione. L'eucarestia è un oggetto talmente sacro e pericoloso che è meglio essere non troppo zelanti (la comunione è rara). IN questo modo l'assistere all'innalzamento dell'ostia appare una maniera meno pericolosa per adorare Dio e alcuni fedeli corrono addirittura da una chiesa all'altra per vedere il maggior numero di innalzamenti possibili trasformandosi così in "masticazione attraverso la vista". Per sviluppare questa nuova devozione, la chiesta istituisce il Corpus Domini. Praticata a Liegi nel XIII secolo, fu ufficializzata da Urbano IV nel 1264 e si sviluppa sotto l'impulso del papa avignonese Clemente V. Durata questa festa l'ostia consacrata esibita in un ostensorio trasparente e resa visibile a tutti i fedeli è portata in processione, sotto un baldacchino, attraverso al città poi viene celebrata una funzione speciale detta del Corpus Christi. Vi sono alcuni racconti che descrivono la profanazione dell'ostia, racconti spesso utilizzati contro gli ebrei ma di contro molti miracoli sono frequenti mirando a rafforzare il culto: così Gesù bambino appare nella mani del prete al momento dell'innalzamento dell'ostia a meno che l'ostia non sanguini sopra l'altare o si trasformi in carbone ardente nella bocca del prete malvagio. Tra i semplici fedeli, il desiderio di vedere l'ostia non viene meno facendo sempre concorrenza alla pratica della comunione. Attribuisce un potere accresciuto al prete capace di realizzare la "trasmutazione" del pane in carne e del vino in sangue. 
La presenza reale valorizza il rituale che si compie in ogni chiesa: lì è veramente presente il corpo di Cristo. Il luogo cessa di essere indifferente e i grandi santuari appaiono come frammenti di paradiso. Nell'epoca carolingia è necessario condannare la celebrazione dell'eucarestia nelle case private ricordando l'importanza della presenza delle reliquie nell'altare. Solo nei secoli XI e XII l'uso di un luogo sacro diventa oggetto di una giustificazione precisa resa necessaria dalla contestazione degli eretici. Coloro che sono interrogati dal sinodo di Arras del 1025 e poi i discepoli di Pietro di Bruis pretendono di ritornare alla pratica antica negando la necessità di un edificio di culto. Dinanzi a questo attacco gli ecclesiastici devono reagire ed affermare una dottrina del luogo ecclesiastico che faccia valere il suo carattere necessario e la sua sacralità. Così sebbene occorra riconoscere con Agostino che Dio è dovunque e non è racchiuso in nessun luogo, si afferma la necessità di un luogo speciale dove Dio è più presenti che altrove. Il luogo sacro è costituito attraverso il suo cuore (altare) e il suo doppio involucro (chiesa e cimitero). Il luogo di culto consiste in una congiunzione tra spirituale e materiale ed è per questo che in questo luogo attraverso il sacrificio rituale che vi si svolge si stabilisce una comunicazione privilegiata tra la terra e il cielo e tra gli uomini ed il divino. Il sacramento eucaristico non esalta solo la dignità del luogo sacro ma introduce anche la dimensione universale della chiesa. L'eurcaristia è un rito comunitario che fa sperimentare non solo la comunità degli individui presenti ma anche quella di tutti i cristiani vivi e morti. Rendere realmente presente il corpo di Cristo nell'ostia vuol dire far esistere la Chiesa come corpo e come comunità universale. Incorporando il corpo di Cristo i fedeli si incorporano al Corpo di Cristo (Chiesa). Ma l'articolazione del locale e dell'universale si manifesta attraverso la dualità delle reliquie associate ad una figura santa che spesso rimanda ad una iscrizione locale e l'ostia che prende un valore soprattutto universale. Se l'altare è il luogo di questa doppia iscrizione, lo è anche l'edificio ecclesiastico in quanto esso è nel contempo associato al santo che ne è il patrono e alla Chiesa celeste di cui è l'immagine. Al centro di ogni parrocchia c'è l'altare associato al corpo -reliquia del santo, poi il luogo ecclesiastico sacralizzato, e infine il cimitero.

Fonte: La Cività Feudale, Gerome Baschet, Newton & Compton

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