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lunedì 22 agosto 2011

DOTTRINA, RACCONTI DELL' ALDILA' E PRATICHE PER L'ALTRO MONDO

Solo il cristianesimo prevede una visione dualistica dell'aldilà: annunciato da Matteo e dall'Apocalisse il Giudizio Universale delinea la prospettiva alla fine dei tempi della venuta di Cristo che spedirà i cattivi nella dannazione e i giusti nel regno dei cieli. Il messaggio evangelico fonda la credenza quindi sulla gloria celeste del paradiso e il castigo eterno dell'inferno basato su una logica dell'inversione: la sorte nell'aldilà è la conseguenza del comportamento sulla terra producendone l'esatto compenso. Questa visione è disegnata da Sant'Agostino nella sua monumentale Città di Dio per difendere l'idea dell'eternità delle pene infernali. Infatti anche se risulta impossibile pensare ad un Dio misericordioso che condanna tutti i non battezzati, Agostino risulta irremovibile e combatte sentimenti troppo umani: il perdono ha i suoi limiti e le sue regole e lo splendore della giustizia divina impone che il castigo dei peccati capitali sia eterno.


Le concezioni dell'aldilà conoscono durante il Medioevo vari adattamenti: durante i primi anni del cristianesimo domina l'attesa del Giudizio Universale. Sebbene le preghiere per i morti indicano preoccupazione per la salvezza delle anime una grande incertezza avvolge il destino che esse conosceranno durante l'attesa della fine dei tempi. Agostino deve ammettere che le anime ricevono al momento della morte ricompense o castighi. A partire dal VII secolo la preoccupazione dell'aldilà e della sorte delle anime inizia ad avere impulso nell'ambito di un'affermazione delle esigenze del "governo delle anime" caro a Gregorio Magno. L'idea di un giudizio dell'anima prende forma in special modo con Beda il Veneravile sviluppandosi poi a partire dal XII quando alcuni teologi come Abelardo  integrano l'esame dell'anima tra le preoccupazione del pensiero erudito, e l'attenzione dei vivi si rivolge verso il destino dell'anima.

L'attesa del Giudizio Universale è una prospettiva fondamentale quindi se il giudizio dell'anima acquisisce durante il Medioevo una importanza crescente esso non eclissa il Giudizio Universale; per San Vittore e Tommaso d'Aquino il primo è nascosto ed individuale e solo il secondo ingloba i corpi. Il mondo dei vivi e il mondo dei morti, quindi, coesistono simultaneamente. I morti possono tornare sulla Terra e apparire ai vivi infatti si moltiplicano tra l'XI e il XII secolo racconti su spettri. Esiste tra la vita terrena e l'altro mondo una frontiera irriducibile e proprio su questo punto la Chiesa di distingue dalle rappresentazioni folcloriche degli abitanti di Montaillout del XIV secolo secondo i quali i morti non si dividono tra inferno e paradiso ma conoscono un destino omogeneo subendo la prova di girovagare la cui durata è variabile. Anche i pochi peccatori incalliti subiscono il proprio castigo sulle montagne circostanti e familiari: in simili rappresentazioni vivi e morti condividono gli stessi spazi.

Se nelle visioni dell'alto medioevo la descrizione dell'aldilà rimane confusa le visioni del XII secolo come quella del monaco Alberico di Montecassino descrivono i soggiorni nell'aldilà differenziando i luoghi in cui vengono inflitti i molteplici castighi. Numerose espressioni permettono di identificare i diversi luoghi di soggiorno dei morti, ma spesso i testi ricorrono alla dicitura "nel secolo futuro" o "nella vita futura" sia perché dal punto di vista cristiano non ha senso riunire il mondo glorioso del paradiso e tenebroso dell'inferno, sia perché manca una concezione del termine "spazio": in conseguenza di ciò può esistere solamente una serie di luoghi che la loro diversità impedisce di inglobare in una visione spaziale omogenea. Le trasformazioni del XII secolo non sono una creazione dal nulla ma sono il risultato di un processo lento e una vera innovazione. Un elemento determinante è la possibilità teologica di una rappresentazione localizzata del destino delle anime.

Questa teoria detta della "dilazione" riposa sulla necessità di rimettersi alle sentenze al momento del Giudizio Universale: infatti secondo Agostino le anime dopo la morte riposano in "depositi segreti" che non sono nè l'inferno nè il paradiso in quanto l'anima stessa è sprovvista di dimensione locale e quindi non può essere situata in nessun posto. L'anima separata non può essere situata nel paradiso o nell'inferno materiale ma unicamente in un luogo che avvia la sua stessa natura. Sebbene Gregorio Magno voglia abbandonare la dilazione, la tradizione di Agostino rimane forte fino all'inizio del XII secolo. Verso il 1100 l'Elucidarium di Augustodunensis afferma che i semplici eletti si trovano in un paradiso spirituale poiché le anime non possono essere contenute in un luogo materiale. Nella metà del XII con San Vittore l'anima è considerata localizzabile: priva di ogni dimensione locale essa non può creare nessuna estensione nel proprio luogo ma è delimitata da un luogo.

Nel secolo successivo la Summa Theologiae di Tommaso d'Aquino sintetizza e approfondisce questa trasformazione: lo spirito può essere considerato come unito ad un luogo corporeo nella misura in cui esiste in questo luogo e in nessun altro precisando che se le anime non possono ricevere nulla dal luogo in cui si trovano, è attraverso la conoscenza della natura dello stesso che le turba provando gioia o sofferenza. A partire dagli anni 1170-1180 si afferma che le anime accedono sin dalla morte a luoghi definitivi che sono l'inferno e il paradiso a meno che un periodo di purificazione non imponga un soggiorno nel purgatorio. I luoghi smettono quindi di essere dualistici. Si afferma allora il sistema dei 5 luoghi dell'aldilà (inferno, purgatorio, paradiso, limbo dei bambini e limbo dei padri).

Dal XII secolo è possibile parlare di una geografia dell'aldilà che si costituisce come un insieme di luoghi distinti e funzionali. Nel momento in cui la parte morta dei defunti si mischia ai vivi la parte vivente dei defunti deve essere soggetto ad una divisione ancora più rigorosa  al fine di evitare confusione. Mentre il culto dei morti si concentra nel cristianesimo, ora sono i vivi a dover rendere servizio ai morti. Secondo Agostino vi erano tre forme utili di suffragio: elemosina, eucaristia, preghiera. Nei secoli XI e XII una delle missioni delle comunità monastiche era assicurare la memoria dei defunti e questa è la ragione del loro successo come nel caso della chiesa cluniacense.

I necrologi manoscritti nei quali vi sono iscritti i nomi di coloro che godono del suffragio sono gli strumenti privilegiati che rafforzano il legame tra aristocrazia e clero. La festa dei morti il 2 novembre che Odilone di Cluny istituisce verso il 1030 è un importante segno dell'importanza che la Chiesa accorda al culto dei morti. Lo sviluppo della pratica testamentaria è un altro strumento sviluppando una sorta di "contabilità dell'aldilà" che ricorre alle elemosina ai poveri ma che si focalizza sulla riduzione del tempo di sofferenza nel purgatorio. La conseguenza era una aumento di messe sollecitate dai fedeli preoccupati di stabilire loro stessi il prezzo della loro salvezza. Altro mezzo era quello delle indulgenze che danno luogo ad una medesima contabilità il cui legame troppo evidente con gli interessi materiali della Chiesa sarà fonte di attacco da parte di martin Lutero.

Fonte: La Civiltà Feudale, Gerome Baschet, Newton & Compton

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