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giovedì 1 novembre 2012

ARALDICA MEDIEVALE 3: LE PIU' IMPORTANTI FIGURE DELL'ARALDICA

L’araldica del pieno Medioevo non adopera più solo fra le sue più nobili figure il leone o l’aquila. Altri animali apparentemente meno nobili appaiono nelle armi di gentiluomini di grande importanza. Il cervo, il cinghiale, la lepre, e poi pesci ed esseri marini, come il luccio, lo storione, il delfino. Non si tratta, per lo più, di armi parlanti. Quando lo stemma non è successivo all’esistenza di un cognome-soprannome, siamo in presenza di emblemi che rappresentano una dignità ricoperta da un componente della famiglia. Nel Medioevo, infatti, e fino ad epoche relativamente a noi vicine, in tutti gli Stati europei i diritti di caccia, di pesca e di raccolta appartenevano al sovrano o ai grandi signori feudali cui erano stati concessi. In pratica, non si aveva il diritto di cacciare e di pescare nelle sterminate riserve reali e nelle terre dei nobili, sotto pena di gravissime sanzioni. In genere, le classi sociali elevate nutrivano per l’attività venatoria una passione che sconfinava nello sport e che spesso era un passatempo indispensabile per rifornire i grandi banchetti con quelle cacciagioni che facevano strabiliare i convitati. Destrieri, mute con centinaia di cani, falconi, e poi servi, stallieri, battitori, scudieri, falconieri, scuoiatori, accompagnavano le cavalcate del re o del signore, e insieme a cuochi ed aiutanti lo aiutavano ad $$aumentare il suo prestigio verso sudditi ed ospiti. I grandi animali portati al castello venivano marinati, frollati, cucinati, manipolati, infilzati su enormi spiedi, collocati in pentole enormi fino a diventare l’uno il contenitore dell’altro, e poi ricoperti di miele, salse e persino lamine d’oro.
Ma la caccia e la pesca costituivano anche una fonte continua di cospicue rendite poiché le pelli e il pesce si vendevano ai numerosi mercati medievali e garantivano il flusso monetario indispensabile in un’epoca in cui la maggior parte delle entrate era in natura. Così come il legname degli enormi alberi era necessario per l’edificazione delle case e la costruzione delle navi. E dunque le foreste andavano protette, regolamentate le attività che vi si svolgevano. Un piccolo esercito di trombettieri e cornette, guardiacaccia, guardiaboschi, ufficiali di caccia, sovrintendenti, esattori, andava dai castelli alle foreste alle città ed ai torrenti. Al di sopra di essi, quando si trattava del sovrano, terre e personale erano sottoposte a un altissimo personaggio come, in Francia, il Gran Cacciatore, il Gran Falconiere, il Grande Ufficiale per la Caccia al lupo. Tutti costoro avevano spesso nelle proprie armi l’orso, il cervo, il daino, il capriolo o le corna di questi animali, la volpe, il tasso, il castoro, il lupo, il cane, ed ornamenti esterni che costituivano il segno della dignità ricoperta. Così i lacci del falcone o i corni di caccia. A tutti questi significati storici, naturalmente, si unisce quello delle armi parlanti che richiamano il cognome familiare, come il tasso per lo stemma della stirpe del famoso poeta Torquato che tuttavia contiene anche il famoso corno di caccia. E poi, la figura esprime il significato di una storia personale o una distinzione familiare: la volpe è simbolo dell’astuzia, il cavallo di prontezza, il castoro di perseveranza e intelligenza, il bove di operosità, il montone di forza, la cicogna di pietà, il pellicano di carità.
Ma questo è pure lo stesso motivo della nascita di cognomi e stemmi guerrieri che avevano contraddistinto i più antichi cavalieri del passato che avrebbero avuto cognomi come Alibrandi, Lanza, Spada, Shakespare (scuotilancia).

Articolo di proprietà esclusiva di Carmelo Currò


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