Ecco alcuni simboli tra i più comuni:

La sigla JHS o Trigramma (in alfabeto greco JЙΣ) compare per la prima volta nel III secolo fra le abbreviazioni utilizzate nei manoscritti greci del Nuovo Testamento, abbreviazioni chiamate oggi Nomina sacra. Essa indica l'abbreviazione del nomeΙΗΣΟΥΣ ( cioè "Iesous", Gesù, in lingua greca antica e caratteri maiuscoli).
La sigma (la esse), che nell'originale greco era scritta nella forma di sigma lunata, molto simile a una "C", da cui le varianti tardo-antiche: IHC oppure JHC, nell'alfabeto latino divenne una S a tutti gli effetti e la H che in greco è una eta (cioè una E) fu scambiata per acca per cui nel Medio Evo il simbolo fu riportato con un significato differente: JESUS HOMINUM SALVATOR (Gesù Salvatore degli uomini).
Nel corso dei secoli il simbolo fu arricchito dai copisti con segni e tratti artistici fino ad intrecciare le lettere tra di loro e divenendo più un disegno grafico che un simbolo di qualcosa. Quando si cercò di mettere ordine e chiarezza, intorno al XVI secolo, il tratto superiore che indica in greco che si tratta di una abbreviazione, si combinò con un tratto verticale così da formare una croce o un trifoglio.
E' così che la troviamo rappresentata un po' dappertutto: su affreschi, quadri d'altare, miniature, chiavi di volta, paramenti sacri. A volte è rappresentato al centro di un sole raggiante, come sigillo di alcune antiche città, intendendo che l'irraggiamento del cristianesimo è il cemento ideale per ogni società.
La sigma (la esse), che nell'originale greco era scritta nella forma di sigma lunata, molto simile a una "C", da cui le varianti tardo-antiche: IHC oppure JHC, nell'alfabeto latino divenne una S a tutti gli effetti e la H che in greco è una eta (cioè una E) fu scambiata per acca per cui nel Medio Evo il simbolo fu riportato con un significato differente: JESUS HOMINUM SALVATOR (Gesù Salvatore degli uomini).
Nel corso dei secoli il simbolo fu arricchito dai copisti con segni e tratti artistici fino ad intrecciare le lettere tra di loro e divenendo più un disegno grafico che un simbolo di qualcosa. Quando si cercò di mettere ordine e chiarezza, intorno al XVI secolo, il tratto superiore che indica in greco che si tratta di una abbreviazione, si combinò con un tratto verticale così da formare una croce o un trifoglio.
E' così che la troviamo rappresentata un po' dappertutto: su affreschi, quadri d'altare, miniature, chiavi di volta, paramenti sacri. A volte è rappresentato al centro di un sole raggiante, come sigillo di alcune antiche città, intendendo che l'irraggiamento del cristianesimo è il cemento ideale per ogni società.

Il termine ichthýs è la traslitterazione in caratteri latini della parola in greco antico ἰχϑύς, "pesce", ed è un simbolo religioso del Cristianesimo perché è l’acronimo delle parole:
'Ιησοῦς Χριστός Θεoῦ Υιός Σωτήρ
(Iesùs CHristòs THeù HYiòs Sotèr)
Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore
(Iesùs CHristòs THeù HYiòs Sotèr)
Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore
Si definisce ichthýs il simbolo di un pesce stilizzato, formato da due curve che partono da uno stesso punto, a sinistra (la "testa"), e che si incrociano quindi sulla destra (la "coda").
La simbologia cristiana dei tempi delle Persecuzione dei cristiani nell'impero romano (I-IV secolo) è molto ricca. A causa della diffidenza di cui erano oggetto da parte delle autorità Imperiali, i seguaci di Gesù sentirono l'esigenza di inventare nuovi sistemi di riconoscimento che sancissero la loro appartenenza alla comunità senza destare sospetti tra i pagani.

Veniva presumibilmente adoperato come segno di riconoscimento: quando un cristiano incontrava uno sconosciuto di cui aveva bisogno di conoscere la lealtà, tracciava nella sabbia uno degli archi che compongono l'ichthýs. Se l'altro completava il segno, i due individui si riconoscevano come seguaci di Cristo e sapevano di potersi fidare l'uno dell'altro.

il Chi Rho è per antonomasia il monogramma di Cristo (nome abbreviato talora in chrismon o crismon). Esso è un monogramma costituito essenzialmente dalla sovrapposizione delle prime due lettere del nome greco di Cristo, X(equivalente a “ch” nell'alfabeto latino) e P (che indica il suono “r”). Alcune altre lettere e simboli sono spesso aggiunti.
INRI: è il Titulus crucis, un acronimo ottenuto dalla frase latina Iesous Nazarenus Rex Iudaeorum, che significa: Gesù di Nazaret, re dei giudei. Secondo i Vangeli la scritta fu voluta da Pilato e posta sopra la croce di Gesù crocifisso.
ICXC: è un acronimo ottenuto dalla prima ed ultima lettera delle due parole Gesù e Cristo, scritte secondo l'alfabeto greco (ΙΗΣΟΥC ΧΡΙΣΤΟC Si noti che la lettera finale sigma (esse) viene scritta nella forma lunata che ricorda la lettera latina C). Compare molto spesso sulle icone ortodosse, dove il monogramma può essere diviso: "IC" nella parte sinistra dell'immagine e "XC" nella parte destra.


Α-Ω Alfa e Omega: sono la prima e ultima lettera dell’alfabeto greco, indicano che Cristo è l’inizio e la fine di tutto secondo la citazione dell’Apocalisse.

Dopo la profezia di Isaia, «Dio ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. Lo si maltratta, e lui patisce e non apre bocca, simile all'agnello condotto al macello», Giovanni il Battista dirà di Gesú che gli veniva incontro nella valle del Giordano: «Ecco l'agnello di Dio: ecco Colui che toglie i peccati del mondo».
Il venerdì santo Gesù, come vi ttima espiatoria, prende su di sé i peccati dell'umanità ed assume il senso del sacrificio dell’agnello preparato per la pasqua ebraica e il ruolo salvifico del sangue con cui gli ebrei avevano contrassegnato le loro porte prima dello sterminio. Per questo suo patire, le più antiche immagini ce lo mostrano coricato e non in piedi. Il simbolo però, rimanda anche al Cristo resuscitato e glorificato, come si legge più volte nell’Apocalisse. In questo caso, la docile bestia si afferma non solo come il Purificatore del mondo, ma anche come il dominatore, e l'iconografia medievale ce la presenta con una croce che le trapassa il corpo da parte a parte e verso la quale la sua testa si rivolge con la bocca semiaperta ad invitare con le parole del Signore: «Venite a me che sono dolce e umile di cuore e troverete il riposo delle vostre anime».
Per evitare confusione di culti e di credenze che avrebbero potuto sorgere per analogie di simboli (nel culto di Dioniso i fedeli sacrificavano un agnello per indurre il dio a tornare dagli inferi), il Concilio di Costantinopoli del 692 impose che l’arte cristiana rappresentasse il Cristo in Croce, non più sotto la forma dell’agnello affiancato dal sole e dalla luna, ma in forma umana.

Per i primi tre secoli la troviamo raffigurata sepssissimo sulle tombe e sugli epitaffi, ma dopo Costantino sparì quasi del tutto sostituita apertamente dalla croce. Nel Rinascimento prima e nell'Umanesimo dopo, riappare con significato diverso e divenendo simbolo della seconda virtù teologale: la speranza cristiana. Secondo san Paolo l’ancora a cui affidarsi è Cristo.

Il suo culto nasce in Egitto e ad esso venivano attribuiti importanti significati che la rendevano un uccello di buon auspicio e dal grande significato spirituale.
La Fenice venne associata al dio del sole Ra, divenendone l’emblema, tanto che il Bennu (il nome iniziale che poi in Grecia mutò in Fenice) divenne il gero glifico con cui si rappresentava la divinità del sole. A differenza di quanto possa far immaginare il nome, secondo le leggende la Fenice è unicamente maschio.
Celebre per essere l’uccello che risorge dalle proprie ceneri, divenne per questo simbolo della resurrezione di Cristo.
La leggenda narra che quando la fenice si sentiva prossima alla morte, raccoglieva erbe aromatiche quali sandalo, mirto, mirra, cannella e si costruiva un grande nido a forma di uovo e qui si lasciava morire arsa dalle sue stesse fiamme. Dalle sue ceneri nasceva un uovo che il sole faceva nascere e schiudere in tre giorni dando vita ad una nuova Fenice che volava via subito.


Per la sua bellezza e' stato raffigurato in molti preziosi mosaici rinvenuti nelle dimore dei patrizi romani, per i quali simboleggiava l'incorruttibilita'.
Si riteneva che sue carni, in particolari condizioni, non sarebbero mai anda te in putrefazione. Per questo era considerato anche come un simbolo di immortalita'.
La straordinarieta' di questo uccello non finiva qui. Il fatto che nella stagione invernale perdesse le piume e ne acquistasse di nuove ed addirittura piu' belle a primavera, fece si' che il mondo cristiano dei primi secoli lo adottasse come simbolo di resurrezione. Questa e' la ragione per cui le sue raffigurazioni sono state ritrovate numerose nelle catacombe di Roma.

In effetti è curioso come questo uccello marino trattiene il cibo pescato in una sacca che ha sotto il becco e giunto al nido nutre i piccoli con esso curvando il becco verso il petto per estrarne i pesciolini. Gli antichi, erroneamente, pensarono che l’animale si lacerasse le carni per farne uscire il sangue con cui nutrire i piccoli pellicani affamati. Per questo, il pellicano è divenuto, durante il Medio Evo, il simbolo dell’abnegazione con cui si amano i figli e ne ha fatto l’allegoria del supremo sacrificio di Cristo, salito sulla Croce e trafitto al costato da cui sgorgarono il sangue e l’acqua, fonte di vita per la salvezza degli uomini.
Ecco perché esso compare spesso scolpito in molti altari e ricamato o dipinto nelle casule dei sacerdoti ancora oggi.
La na
ve: Il simbolo della nave come mezzo di salvezza affonda le sue radici già nell’Antico Testamento, nell’archetipo dell’arca di Noè, mezzo di salvezza per il resto di Israele rappresentato dal patriarca e dalla sua famiglia.
Il passaggio di senso e di significato al Nuovo Testamento, con Cristo che placa le acque tempestose del mare di Galilea, e poi alla Chiesa tra le tempeste delle persecuzioni dei primi secoli è abbastanza immediato. Va subito notato che inizialmente la nave è l’oggetto della salvezza: una salvezza che viene dall’Alto, tramite l’intervento miracoloso di Gesù, che la conduce al porto sicuro del Regno messianico. Successivamente essa stessa diventerà mezzo di salvezza per coloro che vi salgono a bordo con chiaro riferimento alla Chiesa e con tutte le conseguenze del caso: “fuori dalla Chiesa nessuna salvezza”.
In ogni caso la rappresentazione pittorica della nave, presente in molti monumenti funerari come segno della speranza di eternità, prevede quasi sempre la presenza della croce, ora stilizzata sulla vela, ora rappresentata con l’incrocio dell’albero maestro, per l’importanza che questa aveva nella simbologia cristiana primitiva.
La na

Il passaggio di senso e di significato al Nuovo Testamento, con Cristo che placa le acque tempestose del mare di Galilea, e poi alla Chiesa tra le tempeste delle persecuzioni dei primi secoli è abbastanza immediato. Va subito notato che inizialmente la nave è l’oggetto della salvezza: una salvezza che viene dall’Alto, tramite l’intervento miracoloso di Gesù, che la conduce al porto sicuro del Regno messianico. Successivamente essa stessa diventerà mezzo di salvezza per coloro che vi salgono a bordo con chiaro riferimento alla Chiesa e con tutte le conseguenze del caso: “fuori dalla Chiesa nessuna salvezza”.
In ogni caso la rappresentazione pittorica della nave, presente in molti monumenti funerari come segno della speranza di eternità, prevede quasi sempre la presenza della croce, ora stilizzata sulla vela, ora rappresentata con l’incrocio dell’albero maestro, per l’importanza che questa aveva nella simbologia cristiana primitiva.
Articolo di Saverio Schirò
http://www.gruppo3millennio.altervista.org/index.php/spiritualita/catechesi/199-i-simboli-del-cristianesimo
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