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sabato 19 gennaio 2013

I FANTI DA MAR, I PRIMI MARINES

I “fanti da mar”, ossia "i soldati marini" (poi oltremarini), della Serenissima erano un corpo militare molto importante. La loro origine è ignota. Pare che i primi riferimenti siano riconducibili alla quarta crociata, quando, agli ordini dell’ottuagenario e mezzo cieco Doge Enrico Dandolo, un gruppo di soldati riuniti in un reggimento, vennero impiegati in un’azione anfibia per la conquista di Costantinopoli. Poi per un lungo periodo, ossia dal 1204 al 1550, quando abbiamo nuovamente riferimenti a tale corpo, non si hanno più notizie delle loro azioni militari. Tornarono invece di attualità durante la guerra di Morea, quando vennero nuovamente utilizzati dal “Capitan da Mar” Francesco Morosini. In questo caso abbiamo dei validi esempi di partecipazione attiva dei “fanti da mar” per la campagna anfibia organizzata dal valido ammiraglio veneziano. Questi soldati facevano parte della Armada della Serenissima, ossia della Marina veneziana, ma erano di fatto dei veri e propri fanti di terra. Il loro comandante, durante la spedizione in More, fu Nicolò, conte di Strassoldo, che venne esplicitamente richiamato per l’occasione. La prima menzione di utilizzo effettivo dei “fanti da mar” avvenne nella conquista della fortezza di Navarrino Nuovo. Al suo interno si trovavano, per la difesa della città, ben 10mila soldati e 2000 cavalieri turchi. Morosini, invece, poteva schierare in campo circa la metà degli uomini, all’incirca 4000 effettivi. Il suo piano era così astuto che la differenza tra i due eserciti sarebbe stata superata e quasi del tutto annullata. Egli infatti aveva pensato ad un attacco su due fronti: il primo da parte della flotta veneziana con un robusto bombardamento, il secondo, invece, con l’impiego delle truppe di terra guidate dal Capitano Generale Corner. Una volta che questi due attacchi si erano concretizzati, Morosini avrebbe utilizzato il suo coup de théâtre, vale a dire l’attacco da parte dei “fanti da mar” sbaragliando le solite tattiche e creando l’effetto sorpresa. Fu così che le galee vomitarono diversi gruppi di soldati marini che, protetti dal fuoco di copertura da parte della flotta, attaccarono la fortezza. Navarrino capitolò e fu conquistata dall’esercito veneziano. L’attacco, per la prima volta, era avvenuto da tre fronti, mare, terra e anfibio. La nuova tattica fu ampliamente utilizzata in tutta la guerra di Morea e l’impiego dei “fanti da mar” fu sempre più massiccio e sempre più impegnativo. Il sette luglio del 1686 fu presa Modone, uno dei due occhi della Repubblica, poi fu il turno di Argo che fu conquistata grazie all’uso intelligente di questa nuova truppa. La città era difesa dal generale Mustafà Pascià e dalle sue ingenti truppe ottomane. Anche in questo caso l’attacco a tenaglia prevedeva l’utilizzo dalle truppe “da tera” guidate da Königsmarck, e quelle dal mare guidate dal Morosini. La Marina veneziana iniziò l’attacco con un fortissimo bombardamento dal mare, puntando direttamente le possenti mura nemiche. Diversi colpi andarono a segno e furono aperte due grosse brecce nella fortificazione. Una volta che si erano creati degli spazi abbastanza nitidi, il “General da Mar” fece uscire le sue truppe anfibie e grazie a piccole imbarcazioni riuscirono ad entrare nella città costringendo i Turchi alla resa. Una volta vinta la battaglia urlarono “Viva San Marco” il motto dei “fanti da mar” che ancora oggi è utilizzato dal corpo militare anfibio chiamato Lagunari.
Fu forse la più grande manifestazione di forza dell’esercito veneziano, ormai sulla lenta fase del declino. I fanti da mar diedero il loro importante contributo alle conquiste di Morea.

Dove venivano reclutati i “fanti oltremarini”?

Non si conosce l’etnia dei fanti ma è probabile che fossero dei soldati che conoscevano bene il mare. Molti di questi combattenti erano di origine “schiavona”, ossia provenivano dalle terre outremer (“oltremarino”) veneziano, vale a dire Dalmazia, Albania e Grecia. Questi formavano undici reggimenti, ciascuno di otto compagnie, e potevano utilizzare la loro lingua durante le operazioni belliche. La loro base operativa si trovava a Zara, mentre la famosa riva a Venezia, che porta ancora il loro nome, era il luogo del loro reclutamento. A Venezia c’è ancora adesso una Scuola (ossia un'antica istituzione di carattere associativo-corporativo), chiamata “Scuola di San Giorgio degli Schiavoni” e si trova nel Sestiere di Castello. Al tempo della Serenissima era sede e ritrovo di tutti gli Schiavoni illustri che abitavano in città. Il corpo degli “Oltremarini” era munito di un incredibile coraggio e, di una abnegazione tale alla causa di Venezia, da essere ricordati come i “fedelissimi di San Marco”. Nel 1368 a Perasto, gli Schiavoni dimostrarono il loro attaccamento alla loro madre patria nella guerra contro Trieste da guadagnarsi il titolo di “Fedelissima Gonfaloniera”. Al contrario, la loro disciplina era il loro punto debole. Quando gli Schiavoni furono inviati a Padova per il servizio di vigilanza, furono acquartierati fuori dalle mura per via delle continue risse nelle quali erano costantemente coinvolti. Il 12 maggio del 1797 quando Venezia cadde in mano ai Francesi, gli Schiavoni furono gli ultimi ad abbandonarla, dimostrando ancora una volta la loro dedizione alla loro madre patria.

L’armamento e il vestiario

Il loro vestire era sempre lo stesso e vantava una lunga tradizione. Solo negli ultimi anni della Repubblica venne sancito legalmente con un decreto del Senato il 24 febbraio del 1724. Gli Oltremarini vestivano con colori cremisi e portavano un copricapo di martora o faina, sia il panciotto che la giacca, che veniva indossata sopra, avevano ricamati degli alamari in base al grado. I pantaloni erano di solito molto stretti, le scarpe erano di feltro e una fascia azzurra veniva cinta a mo’ di cintura. La divisa da parata, invece, consisteva in una giacca lunga di color rosso cremisi con dei risvolti blue. Erano soliti portare con loro la sciabola, detta appunto “schiavona”, che aveva la caratteristica di essere molto pesante ed era a lama larga ricurva. Ognuno aveva una pistola ad avancarica, un pugnale a lama lunga, e un fucile senza baionetta. Gli ufficiali invece si distinguevano per gli ornamenti più raffinati e per avere in dotazione un bastone, simbolo del loro grado e ovviamente del comando. Usavano tenere i capelli lunghi e molte volte incolti, si lasciavano crescere lungi baffi, caratteristica che divenne cliché del loro corpo.

Articolo di Nicola Bergamo, tutti i diritti riservati

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