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mercoledì 6 luglio 2016

ASSOCIAZIONE BANDERENTIUM

A.S.D. Banderentium

L’associazione Banderentium nasce dalla memoria storica della Felice Società dei Balestrieri e Pavesati e del giusto Governo di Roma della fine XIV sec. L’associazione eredita l’esperienze del gruppo Arcieri Storici Romani, che a sua volta, nasce dalle conoscenze dei singoli partecipanti, per tanto si tratta di capacità organizzative, rievocative e sportive sin dai primi anni del 2000.

Fanno parte dei Banderentium istruttori delle federazioni Fiarc e FITAST, affiancati da istruttori di scherma storica medievale, storici, archeologi e maestri di tamburo. Gli elementi del gruppo sono rigorosamente abbigliati secondo la moda del A.D. 1358 e si compone di dame, armigeri, arcieri, balestrieri, magister e mastri. Tuttavia siamo in grado di coprire un periodo storico che va dal XIII sec al XV sec.

Negli eventi siamo in grado di offrire:
  • Allestimento di spazi, a livello didattico, dello studio dell’evoluzione storica di archi, frecce, spade e balestre.
  • Laboratori di costruzione archi, frecce, faretre, manufatti di cuoio, ceramica.
  • Laboratori di archeologia sperimentale.
  • Laboratori di tessitura e tintura secondo la tradizione medievale.
  • Allestimento di spazi per prove di tiro con arco e scherma.
  • Ricostruzione di accampamenti medievali.
  • Spiegazioni sull’architettura medievale e l’arte dell’assedio.
  • Corsi introduttivi alla attività sportiva dell’ arco.

A questo si aggiungono i contesti di giuochi e cimenti in cui lo spettatore e coinvolto direttamente in tutta sicurezza : in giochi di abilità, duelli di spada, tiro con arco.

Email: eventi@banderentium.it

La figura del banderese emerge, alla fine del XIV secolo, a seguito della riforma dell’ istituzioni comunali romane da parte di Innocenzo VI (1352-1362). La Roma, del basso medioevo, era una città ridotta dalle malattie, dalle carestie e dalle guerre intestine a uno spettro. Le vestigia marmoree, coperte da rampicanti, sono solo il vago ricordo di un glorioso passato. Tra le sue vie si consumano violenze di ogni tipo. Le faide delle famiglie nobili romane sono il risultato dei continui tentativi di impossessarsi del potere vacante. Infatti dal 1309 la sede pontificia è nella ricca e pacifica Avignone. I papi, nonostante si dichiarassero dispiaciuti dello status della città e lanciassero sterili invettive ai nobili romani, hanno abbandonato a se stessa la popolazione. Tra il 1309 al 1356 varie figure si alternarono nelle vesti di signori della città. Dai capostipiti delle famiglie dei Colonna, Caetani, Savelli, ai capipopolo dei tredici rioni romani, tra di essi spicca Cola di Rienzo che per un brevissimo periodo fa risorgere l’orgoglio cittadino.

Migliaia di occhi e implorazioni si rivolgono ad Avignone affinché si ponga fine alla decadenza della città. Tra di essi emergono le voci di Santa Caterina da Siena, Petrarca e la regina Giovanna di Napoli. Innocenzo VI emana, dunque, nel 1356 la prima delle due riforme dello statuto comunale romano. Istituisce un governo presieduto da un senatore, straniero, coadiuvato da sette riformatori e da due Banderesi, comandanti della milizia. Ben presto il senatore diventa una carica puramente formale, essendo questo estraneo alla città e ai suoi problemi, mentre i sette riformatori hanno il compito di legiferare, i banderesi hanno libertà d’azione.

La difesa cittadina è riorganizzata, partendo dalle novità introdotte dal Cola di Rienzo, con il nome della Felice Società dei Balestrieri e dei Pavesati. La milizia è formata da tremila uomini prelevati, con servizio di leva, dai tredici rioni della città. Sono suddivisi in due armate da millecinquecento armigeri con a capo un banderese, dal tedesco Banderen per via dei grandi vessilli che li distingueva. Alle dipendenze dei banderesi, c’era un conestabile supervisore di un centinaio di uomini. La Felice Società è costituita da due figure: i balestrieri e i pavesati. I primi erano equipaggiati di balestre, cotte di maglia, elmi, e cavalli. Avevano il compito di pattugliare il territorio delle campagne circostanti, per allontanare compagnie di ventura e briganti. I secondi, equipaggiati con elmi, corazze, spade e pesanti scudi dal nome di pavese, avevano il dovere di garantire l’ordine pubblico all'interno della città.

Con il nuovo governo si riorganizzano anche l’apparato pubblico, la riscossione delle tasse, l’applicazione delle leggi. In pochi anni i Banderesi restituiscono a Roma e ai Romani la propria dignità. Una volta pacificata la città, le loro attenzioni si rivolgono al contado riportando i comuni, che nel periodo di caos erano fuoriusciti, sotto i vessilli romani. I papi, che succedettero a Innocenzo VI, furono grati della loro azione che consentì loro di rimanere, almeno di nome, signori dello Stato Pontificio, ma al tempo stesso temevano la loro presenza in quanto eccessivamente autonoma e autoritaria. Infatti la città di Roma si definisce una Repubblica Popolare del Popolo Romano.

Con tali motivazioni il rientro della sede papale divenne un necessità di sopravvivenza. Nel 1377 Gregorio XI sbarca a Ostia e scortato dai Banderesi stessi, entra acclamato dal popolo nella città. Pochi giorni furono sufficienti per portare a uno scontro i due poteri. Una lotta che si protrarrà fino al 1398, quando, Bonifacio IX riesce a sottrarre la Felice Società dal comando dei Banderesi. I balestrieri e i pavesati, fiaccati dai lunghi anni di guerre e guerriglia, non aderiscono più al sogno dei loro capi, di uno stato liberale. I banderesi sfuggono alla cattura riparando a Terracina da Onorato di Fondi. Lì organizzano un esercito.

I cospiratori riescono a penetrare in città e cingere d’assedio la rocca del Campidoglio, ma la sperata resa della guarnigione assediata e l’aiuto del popolo romano non giungono. Il primo perché ben difeso dal vice senatore, la seconda perché i romani desideravano di più lucrare sul prossimo giubileo del 1400, come aveva previsto il papa, che riavere la propria autonomia. Una notte di agosto del 1398, assieme ai due banderesi, vede la morte dell’ autonomia comunale e della libera Repubblica Romana.

Articolo di Giuseppe Benevento

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