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domenica 16 giugno 2013

I BERROVIERI IMPERIALI

Filippo l’arciere si posizionò sul tetto della bassa casa in attesa che l’esercito nemico si avvicinasse agli armigeri di Cangrande I della Scala. Si trovava già da alcune settimane nei pressi di Montebello, infatti il Signore di Verona aveva deciso di abbandonare Vicenza e tornare a Verona. Per fortuna non ne posso più di combattere e uccidere popolani innocenti, pensò più di una volta. Lui e l’esercito avevano partecipato a molte scorrerie in territorio padovano, devastando le culture e trucidando i contadini che si opponevano. Il Cane nell’agosto 1313 aveva udito che i patavini avevano ripreso le scorrerie in territorio vicentino ed era preoccupato che il comandante dell’esercito guelfo potesse entrare a Verona devastandola. Padova si era illusa di poter sconfiggere facilmente i ghibellini dopo la morte improvvisa dell’Imperatore Enrico VII a Buonconvento, tuttavia secondo la sua opinione Cangrande sembrava animato da una missione superiore e loro continuavano a marciare con risolutezza e coraggio contro un nemico superiore. Filippo strizzò gli occhi grigi e nella lieve foschia che precedeva l’alba e notò il luccicare delle armi avversarie colpite dalla prima luce. Entro un’ora al massimo saranno al villaggio, pensò accigliandosi. Non aveva timore di morire, lo spaventava maggiormente la possibilità di finire mutilato durante la battaglia.

“ Filippo cosa vedi?”, gli domandò Luigi, un giovanissimo fante suo amico.

“ Solo il vago chiarore delle lame rivali”, replicò lui non volendo terrorizzare il giovane uomo. Se preso da panico il ragazzo si fosse dato alla fuga, il Signore della città o uno dei suoi cavalieri lo avrebbero inseguito e punito con la morte, vanificando l’eventualità per la sua famiglia d’ottenere i bottini guadagnati in razzie e spogliandola di ogni altro possedimento. Il tempo passò lento e Filippo preparò la freccia nella scocca.

“ Sono qui, preparati!”, urlò all’amico appena sedicenne.

Lui vide il giovane uomo acquattarsi dietro il muro di una casa e rimanere fermo in attesa che la lotta terminasse. Non gli diede torto, trovarsi di fronte uomini adulti, robusti il doppio e pesantemente armati avrebbe impaurito chiunque. Il fante era basso di statura per la sua età e non particolarmente robusto. Infine la lotta iniziò e l’arciere si concentrò sull’arco dimenticandosi di tutto il resto. Per fortuna pare solo un’avanguardia guelfa, pensò Filippo scendendo dal tetto, i nemici si stavano allontanando dalla sua linea di tiro e non poteva più centrarli. All’improvviso un gruppo lo circondò e lo avrebbero certamente ucciso se uno dei cavalieri ghibellini non si fosse precipitato in suo soccorso. Filippo lo ringraziò con un breve cenno e con agili movimenti salì su un altro riparo. Iniziò a scoccare ancora , i guelfi stanno per essere sconfitti, gioì lui da quell’altezza. Infatti gli armigeri Scaligeri erano riusciti a uccidere o mutilare tutti i patavini presenti nel piccolo abitato. Quando scese andò subito in cerca di Luigi, tuttavia non riuscì a scorgere il giovane fante da nessuna parte. E’ possibile che sia fuggito o morto?, s’interrogò lui. In quegli anni oscuri l’ineluttabilità della morte rendeva gli uomini più fatalisti e credenti nello stesso tempo. L’arciere scrutò il cielo e notò che la mattina stava invecchiando e il meriggio s’avvicinava velocemente.

“ Arciere Filippo, il capitano desidera vederti”, lo informò lo scudiero del superiore.

“ Hai per caso visto quel giovane fante tuo amico? Non ha risposto all’appello e non è tra i morti”, lo interrogò l’uomo all’interno della tenda da campo.

“ No capitano. Non lo vedo dall’inizio del conflitto”, affermò lui, “ è possibile che il cadavere non sia ancora stato trovato”, suggerì lui.

“ Va bene”, lo congedò il superiore.

Filippo uscì dalla tenda angustiato, non posso notificargli dei miei sospetti, lo farebbero subito inseguire. Se è furbo si è già messo in cammino e continuerà la marcia anche con le tenebre, soppesò lui toccandosi pensierosamente il pizzetto castano. Una mezz’ora più tardi osservò uno dei cavalieri montare il proprio destriero, Filippo che lo conosceva bene s’azzardò ad interrogarlo.

“ Dove state andando cavaliere?”, sondò lui.

“ A cercare un giovane fante assente all’appello. Il capitano sospetta sia un disertore”.

Filippo rabbrividì, se lo troverà sarà la fine per quello sconsiderato ragazzino, non poté far meno di pensare. L’arciere non rimuginò oltre sull’argomento e quando il nobile lasciò il campo fu attirato dal profumo del cibo che invitate proveniva dalla zona cottura e s’accaparrò un pezzo di pernice con una tazza di vino pesantemente speziato e addolcito con miele. Dopo il pasto, per celebrare la vittoria, i soldati andarono in cerca di donne disponibili. Nel minuscolo abitato non ce n’erano, la prostituzione fioriva solo nei grandi centri, non sicuramente in quel piccolo angolo di mondo. Filippo giunse giusto in tempo per salvare una ragazzina di circa 12 anni dalla violenza di molti uomini. Non posso lasciarla violentare senza fare nulla, lei potrebbe essere mia sorella minore, soppesò angosciato. La trascinò con sé mentre lei piangeva e si dibatteva.

“ Sta ferma, sto cercando di salvarti”, le disse in veronese.

La ragazzina strabuzzò gli occhi e cercò di scappare dalla sua presa ancora più disperatamente.

“ Ho bisogno di vedere il capitano”, asserì lui alla guardia che piantonava la tenda del nobile.

Il fante entrò un minuto uscendone dopo alcuni istanti.

“ Entrate”, affermò il piantone.

Filippo e la ragazzina avanzarono.

“ Capitano, gli armigeri ubriachi stanno abusando di tutte le donne presenti nel villaggio”, sostenne lui.

L’uomo, un cavaliere quarantenne di chiara fama non sollevò un sopracciglio.

“ Fa parte della loro ricompensa, molti guerrieri decidono di prendere le armi solo per questo”, ammiccò questi, “ dovresti divertirti anche tu”, lo rimproverò il capitano.

“ Le ammazzeranno e il popolo vicentino ci odierà. Ai villani non importa della causa ghibellina” vociò lui lasciando la giovane.

“ Questa si chiama insubordinazione arciere, cosa vuoi che c’importi di contadini cenciosi e affamati. Noi scaligeri combattiamo per il controllo del territorio”, sentenziò questo infine.

La ragazzina nel frattempo si era accovacciata in un angolo della tenda tenendo fermamente le ginocchia al petto. Povera ignorante creatura, cresciuta per lavorare la terra e generare figli al futuro marito, non poté evitare di pensare. In quel mentre il cavaliere spedito alla ricerca di Luigi ritornò con il fante prigioniero. Il ragazzo era stato picchiato dal nobile e a suo avviso non poteva vedere dove lo stavano conducendo.

“ Molto bene, cavaliere de Borghetti”, si congratulò il capitano.

“L’ho trovato poco lontano dall’accampamento”, sorrise il nobile guerriero ignorandolo.

“ Legalo bene e portalo fuori, domani sarà giustiziato all’alba!”, sentenziò il capitano.

Quella fu l’ultima goccia, Filippo afferrò il suo arco e scoccò la freccia in direzione del manesco cavaliere, centrandolo al petto mentre il capitano urlava per attirare gli altri armigeri. Fortunatamente erano tutti ubriachi e nessuno rispose al suo richiamo, tuttavia Filippo aveva appena ucciso un nobile, un reato gravissimo per un semplice arciere come lui. Corse fuori abbandonando Luigi e la fanciulla al loro destino, di slancio montò sul destriero del cavaliere morto e fuggì. Cosa farò adesso? Non posso ritornare da mia madre e sorella. Anche se non sono coinvolte nel crimine il Signore di Verona le spoglierà di ogni bene, soppesò pentito. Decise di dirigersi verso Trento e la valle Provininensis, là nessuno lo conosceva e forse aveva qualche possibilità in più di sopravvivere.

Il primo giorno cercò di allontanarsi il più possibile da Montebello, sostando solo qualche ora di notte. Nei periodi successivi accese fuochi, ma l’esperienza maturata sul campo gli rammentò di accertarsi che non emettessero fumo. Non potendo passare da Verona allungò la strada che lo avrebbe portato nella valle, vagabondò sempre all’erta in attesa che qualche cavaliere scaligero gli si presentasse di fronte. Ho ucciso uno di loro, sicuramente Cangrande avrà inviato un esploratore sulle mie tracce, soppesò lui. Non si fermò a parlare con nessuno e trascorse quasi tutto il mese d’Agosto da solo, mangiando quando poteva. Non posso continuare così a lungo, devo trovare un luogo dove fermarmi, pensò più di una volta.

Infine un giorno nei pressi della via che portava al Brennero incontrò tre berrovieri imperiali fuoriusciti dal loro esercito. I quattro guerrieri si fissarono, minacciandosi con l’arco e insultandosi a vicenda. Non sembra che i due armigeri più giovani conoscano il dialetto veneto, il loro capitano invece pare un po’ più sveglio, li analizzò Filippo, potrei ucciderne uno con un tiro, tuttavia gli altri due mi sarebbero addosso nel giro di un secondo, calcolò facendo indietreggiare il cavallo.

“ Io sono il capitano Robert von Berlin e loro sono Ugo e Sebastian”, si presentò inaspettatamente il più vecchio.
Filippo immaginò che il l’uomo l’avesse studiato attentamente prima di parlare e che in qualche modo lui avesse superato l’esame.

“ Io sono Filippo l’arciere”, comunicò lui in dialetto.

“ Abbassa l’arma, non abbiamo intenzione di colpirti, siamo tutti fuoriusciti”, lo stupì il capitano gesticolando ai due sottoposti armigeri di rilassarsi.

Filippo squadrò l’uomo biondo e giunse alla conclusione che forse al capitano imperiale mancava un secondo più sveglio di quei due idioti al suo seguito In fondo della compagnia è quello che mi ci vuole, non faccio che guardarmi alle spalle e domandarmi che ne sarà di mia madre e sorella.

“ Cosa offrite?”, sondò lui ancora teso.

“ Potresti unirti a noi? Mangerai tutti giorni e ci proteggeremo a vicenda”, propose il berroviere.

Filippo accettò, non aveva molta scelta, erano in tre contro uno, inoltre si sentiva solo.

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La ragazza di quindici anni procedeva lenta sul suo stanco giannetto1, da quattro giorni lei, l’anziana nutrice e tre dei più attempati armigeri del casato de Zane cavalcavano per raggiungere il castello di Malcesine. La fortezza, situata a nod-ovest del centro cittadino, in un punto strategico del Lago di Garda, era dominio di Alberto Della Scala, il feudatario di suo padre, il conte di San Pietro in Cariano. Il castellano lacustre aveva perduto la moglie qualche anno prima e ora desiderava risposarsi. Isabella aveva pianto quando l’avevano separata dalla madre, tuttavia sapeva che a lei e a tutti i suoi fratelli e sorelle non primogeniti erano riservati i medesimi destini. Almeno io sposerò un ricco nobile castellano, sarò rispettata e accudita, sospirò tristemente senza crederci veramente. Le ombre si stavano allungando nel bosco della Valle Provininensis, tuttavia Giovanni, il capitano del suo gruppo di armigeri, decise di continuare a muoversi, il giorno successivo sarebbero giunti in una località chiamata Pastrengo, un piccolo borgo di malandate case contadine dove potevano sostare un po’. Isabella avrebbe desiderato fare il campo subito, il padre l’aveva istruita riguardo i pericoli notturni nei boschi e lei non desiderava incappare nei lupi, orsi e briganti.

“ Potremmo alloggiare nella locanda del paese”, cercò di rallegrarla Tommasina, la nutrice.

“ Perché non prepariamo il campo in quella radura laggiù?”, insistette ancora lei.

La nutrice avvicinò il suo giannetto al destriero di Giovanni e iniziò a discutere con lui, l’armigero si grattò la testa quasi calva, soppesando le sensate parole di Tommasina, Isabella notò che l’uomo non era a suo agio sul palafreno, questi infatti giocherellava nervosamente con le briglie dell’animale. Non ci vuole un alchimista per intuire che il campo è più facilmente difendibile da attacchi di berrovieri e animali, s’irritò lei.

“ No, procediamo”, tagliò corto il guerriero.

Desidera un giaciglio caldo e asciutto, probabilmente anche una compiacente locandiera, rimuginò corrucciandosi. Isabella sospirò, non aveva molta voce in capitolo e gli serviva la collaborazione dei soldati per raggiungere Malcesine, ciò nondimeno era scontenta. La stella della sera era spuntata in cielo quando udì il primo sibilare di frecce, lei si chinò istintivamente sul suo cavallo urlando un avvertimento, troppo tardi i tre armigeri erano già stati colpiti mortalmente, uno alla gola, un altro al cuore e l’ultimo allo stomaco. Spronò il suo brocco per avvicinarsi alla nutrice rimasta in vita, con suo stupore un dardo le fuoriusciva dalla parte bassa della schiena, la quindicenne la toccò e vecchia balia aprì gli occhi.

“ Fuggi”, sussurrò lei.

Isabella sapeva cosa accadeva alle giovani donne in balia di spietati briganti e si angosciò mentre incitava il cavallo al galoppo. Dietro di sé udì dei rumori di zoccoli, presa dal panico esortò ancora il suo giannetto, era consapevole del pericolo per la cavalcatura, ma la paura fu più forte, infatti dopo un chilometro uno zoccolo dell’animale scivolò e Isabella si ritrovò a terra. Con timore alzò il viso infangato e vide due ombre armate di archi e spade tenerla sotto tiro.

“ Chi siete, cosa volete?”, non poté evitare di domandare lei.

Il primo uomo rise sguaiatamente e smontò da cavallo. Parlò brevemente con l’altro in una lingua sconosciuta, Isabella notò che ambedue indossavano i colori dell’esercito di Enrico VII , berrovieri, armigeri fuggiti dalle file dell’esercito imperiale, pensò subito terrorizzata. Il primo soggetto le rubò il borsello pieno di denari, poi l’afferrò girandola a pancia in giù e schiacciandola al suolo le sollevò il vestito. Vuole violentarmi!, pensò sconvolta.

“ No, lasciami!”, urlò con forza dimenandosi.

Il secondo brigante venne in aiuto del compagno e la tenne ferma mentre udiva i movimenti dell’altro che si liberava dei calzoni. Lei si mise a urlare e piangere ancora più forte. Mi uccideranno, pensò smarrita.

“ Fermi!, comandò una terza voce di uomo, “ legatela e portatela da Robert”.

Gli uomini compresero e ubbidirono controvoglia. Per tutto il tragitto nel bosco Isabella continuò a singhiozzare atterrita non sapendo cosa il destino avesse in serbo per lei. Cosa vorranno da me e Tommasina?Hanno già rubato la dote, rimuginò afflitta. La notte era inoltrata quando giunsero in un accampamento, Isabella era traumatizzata e la nutrice sobbalzò quando gli uomini la fecero smontare.

“ Tommasina è ferita, ha bisogno di riposare”, affermò infine lei più calma.

“ La perdita di sangue è stata fermata, non morirà”, asserì il terzo brigante.

Isabella dubitava, l’anziana balia non era robusta e aveva perduto molto sangue durante il tragitto.

“ Che bisogno c’era di colpirla? Non avrebbe fatto del male a nessuno”, esclamò arrabbiata.

“ E’ stato un errore, cavalcava vicino agli armigeri”, sputò questi.

“Posso provare a curarla domattina?”, propose inaspettatamente lei.

L’uomo annuì e le spinse dentro una capanna di legno e fango.

“ Dormite, all’alba Robert vorrà parlarvi”, annunciò questi.

La nascita del sole arrivò troppo presto, Isabella giaceva ancora semi addormentata quando un berroviere imperiale in cotta di maglia e colori di Enrico VII entrò nella casupola seguito dal terzo brigante della sera precedente. Isabella li studiò attentamente, il primo guerriero, il capitano di quella combriccola, era robusto, sulla trentina, biondo e puzzava come un maiale, l’altro invece era castano, più snello, giovane e con intensi occhi grigi.

“ Cosa volete da noi? Lasciateci andare”, li supplicò Isabella.

Tommasina riposava sul pagliericcio bruciante di febbre, se non la curo morirà, si angosciò lei.

“ Abbiamo noi la tua dote, il promesso sposo non ti mariterà”, sostenne Robert con forte accento del nord.

“ Sappiamo che sei la nobile figlia di qualche vassallo, ma anche che tuo padre probabilmente non pagherà per riaverti”, disse l’armigero castano.

Isabella rabbrividì sapendo che sosteneva il vero, il nobile padre non l’avrebbe aiutata a uscire da quella sventura. .

“ Sono Isabella de Zane, figlia di Aliostro de Zane, vassallo di Alberto Della Scala. Mio padre mi farà cercare”, cercò di spaventarli.

“ Siamo un gruppo di fuoriusciti con alcune donne, io sono Robert von Berlin e lui è il mio secondo Filippo l’arciere”, rise il capitano, “un’altra donna ci servirebbe”, ammiccò diretto a Filippo.

Il capitano uscì dalla baracca e Isabella tremò, sapeva cosa avrebbe comportato, violenze quotidiane e non un minuto di riposo. Non posso fuggire, mi perderei nei boschi, constatò sconfitta.

“ Per favore, lascia prima che aiuti Tommasina”, pregò lei.

Il giovane arciere era rimasto nella stanza e la stava fissando contrariato.

“ Cosa ti serve?”, capitolò lui.

Isabella aveva sempre pensato che i briganti fossero senza cuore e compassione, tuttavia quell’uomo l’aveva salvata dallo stupro e ora aveva intenzione d’aiutarla con la nutrice.

“ Dell’aceto per disinfettare la ferita e della Verbena per la febbre”, s’azzardò ad affermare.

“ Le donne del campo non conoscono le erbe”, replicò questi.

“ E’ estate e siamo in un bosco, le troverò io”, suggerì lei speranzosa.

L’arciere la squadrò in strano modo soppesando le sue parole, infine la liberò e spinse fuori. Il sole del mattino l’accecò un attimo e quando aprì gli occhi scorse attorno a sé un piccolo villaggio, non notificato la notte precedente.

“ Da questa parte”, la spinse lui.

Isabella e l’arciere uscirono dal borgo e s’inoltrarono nella boscaglia, l’uomo non voleva perderla di vista, Isabella setacciò il terreno, trovò le piante che le servivano poi ritornarono da Tommasina.

“ E’ possibile accendere un fuoco, devo far scaldare dell’acqua”, asserì la ragazza.

“ Chi ti ha insegnato a riconoscere le erbe medicinali?”, sondò lui conducendola verso la zona di cottura.

“ Tommasina durante le nostre passeggiate”, spiegò lei.

“ Non è un po’ inusuale che la figlia di un nobile conosca queste cose? Pensavo che l’attività delle dame girasse attorno al telaio e al focolare”, sondo lui sospettoso.

“ Mio padre non aveva nulla in contrario, purché non mi allontanassi troppo dal castello”, replicò lei.

Un paiolo era collocato sul fuoco e una donna ne girava il contenuto con un cucchiaio di legno.

“ Lucilla, c’è dell’acqua e dell’aceto?”, chiese lui.

“ Laggiù”, replicò quella osservando curiosa Isabella.

“ Lei è Isabella”, la presentò Filippo sorridendo sornione, “ l’abbiamo catturata ieri sera e la sua dote ci permetterà di sopravvivere quest’inverno”.

La ragazza prese una ciotola, la riempì di acqua e l’avvicinò al fuoco. Con attenzione staccò le sommità fiorite dalle foglie e le gettò nel contenitore. Quando la tisana fu pronta ritornò con l’uomo nella casetta dove giaceva Tommasina. La contessina disinfettò la ferita della nutrice con l’aceto, poi la fasciò strettamente.

“ Puoi aiutarmi a farle bere l’infuso?”, domandò gentilmente.

L’uomo annuì di controvoglia e sollevò il capo della vecchia balia, lei con pazienza la forzò a inghiottire il liquido.

“ Ora dobbiamo solo aspettare, quando si sveglierà le preparerò un’altra pozione”, disse soddisfatta la ragazza.

Un minuto più tardi era già all’aperto di fronte a Lucilla. La donna poteva avere sui trent’anni, ma la vita all’aperto e le fatiche quotidiane l’avevano invecchiata precocemente.

“ Fai quello che ti chiede”, le ordinò Filippo lasciandole sole.

Isabella si preoccupò consapevole che ora, se i due uomini del giorno precedente avessero voluto aggredirla, nulla gli avrebbe fermati. Atterrita si guardò intorno, per fortuna i berrovieri imperiali non c’erano.

“ Io sono la compagna del capitano Robert. Ora vieni con me, dobbiamo dar da mangiare ai cinghiali, cavalli, capre e quaglie”, la stupì lei in dialetto veneto.

I recinti si trovavano dietro una delle case più grandi, lei immaginò fosse quella del comandante, ovviamente al castello avevano animali, ma non allevavano quelli selvatici, tranne che i rapaci per la caccia. Isabella preparò un pastone d’avanzi per loro, poi strigliò e nutrì i destrieri. Infine passò ai volatili e capre.

“ Non mungete le capre?”, sondò lei.

“ Per quale motivo? Non sappiamo fare il formaggio”, confessò Lucilla.

“ Io lo so creare, si può stagionare o consumare subito”, rivelò lei.

“ Tieni un secchio, mungile e insegnami”, le ordinò la donna.

Isabella si diede subito da fare, spillò il latte, lo fece bollire a 38 gradi, infine lo versò in una fuscella di fortuna, in attesa che il siero spurgasse.

“ Domani aggiungeremo delle spezie per dargli sapore, come aglio selvatico ed erba cipollina. Per ora deve riposare in un luogo buio e asciutto”, la istruì lei.

La donna la portò in una minuscola costruzione adibita a magazzino.

“ Qui mettiamo la carne affumicata. Ora vieni con me, dobbiamo lavare gli abiti sporchi”, le comunicò asciutta la donna.

A loro si unirono altre due donne adulte, le mogli o compagne dei berrovieri di Enrico VII, indovinò lei, chissà se sono a conoscenza dei comportamenti dei loro compagni, si domandò Isabella. Le altre parlavano male il dialetto veneto e la giovane si chiese da dove provenissero e perché si fossero unite ai fuorilegge.

“ Se te lo stai domandando sono fuggite dall’Impero Germanico accusate di vari crimini, dal furto all’omicidio. Non volevano finire sulla forca, così si sono dirette a sud. Sulla via hanno incontrato i briganti e recentemente Filippo”, le raccontò Lucilla mentre strizzava i capi d’abbigliamento.

“ E tu?”, sondò curiosa lei.

“ Non sono affari tuoi”, esclamò la donna.

Al ritorno dal torrente lei udì dei rumori e s’inquietò, i due armigeri imperiali saranno ritornati? Filippo mi difenderà ancora?. Una volta nel centro del villaggio Isabella si nascose dietro a Lucilla, per fortuna i fuoriusciti non la degnarono di uno sguardo e lei trasse un sospiro di sollievo.

“ Abbiamo catturato due pernici, una quaglia e un piccolo cervo”, esclamò Filippo.

Isabella lavorò duramente quella mattina pulendo e cucinando le pernici. Il piccolo cervo invece fu affumicato e riposto dove era stato collocato a stagionare il formaggio. Nel tardo pomeriggio la ragazza timidamente s’avvicinò al brigante dagli occhi grigi.

“ Vorrei andare a prendere altra Verbena per Tommasina e anche delle spezie per insaporire il formaggio”, asserì lei.

Lei non aveva visto la nutrice tutto il giorno, ma sospettava che la balia bruciasse ancora di febbre.

“ Va bene ti accompagnerò io, le altre donne sono occupate”, ghignò lui facendole notare come gli armigeri spingessero le poverette all’interno delle rispettive casette.

Isabella inorridì e con desiderio s’allontanò nei boschi, dapprima si dedicò all’erba medica, poi passò all’aglio selvatico, erba cipollina, spighe di cerali selvatici, foglie di papavero, borragine e piccoli tuberi commestibili da aggiungere alla zuppa serale.

“ Perché stai prendendo tutta quella roba?”, le domandò l’uomo a un certo punto.

“ Sono per la zuppa di questa sera, aggiungeranno sapore”, replicò lei.

Ritornarono indietro al calar del sole e Isabella si diresse subito da Tommasina, ma questa era morta. Gemette forte e Filippo entrò, lei si voltò e iniziò a piangere sconsolata.

“Vieni, hai la cena da preparare”, commentò senza pietà il bandito.

Ora sono sola in questo luogo isolato con quattro uomini crudeli, si dolse lei piagnucolando piano mentre puliva la verdura e la gettava nel paiolo con i pezzi di pernice spennati.

“ Buona, la migliore che abbia assaggiato da quando viviamo qui”, constatò Robert, “ hai fatto bene a non ucciderla”, si complimentò con Filippo.

“ La vecchia è morta, domani dobbiamo seppellirla”, lo informò lui.

Il capitano ruttò di gusto.

“ Vedremo, per ora mettila al margine del bosco”, comandò questi.

“ Perché non può restare nella casetta fino a domani? I lupi la sbraneranno”, si sbigottì la giovane donna.

“ Nella casa ci dormiremo noi”, replicò Filippo asciutto.

Con l’aiuto di un altro spostò l’anziana balia che già puzzava, poi gli uomini si ritirarono con le donne e lei seguì l’arciere con gli occhi grigi. Filippo una volta dentro si spogliò e lei cercò di non guardarlo, timorosa che l’uomo volesse approfittare di lei.

“ Non ti preoccupare, i briganti imperiali non ti toccheranno più e io non prendo le bambine con la forza”, la stupì lui.

Lei si rilassò e si sdraiò per dormire in un giaciglio lontano dall’uomo.

Poco prima del sorgere del sole l’arciere la svegliò.

“ Vado a pescare, vieni come me, ritorneremo tra un paio d’ore”, le comunicò questi.

“ Devo seppellire Tommasina”, protestò lei.

“ Ugo e Sebastian scaveranno la fossa stamattina, prima di partire per la caccia, poi potrai seppellirla”, la informò.

Isabella non si oppose ulteriormente, forse i lupi non l’avranno toccata, sperò. Il torrente non era lontano, l’uomo si tolse la tunica pesante e le braghe di cuoio sotto le quali portava dei calzoni di tessuto leggero, poi entrò in acqua e s’apprestò a intrappolare le trote. Isabella notò che delle cicatrici di spade gli deturpavano il torace e si domandò quale fosse la sua storia.

“ Perché vi siete unito ai fuoriusciti?”, non poté fa a meno di chiedere la ragazza.

“ Facevo parte dell’esercito di Cangrande Della Scala e ho ucciso un nobile cavaliere”, confessò lui.

Quindi ha combattuto contro Padova, come mio fratello, congetturò lei.

“Robert ha rubato dell’oro al suo Signore e i due armigeri sono disertori imperiali”, sputò lui infine.

L’arciere agilmente riuscì a lanciare un pesce sulla riva, dopo alcuni istanti altri tre lo raggiunsero.

“ Prendili e legali con il filo”, ordinò lui uscendo.

Filippo s’infilò i calzoni senza asciugare il tessuto sottostante, indossò la tunica e insieme s’incamminarono verso il centro delle case. Il sole era appena spuntato quando Isabella pulì i pesci e li mise sul fuoco per la colazione, innaffiandoli con erbe raccolte sulla via.

“ Cucini molto bene per essere così giovane”, conversò lui svogliatamente.

“ Ho quindici anni!”, esclamò lei risentita

Filippo le lanciò uno sguardo di traverso, Isabella sapeva d’apparire più giovane dei suoi anni, mora come la madre e snella come un giunco. Crescerò anch’io, tra qualche anno somiglierò a Lucia, rimuginò contrariata ricordando l’aspetto della sorella maggiore. L’uomo non commentò e s’allontanò alla ricerca dei suoi compari. Dopo un’ora lei chiamò il gruppo per mangiare.

“ Abbiamo scavato la tomba per la vecchia”, annunciò sgrammaticamente uno degli imperiali.

“ Noi invece abbiamo pensato alle quaglie, cinghiali e cavallo”, affermò Lucilla per tutte.

“ Isabella penserà alle capre e al formaggio dopo che avremmo sepolto la nutrice”, proferì Filippo.

Lei s’intristì, Tommasina era stata la sua balia per tanti anni, con lei aveva esplorato i boschi vicino al castello, cucinato, creato arazzi e tessuti per la famiglia, insieme a madre e sorelle. Sarò sola da oggi in avanti, pensò demoralizzata. Quando gli uomini lasciarono per la caccia e le scorribande lei pensò a deporre il corpo nella tomba di fortuna, si fermò a pregare un poco poi ricordando i suoi doveri lasciò. Pensò prima agli animali e al latte, preparò altro formaggio da stagionare e una volto pronto lo portò nel magazzino dove giaceva l’altro. Tagliuzzò l’aglio selvatico e l’erba cipollina aggiungendoli alla forma del giorno precedente, poi si diede alla creazione del pane, ovviamente i cereali selvatici non erano buoni come quelli coltivati dai contadini, ma potevano andare.

“ Cosa stai facendo?”, l’aggredì Lucilla.

“ Spigolando i cereali per il pane, certo verrà scuro e di sapore un po’ strano, tuttavia credo che agli uomini potrebbe piacere”, replicò lei.

La donna la squadrò interdetta e dopo alcuni istanti fu raggiunta dalle amiche di sventura.

“ Dove hai preso le granaglie?”, sondò la donna più calma.

“Nei campi vicino al torrente, ne farò per tutte se mi aiuterete a mietere”, le tentò lei indicando l’impasto.

“ Non lo mangio da molti mesi”, sbavò Rosa, una delle altre donne, con un forte accento del nord.

Isabella si domandò come mai non conoscessero la natura, forse vengono dalla città, pensò lei. Le portò dove aveva raccolto le prime spighe e insegnò loro cosa raccogliere.

“ Toglietemi una curiosità, da quanto tempo siete isolate in questo bosco?”, chiese lei a Lucilla.

“ Da quasi quattro mesi, il prossimo sarà il nostro primo inverno con i briganti”, rispose lei continuando a lavorare. “ Abbiamo incontrato Robert, Ugo e Sebastian ad aprile e Filippo ad agosto”, specificò lei.

“ Ho notato che non conoscete le erbe”, la buttò lì lei cercando di spillare informazioni alla donna.

“ Rosa e Maria erano meretrici nell’Impero Germanico”, raccontò lei.

Questo spiega molte cose, pensò lei. Dopo un poco tornarono al campo, spigolarono e macinarono i grani infine aggiunsero l’acqua.

“ Vado a prendere degli altri tuberi per la zuppa serale e delle spezie per la carne”, le avvisò lei allontanandosi.

Non sono preoccupate che scappi, d’altronde dove potrei andare da sola e a piedi, nel bosco ci sono tanti pericoli e non conosco la strada, s’intristì un poco.

Verso il mezzogiorno gli uomini tornarono e lei presentò sia le piccole forme di pane che il burro di capra. Infine con le altre pulì la lepre e le due anatre catturate.

“ Ottimo pasto”, le lodò Robert ruttando.

“ Anche il pane non era male”, asserì Filippo.

“ Strano gusto però”, disse Ugo.

“ Le granaglie sono selvatiche”, specificò lei, “potrei provare a raccoglierle per quest’inverno”, propose Isabella.

Voglio rimanere in vita e in fondo non mi è andata male fino a questo momento, anzi ho evitato di sposare un grasso nobile castellano desideroso di ricchezze e di trascorrere la mia vita sempre incinta, meditò lei. Le altre donne non fecero in tempo a replicare e sparirono nelle rispettive case con i compagni, non le invidio per niente, pensò. S’avviò per il sentiero che portava al torrente. Filippo non era venuto con lei, così Isabella si dedicò alla raccolta delle spighe e altre erbe selvatiche. Quando alzò lo sguardo era già pomeriggio inoltrato, aveva lavorato sotto il sole per diverse ore e ora era sudata e sporca. Farò un bagno, è luglio ed è trascorso molto tempo dall’ultima volta, soppesò lei. Si guardò intorno con circospezione, per fortuna i briganti non erano in vista così si spogliò ed entrò nel torrente. Un prodotto fantastico chiamato sapone era stato scoperto in Medio Oriente, tuttavia lei non ne possedeva perciò utilizzò della saponaria, si stava risciacquando quando vide sulla riva Filippo.

“ Esci, il sole è quasi calato”, l’apostrofò lui seccato.

“ Va bene, girati!”, esclamò lei contrariata.

“ Neanche per sogno, voglio vedere che bel animaletto ho catturato”, ironizzò lui.

Isabella si mostrò in tutta la sua grazia, il corpo acerbo e sodo con il seno appena spuntato e i lunghi capelli neri. Filippo non proferì parola e la lasciò vestire, poi insieme ritornarono al villaggio. Le donne stavano preparando la cena con i pezzi di lepre e i tuberi, così Isabella nel frattempo si dedicò alla spigolatura, infine aggiunse alla minestra delle spezie selvatiche per dare sapore.

I mesi passarono e l’inverno infine giunse in tutta la sua crudeltà, tutto il gruppetto trascorse molte ore ad affumicare la carne di cinghiale, inoltre lei e le altre donne si erano occupate in agosto e settembre di raccogliere più cereali selvatici possibili lasciando gli scarti per i cavalli e capre. Era stanca quella sera e aveva freddo, la neve e il ghiaccio aveva coperto il suolo raggelando gli uomini e le donne.

“ Non riesco a dormire, i denti mi battono troppo forte, posso avvicinarmi a te?”, sondò lei diretta a Filippo.

L’uomo le fece spazio sotto la coperta di pelliccia e Isabella si raggomitolò contro il suo corpo. In quei pochi mesi si era sviluppata e alzata. Nel mezzo della notte la ragazza sedicenne fu improvvisamente svegliata dai movimenti di Filippo.

“ Cosa c’è?”, chiese lei semi addormentata.

“ I lupi”, replicò lui afferrando l’arco e correndo fuori.

Isabella rabbrividì, non aveva armi per difendersi, tuttavia desiderava salvare i cavalli e le capre. Senza di loro moriremo di fame, si spaventò. All’esterno c’erano anche i berrovieri, le meretrici e Lucilla con mezzi di difesa occasionali. Isabella notò il luccichio di vari occhi animaleschi sbirciarli dal margine del bosco. Il fuoco di campo si era consumato durante la notte, Isabella s’avvicinò alle braci, in quel mentre un grosso lupo l’aggredì. Il panico la sopraffece, ma riuscì ugualmente ad afferrare un legno che ancora bruciava e con quello respinse l’animale. Urlò e Filippo la soccorse con un dardo, le due meretrici più giovani invece non furono così fortunate e neppure Ugo e Sebastian. Quando l’attacco terminò e i lupi si ritirarono si accorsero che erano stati uccisi. Lei e Lucilla piansero per le donne, nei mesi aveva imparato ad amarle, non erano persone cattive e crudeli. La luna era al primo quarto e illuminava poco il bosco circostante. Mancavano molte ore all’alba e l’arciere l’apostrofò.

“ Moriremo di freddo qua fuori. Non possiamo fare più nulla per loro”, le comunicò depresso.

Rientrarono nella casetta e lei gli si accoccolò vicino in cerca di conforto e calore singhiozzando piano. Filippo le accarezzò dolcemente i capelli scuri per calmarla e Isabella si sentì sciogliere. In quei mesi si era comportato bene con lei, l’aveva protetta e rispettata, cosa non era da tutti.

“ Non ti preoccupare piccola, ce la caveremo, lo facciamo sempre”, sussurrò lui.

Isabella lo abbracciò riconoscente e l’uomo la baciò per la prima volta.

In mattinata si svegliarono, scavarono quattro buche nel terreno duro e vi depositarono i corpi dei morti.

“ Ora siamo rimasti in quattro, proporrei in primavera di dividerci la dote di Isabella e separarci. Ognuno per la sua strada”, suggerì Filippo sulle loro tombe.

Robert non poteva ritornare nell’Impero Germanico e Filippo doveva abbandonare la signoria scaligera.

“ Noi potremmo andare verso Milano, nessuno ci conosce laggiù”, asserì il capitano imperiale stringendo Lucilla che annuì.

“ Noi verso Bologna”, dichiarò Filippo l’arciere guardandola.

Isabella gli sorrise approvando, felice di poter iniziare una nuova vita.

1 Giannetto: cavallo per dama

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