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giovedì 21 novembre 2013

IL MANUALE DEL PERFETTO INQUISITORE

Nel 1486 due domenicani tedeschi, jakob Sprenger e Heinrich Institor, danno alle stampe il Malleus Maleficarum. L’opera diviene il coronamento ideale dell’attività di repressione nei confronti della stregoneria: offre giustificazioni di natura religiosa e morale a quello che, nei fatti, è un accanimento che va ben oltre i limiti del diritto. Il Malleus maleficarum, il «martello delle malefiche», fu, piú che un libro, un vero e proprio vademecum del perfetto inquisitore, scritto da Jakob Sprenger (1436 circa-1495) ed Heinrich Institor (1430 circa-1505 circa) e stampato verso il 1486. Malleus significa martello o maglio. Maleficarum è al femminile perché, nel pensiero dei due autori, e della loro epoca, chi fa malefici (da male e facere) non può che essere donna, quindi «malefica». E infatti il Malleus, oltre a essere il trattato demonologico piú completo e famoso sull’argomento, è forse il volume piú misogino e antifemminista che sia mai stato scritto, perlomeno nel Quattrocento. Anche se non si può dire che il Malleus sia la causa scatenante della persecuzione alle streghe, è tragicamente vero però che il trattato fu la piú consistente giustificazione morale e teorica a quel particolare crimine contro l’umanità che fu conosciuto come «caccia alle streghe». Questo, per vari motivi.





Il dissenso trasformato in eresia

Innanzitutto il trattato, a differenza degli altri volumi scritti sull’argomento, ha una solidissima e stringente dialettica, derivante sia dall’esperienza «sul campo» degli autori, sia dalla loro preparazione filosofica. Anche le cose piú assurde, le falsità piú evidenti, nei loro stringenti ragionamenti, sembrano diventare argomenti plausibili, verosimili o perlomeno accettabili. Quasi tutte le argomentazioni sembrano avere una matrice, o comunque un fine comune: chiunque dissenta dalle loro posizioni, è corrotto dal demonio, oppure ne è alleato, e quindi eretico perseguibile. L’altro motivo, legato al primo, è che l’opera è preceduta da un’introduzione prestigiosissima, che le conferisce una sorta di autorità «sacrale»: la bolla di papa Innocenzo VIII Summis desiderantes affectibus, del 5 dicembre 1484. Degna introduzione a tale libro, anche la bolla è ricca di deliranti riferimenti a presunte attività diaboliche: «In verità, è da poco pervenuto alle nostre orecchie – non senza nostra grande afflizione – che in alcune regioni della Germania Superiore come pure nelle province, città, terre, borgate e vescovadi di Magonza, Colonia, Treviri, Salisburgo e Brema, parecchie persone di ambo i sessi, immemori della propria salvezza e allontanandosi dalla fede cattolica, non temono di darsi carnalmente ai diavoli incubi e succubi; di far deperire e morire la progenie delle donne e degli animali, le messi della terra, le uve delle vigne e i frutti degli alberi, inoltre uomini, donne, bestiame grande e piccolo e d’ogni sorta; e ancora vigneti, giardini, prati, pascoli, biade, cereali, legumi per mezzo d’incantesimi, fatture, scongiuri e altre esecrabili pratiche magiche».

Le proteste del vescovo

Dietro quel «è da poco pervenuto alle nostre orecchie», pare ci debbano essere gli stessi due autori, quelli che Innocenzo VIII definisce «i nostri diletti figli», che chiesero espressamente al papa licenza di inquisire liberamente, senza alcuno scrupolo e senza alcun impedimento. Vane furono le proteste dello stesso vescovo di Bressanone, Georg Golser, il quale, in barba alla cosiddetta «infallibilità» del romano pontefice, due anni dopo la bolla, allontanò Institor dalla sua diocesi per l’arbitrarietà con la quale procedeva a processi e condanne. Ma a poco gli valse, perché, in proposito, la bolla papale era molto chiara: «Stabiliamo con la presente, in virtú dell’autorità apostolica, che sia consentito ai surriferiti inquisitori di esercitare il loro ufficio in quelle terre, che possano procedere alla correzione, incarcerazione e punizione di quelle persone per gli eccessi e crimini predetti, in tutto e per tutto (…) Coloro che si opponessero a tutto ciò, di qualsiasi rango e condizione, siano scomunicati e colpiti con le piú gravi pene ecclesiastiche, invocando, nei casi piú gravi, ove fosse necessario, l’aiuto del braccio secolare». Che significava, per i non addetti ai lavori, la pena di morte, visto che la Chiesa, ufficialmente, si era posta il divieto di spargere sangue, almeno in modo diretto.
Il terzo motivo consisteva nel fatto che anche l’imperatore Massimiliano I, il 6 novembre 1486, prendeva sotto la propria protezione i due autori, chiedendo ufficialmente che venissero coadiuvati da tutte le autorità preposte. Non contenti di ciò, i «diabolici» inquisitori cercarono consenso anche presso i detentori, di fatto, del potere culturale dell’epoca: un collegio di teologi. Colonia all’epoca ospitava una facoltà di teologia a cui il papa aveva affidato l’incarico di censurare le opere a stampa. Quale luogo migliore per organizzare, dunque, una dotta riunione di teologi per chiedere l’Approbatio al volume? Peccato però che a questa riunione ci fosse solo Heinrich Institor, e nessun altro. Fu cosí che il 19 maggio 1487, come è scritto nell’Approbatio preposta al Malleus, la individualissima «unanimità» dei teologi non solo fu concorde, ma giudicò urgente perseguitare la stregoneria. Ma perché i due autori si preoccupavano cosí tanto? A che pro tanti sotterfugi, tante patenti ufficiali? La cosa non è semplice da spiegare. Occorre fare un passo indietro e tornare ancora una volta al Canon episcopi, formatosi tra il IX e l’XI secolo. Un testo che, a torto, il Medioevo ha creduto provenire dal concilio di Ancira, del 314. Questo scritto, in realtà, fu essenzialmente un’istruzione riservata ai vescovi sull’atteggiamento da tenere nei confronti della credenza nella «società di Diana» ovvero, come definisce il testo, in «alcune donne scellerate, convertite da Satana, sedotte dai demoni e da fantasmi, [che] credono, durante le ore notturne insieme alla dea dei pagani Diana, e con innumerevoli altre donne, di cavalcare bestie e percorrere immense distese nel profondo silenzio della notte, ubbidendo alla dea come loro padrona assoluta, che le chiama a servirla in determinate notti. Volesse il cielo che solo loro perissero nella loro perfidia, e non vi trascinassero molti altri. Infatti moltissimi, illusi da queste false opinioni, credendole vere, si allontanano dalla vera fede cadendo negli errori dei pagani, cioè che esistano altre divinità e numi oltre l’unico Dio». Non siamo ancora in presenza delle streghe adoratrici del diavolo di cui parla il Malleus, bensí di donne che volano, stornano latte e miele dai contadini o dai vicini a beneficio loro o di altri, che affatturano i pulcini delle oche, delle galline o i cuccioli dei maiali.

Barlumi di saggezza

Ad ogni modo il Canon è chiaro: «Se hai creduto a queste cose vane, farai due anni di penitenza nei giorni stabiliti». Ora, questo testo è fondamentale e detta legge, visto che si pensava, l’abbiamo detto, che provenisse da un concilio. A fronte di quella che fu la follia dei secoli «moderni», il mondo medievale mostra grande tolleranza e, in qualche modo, saggezza. Credere che le donne possano volare alle riunioni orgiastiche e cannibaliche delle streghe, o fare le cose appena descritte non è concepibile: è fantasia, è peccato. 
Tali convinzioni furono condivise e rispettate da piú parti fino al Quattrocento, allorquando qualcosa, lentamente, cominciò a cambiare. L’immagine dell’eretico cospiratore contro la cristianità e contro l’intera umanità venne lentamente costruita, e utilizzata, soprattutto nelle invettive retoriche che i monaci scagliavano contro gli eretici nel Due e Trecento. Il cambiamento fu determinato anche da fattori giuridici: dal Duecento, i tribunali non operavano piú con il sistema accusatorio, ma cominciavano a utilizzare quello inquisitorio. Non era piú il soggetto privato a intentare e proseguire l’azione penale, ma il giudice. Anche se, perlomeno all’inizio, sempre sulla scorta di una denuncia da parte di un privato. In seguito, l’azione penale venne avviata d’ufficio o addirittura basandosi sulla «pubblica infamia».

Ogni tempo ha le sue streghe

Ovviamente parteciparono a definire (e condannare) la figura della strega anche intellettuali e inquisitori, come Nicolas Jacquier che nel 1458 scrisse il Flagellum haereticorum fascinariorum, nel quale, per la prima volta, si afferma l’assoluta differenza tra le donne di cui parlava il Canon e le streghe «modernis temporibus».
Intellettuali come il Jacquier avevano studiato in università prestigiose, avevano un sostrato e una cultura diversi da coloro che credevano nei rimedi naturali utilizzati dalle «donnette» o dai guaritori tradizionali, che furono definiti streghe e stregoni. Jacquier – e molti come lui – aveva la percezione di vivere in un mondo diverso, in modernis temporibus. Un mondo che cominciava a non comprendere piú quelle che oggi chiameremmo «tradizioni popolari» e allora, sbrigativamente, superstitiones. A partire dal Quattrocento, l’Europa sembra allontanarsi dalle sue radici che, piú che cristiane, sono composte da collaudati sincretismi magico-religiosi. Comincia ad abbracciare, e diffondere, una visione condivisa, oggi diremmo globale, che tenta di scalzare ogni differenza o devianza, bollandola come eresia. Meglio, quell’insieme di credenze che la Chiesa non era riuscita a incorporare o a trasformare, ora comincia a divenire eresia.
Grazie al processo inquisitorio, alla tortura, ai roghi, alla capillare predicazione cristiana, il variegato mondo di conoscenze, valori, riti e miti non ancora assimilati nella dottrina e cultura cristiane, cominciano a passare al vaglio della demonologia del Malleus e delle sue derive inquisitorie. Una demonologia che ebbe l’effetto di schiacciare una cultura millenaria (anche nel senso di cultura popolare) sotto il «martello» del diabolismo e del diabolico.

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