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martedì 8 maggio 2012

EVOLUZIONE DELLA SCRITTURA OCCIDENTALE

L’esigenza di comunicare e di trasmettere idee e concetti in una maniera meno transitoria di quella orale è sempre stata una caratteristica dell’umanità, fin dalle prime rappresentazioni rupestri preistoriche. Le prime scritture pittografiche derivarono dalla rappresentazione stilizzata di oggetti tramite segni, ciascuno con un proprio significato. Le prime forme di scrittura vera e propria utilizzarono pittogrammi fusi insieme, per significare altri concetti (alfabeti sillabici). Il primo alfabeto fonetico (per il quale ad ogni segno corrisponde un suono) fu inventato dai fenici che, da commercianti quali erano, necessitavano di una forma di scrittura chiara e versatile per le loro esigenze. E’ da questo alfabeto che derivano, per successive trasformazioni ed adattamenti, quello greco, l'etrusco, e quello latino, pressoché identico a quello attuale.
Anche l’illustrazione dei testi scritti, a scopo esplicativo o decorativo, ha radici antichissime e si riscontra già nei papiri egizi.Il dominio militare e culturale di Roma divulgò, tramite le innumerevoli epigrafi su marmo, l’alfabeto latino su gran parte dell’Europa occidentale fin dal I sec. d.C. Le versioni librarie della scrittura epigrafica furono la “quadrata” (sopravvissuta in rarissimi manoscritti), e la cosiddetta “rustica”, la versione libraria della scrittura epigrafica imperiale. la quale, pur essendo ben presto sostituita da altre forme di scrittura per l’uso corrente, continuò ad essere usata per titoli e rubriche fino al 1500.


A fianco di queste scritture formali e solenni se ne sviluppò, nel II sec., una più affine alla scrittura greca, denominata “onciale”, la quale, adottata dal cristianesimo nascente (che alla lingua greca molto doveva alla sua iniziale divulgazione), si diffuse rapidamente in tutto il continente.


Con il crollo e la frammentazione dell’impero (IV secolo), ed il conseguente isolamento dei diversi centri culturali, soprattutto monastici, si perse l’uniformità culturale, e dall’onciale si differenziarono parallelamente varie scritture: beneventana, visigotica, insulare (isole britanniche). Tali particolarismi geografici si riscontrano naturalmente anche nelle decorazioni. Splendidi manoscritti prodotti dai monaci irlandesi nei secoli VIII – IX affiancano ad una elegante scrittura “insulare” motivi a spirale e ad intreccio ispirati direttamente a decorazioni tradizionali celtiche, ancora vivissime in territori mai assoggettati dalle legioni romane, e perfino alcune iniziali presentano evidenti influenze di scrittura runica.

È in questo periodo, inoltre, che si cominciano a distinguere nettamente le lettere maiuscole dalle minuscole, nate dalla naturale tendenza a diminuire i sollevamenti della penna dal supporto nell’esecuzione di scritture veloci (“corsive”). Gli stessi monaci irlandesi, fautori della cristianizzazione dell’Europa continentale, vi importarono il gusto per queste decorazioni ad intreccio che, fondendosi con elementi decorativi romani e bizantini, aprirono la strada all’arte romanica. Nel IX secolo Carlo Magno, uno dei tanti re franco-germanici, riuscì ad unificare sotto il suo dominio buona parte dell’Europa e tentò di restaurare i fasti ed il prestigio imperiali con l’istituzione del Sacro Romano Impero. Al fine di amministrare territori così vasti e culturalmente diversi, incaricò gli intellettuali dell’epoca di uniformare la scrittura, dando vita alla scrittura “carolina”, una versione riveduta dell’onciale, con lettere ben differenziate da ascendenti e discendenti.


La decorazione romanica, prima carolingia e poi ottoniana, continuò per lungo tempo ad ispirarsi a motivi imperiali (o presunti tali), per chiari scopi propagandistici. Una forma più compatta, spigolosa e veloce della scrittura carolina diede origine ad uno stile di scrittura definita “gotico antico” (o “protogotico”, XI – XIII sec.). Dall’inizio del XIII sec. il gotico antico si evolse in una calligrafia definita “textura” (o “littera moderna”), la quale, per la sua meticolosa regolarità di spaziatura ed altezza dei caratteri, la sua compattezza e l’esteso uso di abbreviazioni, permetteva di eseguire un lavoro relativamente veloce ed un contemporaneo risparmio di costoso materiale.


La nascente tendenza al mecenatismo, l’accesso alla cultura delle fasce di popolazione più ricche, l’istituzione delle prime università, con il conseguente aumento di richiesta di testi, favorì l’uso della “textura” che, sacrificando l’identità delle singole lettere a favore di un effetto generale della pagina, omogeneizzava le differenze calligrafiche di un lavoro di copiatura eseguito spesso da diversi scrivani per uno stesso manoscritto. Versioni più sciolte e veloci (“corsive”) della “textura” si utilizzavano per i lavori più correnti, distinguendosi, con il nascere degli stati nazionali, da regione a regione: sono le cosiddette scritture “bastarde”, la cancelleresca, la rotonda (una “textura” meno spigolosa e più aperta).




La “textura” e tutte le sue derivazioni “corsive” e regionali sono comunemente definite “gotiche”, e gotica è definita la tendenza artistica che si sviluppò in tutta Europa dal XIII al XV sec., con le sue caratteristiche di verticalità, di ricerca quasi esasperata di luce e colore, di elementi decorativi carichi di simbologie, di gusto per il bizzarro ed il fantastico, che si rispecchia, naturalmente, anche nelle miniature e nei magnifici margini dei manoscritti, con caratterizzazione di stile ed influenze reciproche da stato a stato. Il termine “gotico” fu in realtà un aggettivo dispregiativo (gotico = barbaro), attribuito a queste tendenze artistiche (che nulla avevano a che fare realmente con i Goti, popolazioni che si infiltrarono entro i confini occidentali dell’impero romano quasi mille anni prima della fioritura del “gotico”) dagli Umanisti italiani del XV secolo, i quali riscoprirono e rivalutarono i valori della cultura classica, mai del tutto dimenticati in Italia, sviluppandoli in uno stile proprio in ogni aspetto della cultura e dell’arte (“Rinascimento”); l’architettura, la scultura, la pittura (e quindi anche la miniatura) si arricchirono di contenuti ed elementi mutuati dalle vestigia greche e latine, che si cominciavano a riscoprire e studiare. Le figurette allegoriche e mitologiche così frequenti nell’arte rinascimentale sono definite “grottesche” perché ispirate alle decorazioni di ambienti di epoca imperiale, ormai interrati (grotte). Il risultato di questa tendenza nella scrittura fu essenzialmente una rivalutazione della “carolina”, da cui derivò direttamente, con differenze poco significative, la scrittura “umanistica”.


Nel frattempo, in Germania, Gutemberg applicava un metodo di produzione libraria estremamente più veloce ed economico: la stampa a caratteri mobili. Questa tecnica si diffuse rapidamente, prendendo a modello per i “punzoni” proprio le scritture correntemente utilizzate: “gotico” in Germania (dove i libri saranno stampati in caratteri “gotici” fino agli anni ’40 del XX secolo), “umanistica” in Italia. La sorte del libro manoscritto era ormai segnata. Riforma e controriforma, con i loro precetti di austerità e rifiuto del futile e del lusso, produssero i loro effetti sull’arte miniatoria. Con la realizzazione a stampa dei libri, la scrittura smise di evolversi, e si “congelò” nella forma umanistica nei blocchetti prima di legno, poi di piombo, mantenendo l’identico aspetto nei libri stampati attuali e nei programmi di videoscrittura. Unica traccia di un illustre passato è data dall’inconsapevole utilizzazione di alcune rare abbreviazioni, tra le tante largamente in uso nel medioevo – “&”, “@”, - che a colpo d’occhio appaiono modernissime.

Articolo di Alfredo Spadoni. Tutti i diritti riservati.

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