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venerdì 8 maggio 2015

IL PAPA, L'IMPERATORE E IL NORMANNO - ARTICOLO DI ANDREA CONTORNI ROCCHI

Il Papa

Questa storia ebbe inizio nel lontano 1073, data in cui il benedettino Ildebrando di Sovana prese possesso del trono pontificio col nome di Gregorio VII. Di origini modeste, fu avviato fin da giovane agli studi ecclesiastici in quel di Roma, venendo in contatto con Giovanni Graziano (il futuro papa Gregorio VI) che, secondo alcune fonti, potrebbe essere stato uno dei suoi maestri. Stimato dalla curia, fu mandato come legato pontificio in Francia e condusse con la corte imperiale tedesca i negoziati per la successione di Papa Leone IX (1049-54), di cui fu un grande estimatore sull'onda riformatrice promossa dallo stesso Pontefice. Ildebrando divenne Papa per acclamazione popolare in seguito alla morte del suo predecessore Alessandro II. Determinato e coriaceo, si adoperò fin da subito per consolidare l'autorità del papato sulla Chiesa e di conseguenza sullo Stato. La riforma gregoriana viene considerata da molti storici uno dei punti cruciali dell'epoca Medievale. Gregorio VII si occupò in primis della spinosa questione che riguardava le investiture episcopali. A chi apparteneva il diritto di concedere il titolo di vescovo ad un appartenente alla società ecclesiastica? In linea di principio chiunque potrebbe affermare che essendo il Papa la massima autorità spirituale della Chiesa, tale compito spettasse unicamente a lui. Gli imperatori di Germania (e ancor prima Carlo Magno) non la pensavano così. L'imperatore si riteneva tale per intercessione divina (veniva incoronato dal Papa a Roma), dunque secondo la sua ottica poteva mettere bocca nelle nomine ecclesiastiche a suo piacimento. A questa linea teorica ne seguiva una pratica ben più importante. Affidare un feudo o una fortezza ai nobili laici comportava sempre il rischio di covare delle serpi in seno. Questi signorotti miravano ad una crescente indipendenza, creando nel tempo dei piccoli regni "de facto" all'interno dei domini imperiali. Per quanto fedeli sulla carta, spadroneggiavano nelle terre loro assegnate come monarchi, arruolando milizie, chiedendo tasse supplementari alla popolazione e soprattutto garantendosi la successione. Alla morte del feudatario locale, quanto gli era stato assegnato doveva tornare in mano al sovrano. In molti casi (alcuni persino avallati dall'imperatore per garantirsi alleati) invece, il "morituro" trasmetteva i benefici ricevuti al figlio maschio primogenito per buona pace di tutti. Il vescovo al contrario poteva essere un ottimo amministratore, fedele e capace, senza possibilità di avere una prole legittima. L'imperatore Ottone I di Sassonia, che governò come tale dal 962 al 973, per evitare la frammentazione del suo regno, si basò su queste figure religiose, conferendogli sempre più poteri civili ed amministrativi. La carica di vescovo divenne nel tempo frutto di compravendite tra laici e di assegnazioni pilotate. Uomini fedeli all'imperatore potevano aspirare ad un potentato feudale, versando cospicue cifre al sovrano in cambio dell'investitura vescovile. Papa Gregorio VII non poteva tollerare questa pratica contraria a tutti i principi della Fede alla quale aveva votato la sua esistenza. Secondo la sua opinione, per nulla opinabile, un laico non poteva disporre riguardo le nomine ecclesiastiche, principio già dibattuto durante un Concilio Lateranense indetto da Papa Niccolò II nel 1059. Nel 1075 Gregorio ribadì nelle ventisette proposizioni del "Dictatus papae" tutte le prerogative o poteri del pontefice romano. Interessanti sono il terzo "verdetto" che recita "Quod ille solus possit deponere espiscopus vel reconciliare" ovvero "Che Egli (il Pontefice) solo può deporre o ripristinare i vescovi" e soprattutto il dodicesimo "Quod illi liceat imperatores deponere" che tradotto in italiano significa "Che a Egli è permesso deporre gli imperatori". In pratica, se l'imperatore lo è per volontà divina e se il Papa è la massima autorità spirituale di intercessione con Dio, ecco che al Pontefice è concessa, per volere divino, la facoltà di deporre per scomunica qualunque imperatore non sia degno di essere considerato tale. Gregorio VII si era così infilato in un vespaio tale da provocare un conflitto oltremodo sanguinoso e la distruzione della città, eletta da sempre a baluardo della Cristianità, ovvero Roma.

 L'Imperatore
  

Enrico IV, re di Germania e d'Italia dal 1056, imperatore del Sacro Romano Impero dal 1084 al 1105, fu il terzo sovrano della dinastia Salica, primogenito di Enrico III e di Agnese di Poitou. Alla morte del padre aveva sei anni. La madre resse le sorti del regno, tra congiure e colpi di stato, fino alla sua maggiore età nel 1065. La necessità di ricompattare un regno diviso da tanti piccoli conflitti locali e la volontà di affermare la propria autorità spinsero Enrico IV a intromettersi pesantemente nella nomina del nuovo vescovo della diocesi di Milano. Era il 1072 e Ildebrando di Sovana non accettò tale ingerenza. Un anno dopo, divenuto Papa, scaturì il problema delle investiture di cui abbiamo parlato poco sopra, e con esso crebbe il desiderio di riscossa del nuovo Pontefice. Il 1076, all'indomani del "Dictatus papae", fu l'anno giusto per una scomunica. La vittima designata fu proprio il nostro Enrico IV. Tra i due intercorse una bizzarra corrispondenza con reciproche accuse.
Attenzione però. Il Re dei romani non era affatto uno sprovveduto. Con la scomunica aveva perso l'appoggio di nobili e vescovi tedeschi fedeli al Papa, ma soprattutto del suo popolo. Non si perse d'animo. E' del mese di gennaio 1077 la famosa "umiliazione diCanossa" quando Enrico, scalzo e vestito di un umile saio, nel bel mezzo di una bufera di neve, rimase per tre giorni e tre notti in ginocchio dinanzi al portone del maniero di Matilde di Canossa, chiedendo il perdono del Papa e la revoca della scomunica. Gregorio VII a malincuore gliela concesse. Un Papa non poteva rimanere impassibile dinanzi al ritorno del "figliol prodigo". Il mancato perdono sarebbe stato giudicato come un atto non idoneo al massimo rappresentate della Chiesa di Roma. Enrico IV se ne tornò in Germania, accolto con giubilo dalle masse. Rimaneva da risolvere il conflitto interno con l'aristocrazia germanica. Nel marzo del 1077 un tale Rodolfo di Rheinfelden, duca di Svevia, cognato del sovrano e soprattutto suo ex alleato, fu nominato re di Germania e re dei Romani dai nobili ribelli. Era un condottiero di valore e nei primi scontri ebbe vita facile contro le truppe di Enrico IV. 
Cosa stava combinando nel frattempo Gregorio VII? All'inizio mantenne una posizione di neutralità nella "guerra civile" tedesca. Nel marzo del 1080, saputo delle vittorie del Rodolfo, decise di appoggiarlo quale legittimo sovrano di Germania e d'Italia ai danni di Enrico. Questi veniva di nuovo scomunicato con l'aggravante della deposizione. In pratica il Papa lo spogliava del suo potere, sciogliendo popolo e vassalli da ogni obbligo di fedeltà. La destituzione del sovrano fu avvertita da molti come un atto di prepotenza da parte del Pontefice. La posizione di Enrico IV ne uscì persino rinforzata. Nel giugno del 1080, a Bressanone, un concilio di vescovi fedeli alla corona sanciva la decadenza del Papa dal soglio pontificio. L'arcivescovo di Ravenna, Guiberto, nemico giurato di Gregorio VII, diveniva l'antipapa Clemente III. In ottobre il duca di Svezia usciva di scena. Guidando in prima linea i suoi uomini nella battaglia di Hohenmölsen fu colpito da un fendente in pieno petto. Riportato al campo gli fu amputata la mano destra per le tante e gravi ferite riportate. Morì in sofferenza subito dopo. Con la sua dipartita, la ribellione dei nobili terminò. Enrico IV era libero di occuparsi della "questione romana".

Il Normanno


Le truppe di Matilde di Canossa furono le prime a scendere in campo in difesa del Papa deposto. Andarono incontro ad una sonora sconfitta per mano delle milizie filo-imperiali di Clemente III a Volta Mantovana sul finire di giugno 1080. Alla disperata ricerca di alleati, Gregorio stese il suo sguardo al sud, al regno di Roberto il Guiscardo. Era un normanno. I Normanni, il cui appellativo deriva da “ Northmen” o “Norsemen” ovvero "uomini del Nord", provenivano tutti dalla Scandinavia, seppure parliamo di diverse popolazioni di origine germanica stanziate nelle odierne terre di Danimarca, Svezia e Norvegia. Dal secolo VIII in poi, i Normanni, conosciuti come Vichinghi ("uomini delle baie") cominciarono a muoversi per l'Europa. Le loro spedizioni toccarono le coste di mezzo mondo conosciuto, dall'Inghilterra alla Francia, dalla Spagna all'Italia. Nel 911 Carlo il Semplice, re di Francia, concesse ai normanni guidati da Rollone, un principe di origine norvegese, di stanziarsi nella Bassa Lorena. Nacque il ducato di Normandia. Intorno all'anno 1000, cavalieri normanni agivano da mercenari nel Sud della penisola italica. Tra questi gli Altavilla (provenienti appunto dalla Normandia), che al servizio dei signorotti Longobardi si adoperavano contro le scorrerie saracene e contrastavano i Bizantini, la cui presenza nel Meridione era ancora forte. Roberto il Guiscardo (dal normanno Wiscard composto dalle radici “viska” ovvero scaltro e “hard”, forte) giunse in Italia nel 1047. I suoi fratellastri, tra cui il noto Guglielmo Braccio di Ferro, si erano conquistati un bel feudo in Puglia. Un altro normanno di spessore, Rainulfo Drengot aveva fondato nel 1022 con i suoi quattro fratelli la città di Aversa in Campania divenendone conte. Roberto era un guerrafondaio, simbiosi perfetta di astuzia e forza bruta. 
In trent'anni di guerre (fino al 1078) riuscì ad accaparrarsi tutto il Meridione, Sicilia compresa, strappando territori e roccaforti a Longobardi, Papato, Saraceni e Bizantini. La sua ascesa inarrestabile lo rese in breve la figura di spicco tra i normanni "italici". Al suo attivo poteva vantare anche la cattura di Papa Leone IX che nel 1053/54 lo nominò vassallo della Chiesa di Roma e protettore della stessa. Il suo talento diplomatico gli permise di sposare la ricca e potente principessa longobarda Sichelgaita di Salerno e di ottenere per gli Altavilla l'attribuzione dei titoli nobiliari e il riconoscimento delle conquiste territoriali effettuate fino ad allora nelle Puglie e in Calabria. Nel 1059, il Pontefice Niccolò II sanciva nel Concilio di Melfi, l'alleanza della nascente potenza normanna con il Papato. Ovvio che nel 1081 Gregorio VII pretendesse una mano dal Guiscardo contro le intemperanze del tedesco Enrico, seppur i rapporti tra i due non fossero per nulla idilliaci con tanto di scomunica pendente sul capo del normanno. Roberto però non intendeva dare seguito alle richieste del Pontefice. Anzi, da un lato promise ad Enrico IV di appoggiare la sua causa con truppe e rifornimenti, dall'altro si limitò a spedire nell'Urbe un bel pacchetto di denari. Poi al momento di scegliere per quale parte combattere, si imbarcò con tutti i suoi uomini, circa 16.000, destinazione Oriente. Il suo intento? Conquistare Bisanzio. Anna Comnena, vissuta tra il 1083 e il 1153, figlia di Alessio I imperatore di Bisanzio, fu principessa e storica. Ella descrive il Guiscardo come un uomo molto alto, muscoloso e dai capelli biondi. Furbo come una volpe, coraggioso, di natura indomabile. Insomma il classico "bello e maledetto” e inaffidabile.

Roma conquistata, il tragico epilogo

Premetto le battaglie di Roma tra il 1081 e il 1084 andrebbero trattate più approfonditamente per evitare di trasformare questo articolo in una sorta di poema omerico. Mi limito in questa sede a riassumere in breve quanto successo. Enrico IV calò in Italia e nel maggio 1081 era dinanzi alle mura di Roma. Incontrò una strenua resistenza da parte dei romani fedeli a Papa Gregorio e in seguito alla notizia di nuove ribellioni nella sua Germania, decise di ritirarsi in buon ordine. Quasi un anno dopo, nel marzo del 1082, organizzò un nuovo viaggio in Italia con conseguente assalto delle mura dell'Urbe. Andò male. Appena iniziata l'estate, temendo che il suo esercito rimanesse vittima di qualche febbre endemica, si trasferì nella Pianura Padana. Nel frattempo il Guiscardo, che imperversava in Grecia, era costretto a tornarsene nelle Puglie, richiamato da una rivolta lì scoppiata. Rinunciava in tal modo a guidare personalmente le sue truppe nella "presunta" conquista di Bisanzio. Fu uno dei suoi più grandi crucci. Dal momento che senza guerre non poteva stare, debellati i ribelli, decise di aiutare in concreto il Papa di cui era, sulla carta, un fedele servitore. A ottobre del 1082, Enrico riprese l'offensiva contro Gregorio VII. Dopo una meticolosa devastazione delle campagne intorno alla città, nel giugno del 1083 gli imperiali penetrarono le difese e conquistarono Roma. Il Papa si chiuse in Castel Sant'Angelo. Si giunse ad un accordo di massima. Enrico agognava di essere incoronato imperatore dal Papa, Gregorio di ottenere quanto riteneva legittimo secondo il suo "Dictatus papae". I romani dal canto loro promisero appoggio ad entrambi. Una tregua così incerta non poteva durare in eterno. Nel 1084 la svolta. Mentre in città si combatteva per le vie, le truppe germaniche continuavano a depredare le campagne. La carestia aveva minato la fiducia dei capitolini che decisero di cessare le ostilità, abbandonare il Papa e consegnare la città ad Enrico IV. Il 31 marzo 1084 in San Pietro, egli veniva incoronato imperatore dall'antipapa Clemente III. Gregorio resisteva in Castel Sant'Angelo. A maggio Roberto il Guiscardo allestì un esercito di oltre 36.000 uomini, tra normanni e saraceni e si mise in marcia per Roma. Vi giunse a fine mese. Enrico IV se l'era data a gambe constatata l'impossibilità di difendere una città ancora preda di una feroce guerriglia urbana. La data del 18 maggio passò alla storia come quella dello "scempio normanno". Roma venne saccheggiata, gli uomini uccisi, le donne stuprate, le chiese spogliate degli arredi. Infine fu appiccato un incendio di proporzioni immani tali che le macerie alzarono il livello del Celio. Gregorio VII se ne andò col Guiscardo a Salerno. Morì il 25 maggio del 1085 in odio ai romani e prigioniero della gabbia dorata impostagli dal normanno. Il Guiscardo passò a miglior vita il 17 luglio del 1085. Era tornato in Oriente e durante l'assedio di Cefalonia accusò un malore che si tramutò in una violenta e mortale febbre. Enrico IV abdicò nel 1105 a favore del figlio Enrico V, dopo anni di guerre intestine con la prole di primo matrimonio. Morì nel 1106.

Articolo di Andrea Rocchi Contorni del portale Talento Nella Storia. Tutti i diritti riservati

Bibliografia:

- Atlante Storico Zanichelli
- Gli assedi di Roma - Andrea Frediani - Newton Compton Editori
- Il mondo segreto del Medioevo - John M. Thompson - National Geographic
- La Grande Storia - L'Europa Medievale - Rba e National Geographic
- Storia medievale – Massimo Montanari - Laterza


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