Il Papa
Questa storia ebbe inizio nel
lontano 1073, data in cui il benedettino Ildebrando di Sovana prese possesso
del trono pontificio col nome di Gregorio VII. Di origini modeste, fu avviato
fin da giovane agli studi ecclesiastici in quel di Roma, venendo in contatto
con Giovanni Graziano (il futuro papa Gregorio VI) che, secondo alcune fonti,
potrebbe essere stato uno dei suoi maestri. Stimato dalla curia, fu mandato
come legato pontificio in Francia e condusse con la corte imperiale tedesca i
negoziati per la successione di Papa Leone IX (1049-54),
di cui fu un grande estimatore sull'onda riformatrice promossa dallo stesso Pontefice.
Ildebrando divenne Papa per acclamazione popolare in seguito alla morte del suo
predecessore Alessandro II. Determinato e coriaceo, si adoperò fin da subito
per consolidare l'autorità del papato sulla Chiesa e di conseguenza sullo
Stato. La riforma gregoriana viene considerata da molti storici uno dei punti
cruciali dell'epoca Medievale. Gregorio VII si occupò in primis
della spinosa questione che riguardava le investiture episcopali. A chi
apparteneva il diritto di concedere il titolo di vescovo ad un appartenente
alla società ecclesiastica? In linea di principio chiunque potrebbe affermare
che essendo il Papa la massima autorità spirituale della Chiesa, tale compito
spettasse unicamente a lui. Gli imperatori di Germania (e ancor prima Carlo
Magno) non la pensavano così. L'imperatore si riteneva tale per intercessione
divina (veniva incoronato dal Papa a Roma), dunque secondo la sua ottica poteva
mettere bocca nelle nomine ecclesiastiche a suo piacimento. A questa linea
teorica ne seguiva una pratica ben più importante. Affidare un feudo o una
fortezza ai nobili laici comportava sempre il rischio di covare delle serpi in
seno. Questi signorotti miravano ad una crescente indipendenza, creando nel
tempo dei piccoli regni "de facto" all'interno dei domini imperiali.
Per quanto fedeli sulla carta, spadroneggiavano nelle terre loro assegnate come
monarchi, arruolando milizie, chiedendo tasse supplementari alla popolazione e
soprattutto garantendosi la successione. Alla morte del feudatario locale,
quanto gli era stato assegnato doveva tornare in mano al sovrano. In molti casi
(alcuni persino avallati dall'imperatore per garantirsi alleati) invece, il
"morituro" trasmetteva i benefici ricevuti al figlio maschio
primogenito per buona pace di tutti. Il vescovo al contrario poteva essere un
ottimo amministratore, fedele e capace, senza possibilità di avere una prole
legittima. L'imperatore Ottone I di Sassonia, che governò come tale dal 962 al
973, per evitare la frammentazione del suo regno, si basò su queste figure
religiose, conferendogli sempre più poteri civili ed amministrativi. La carica
di vescovo divenne nel tempo frutto di compravendite tra laici e di
assegnazioni pilotate. Uomini fedeli all'imperatore potevano aspirare ad un
potentato feudale, versando cospicue cifre al sovrano in cambio
dell'investitura vescovile. Papa Gregorio VII non poteva tollerare questa
pratica contraria a tutti i principi della Fede alla quale aveva votato la sua
esistenza. Secondo la sua opinione, per nulla opinabile, un laico non poteva disporre
riguardo le nomine ecclesiastiche, principio già dibattuto durante un Concilio
Lateranense indetto da Papa Niccolò II nel 1059. Nel 1075 Gregorio ribadì nelle
ventisette proposizioni del "Dictatus papae" tutte le prerogative o
poteri del pontefice romano. Interessanti sono il terzo "verdetto"
che recita "Quod ille solus possit deponere espiscopus vel reconciliare"
ovvero "Che Egli (il Pontefice) solo può deporre o ripristinare i
vescovi" e soprattutto il dodicesimo "Quod illi liceat imperatores
deponere" che tradotto in italiano significa "Che a Egli è permesso
deporre gli imperatori". In pratica, se l'imperatore lo è per volontà
divina e se il Papa è la massima autorità spirituale di intercessione con Dio,
ecco che al Pontefice è concessa, per volere divino, la facoltà di deporre per
scomunica qualunque imperatore non sia degno di essere considerato tale.
Gregorio VII si era così infilato in un vespaio tale da provocare un conflitto
oltremodo sanguinoso e la distruzione della città, eletta da sempre a baluardo
della Cristianità, ovvero Roma.
Enrico IV, re di Germania e
d'Italia dal 1056, imperatore del Sacro Romano Impero dal 1084 al 1105, fu il
terzo sovrano della dinastia Salica, primogenito di Enrico III e di Agnese di
Poitou. Alla morte del padre aveva sei anni. La madre resse le sorti del regno,
tra congiure e colpi di stato, fino alla sua maggiore età nel 1065. La
necessità di ricompattare un regno diviso da tanti piccoli conflitti locali e
la volontà di affermare la propria autorità spinsero Enrico IV a intromettersi
pesantemente nella nomina del nuovo vescovo della diocesi di Milano. Era il
1072 e Ildebrando di Sovana non accettò tale ingerenza. Un anno dopo, divenuto
Papa, scaturì il problema delle investiture di cui abbiamo parlato poco sopra,
e con esso crebbe il desiderio di riscossa del nuovo Pontefice. Il 1076,
all'indomani del "Dictatus papae", fu l'anno giusto per una
scomunica. La vittima designata fu proprio il nostro Enrico IV. Tra i due
intercorse una bizzarra corrispondenza con reciproche accuse.
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Il Normanno

Roma conquistata, il tragico epilogo
Premetto le battaglie di Roma tra
il 1081 e il 1084 andrebbero trattate più approfonditamente per evitare di
trasformare questo articolo in una sorta di poema omerico. Mi limito in questa
sede a riassumere in breve quanto successo. Enrico IV calò in Italia e nel
maggio 1081 era dinanzi alle mura di Roma. Incontrò una strenua resistenza da
parte dei romani fedeli a Papa Gregorio e in seguito alla notizia di nuove
ribellioni nella sua Germania, decise di ritirarsi in buon ordine. Quasi un
anno dopo, nel marzo del 1082, organizzò un nuovo viaggio in Italia con
conseguente assalto delle mura dell'Urbe. Andò male. Appena iniziata l'estate,
temendo che il suo esercito rimanesse vittima di qualche febbre endemica, si
trasferì nella Pianura Padana. Nel frattempo il Guiscardo, che imperversava in Grecia, era costretto a tornarsene nelle Puglie,
richiamato da una rivolta lì scoppiata. Rinunciava in tal modo a guidare
personalmente le sue truppe nella "presunta" conquista di Bisanzio.
Fu uno dei suoi più grandi crucci. Dal momento che senza guerre non poteva
stare, debellati i ribelli, decise di aiutare in concreto il Papa di cui era,
sulla carta, un fedele servitore. A ottobre del 1082, Enrico riprese
l'offensiva contro Gregorio VII. Dopo una meticolosa devastazione delle
campagne intorno alla città, nel giugno del 1083 gli imperiali penetrarono le
difese e conquistarono Roma. Il Papa si chiuse in Castel Sant'Angelo. Si giunse
ad un accordo di massima. Enrico agognava di essere incoronato imperatore dal
Papa, Gregorio di ottenere quanto riteneva legittimo secondo il suo
"Dictatus papae". I romani dal canto loro promisero appoggio ad
entrambi. Una tregua così incerta non poteva durare in eterno. Nel 1084 la
svolta. Mentre in città si combatteva per le vie, le truppe germaniche
continuavano a depredare le campagne. La carestia aveva minato la fiducia dei
capitolini che decisero di cessare le ostilità, abbandonare il Papa e
consegnare la città ad Enrico IV. Il 31 marzo 1084 in San Pietro, egli
veniva incoronato imperatore dall'antipapa Clemente III. Gregorio resisteva in
Castel Sant'Angelo. A maggio Roberto il Guiscardo allestì un esercito di oltre
36.000 uomini, tra normanni e saraceni e si mise in marcia per Roma. Vi giunse
a fine mese. Enrico IV se l'era data a gambe constatata l'impossibilità di
difendere una città ancora preda di una feroce guerriglia urbana. La data del
18 maggio passò alla storia come quella dello "scempio normanno".
Roma venne saccheggiata, gli uomini uccisi, le donne stuprate, le chiese
spogliate degli arredi. Infine fu appiccato un incendio di proporzioni immani
tali che le macerie alzarono il livello del Celio. Gregorio VII se ne andò col
Guiscardo a Salerno. Morì il 25 maggio del 1085 in odio ai romani e
prigioniero della gabbia dorata impostagli dal normanno. Il Guiscardo passò a
miglior vita il 17 luglio del 1085. Era tornato in Oriente e durante l'assedio
di Cefalonia accusò un malore che si tramutò in una violenta e mortale febbre.
Enrico IV abdicò nel 1105 a
favore del figlio Enrico V, dopo anni di guerre intestine con la prole di primo
matrimonio. Morì nel 1106.
Articolo di Andrea Rocchi Contorni del portale Talento Nella Storia. Tutti i diritti riservati
Bibliografia:
- Atlante Storico Zanichelli
- Gli assedi di Roma - Andrea
Frediani - Newton Compton Editori
- Il mondo segreto del Medioevo -
John M. Thompson - National Geographic
- La Grande Storia - L'Europa
Medievale - Rba e National Geographic
- Storia medievale – Massimo
Montanari - Laterza
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