L’azione inizia a Venezia nel 1560, sul finire di un secolo devastato da guerre e grandi cambiamenti storici e religiosi. In quel tramonto, il pittore veneziano Tiziano Vecellio è colto nel suo studio, davanti all’abbozzo di una tela, “intento ad osservare, con gli occhi del viso e della mente, in piedi e con le braccia incrociate sul petto, ciò che aveva steso a gran colpi di pennello, come se avesse un nemico capitale dinnanzi”. L’autoritario, disincantato Maestro, ormai settantenne, attende la visita di un misterioso artista di nome Lorenzo che, appena giunto a Venezia, ha già molto fatto parlare di sé ed è stato soprannominato il pittore degli angeli per la maestria con cui dipinge le creature ultraterrene. In lui Tiziano percepisce un pericolo per la sua fama e, di conseguenza, la sua ricchezza, così faticosamente conquistate al servizio di principi, papi, nobili. Oltre ad eccellere nel suo campo, egli è soprattutto un uomo di potere, che esercita in maniera occhiuta grazie ad una rete di relazioni sociali e politiche intessute nella sua città d’adozione. Il pittore degli angeli si presenta, rivelandosi come un giovane talentuoso, ma povero, illetterato, ingenuo. Non sembra essere, Lorenzo, il rivale tanto temuto. Il potente Tiziano s’affeziona, lo prende sotto la sua ala protettrice: gli schiude numerose porte, gli fa avere importanti commesse, agevola il suo sentimento per Caterina, la fanciulla muta figlia di un mercante. Lorenzo, difatti, non possiede solo l’eterea dolcezza degli angeli che dipinge, ma è anche bellissimo come loro, e l’affetto paterno del Maestro si colora di venature erotiche. Lorenzo il pittore degli angeli non è, però, ciò che sembra… ed è il custode di segreti sconvolgenti e di un passato terribile, rimosso nelle profondità della sua mente. Così, ancora una volta l’infallibile intuito di Tiziano ha colto nel segno: l’arrivo del giovane, difatti, sarà destinato a stravolgere la vita artistica ed affettiva del pittore e dell’uomo e ne ribalterà le acquisite certezze. In un crescendo drammatico a colpi d’arte suprema, accanita rivalità, irruzioni del trascendente, il duello tra Tiziano e Lorenzo si sposterà da Venezia a Bergamo, e poi ancora a Venezia, fino all’inatteso, doppio finale che concluderà la partita.
Estratto del testo - Tiziano vede la Perfezione. L’ira del Maestro.
S’era recato alla chiesa dei Crociferi, vicinissima a casa sua, di proposito, poiché aveva appreso per bocca dello stesso Lorenzo che il Priore del monastero gli aveva commissionato una pala d’altare, e che egli stava ultimandola. “Sarebbe la prima volta che lo vedo dipingere sul luogo,” aveva pensato il Maestro, “e, a voler esser sinceri, delle sue tele vidi solo quella piccola Natività che mi portò quando venne a San Canciano. Vediamolo, dunque, all’opera,” e il fatto che, fra qualche giorno, la pala sarebbe stata terminata, e l’occasione sarebbe dunque sfumata, lo aveva portato ad uscir di casa senza altri indugi.
“V’è qui il giovane che chiamano il ‘pittore degli angeli’,” gli disse, infatti, il Priore, che, saputo del suo arrivo, si era fatto incontro con sollecitudine nella penombra della chiesa. “Si trova in sagrestia, a terminare una pala d’altare che gli abbiamo commissionato,” confermò, e Tiziano si dispose, lietamente, a far visita a Lorenzo, per osservarlo mentre lavorava, ma anche colmarlo delle sue attenzioni. Avanzò in solitudine lungo la navata di sinistra, passando di penombra in penombra, fino ad arrivare alla soglia della sagrestia e, là, arrestarsi dinnanzi alla scena che gli si presentava. Davanti ai suoi occhi e al centro della stanza, erano il pittore e la sua tela, e la luce, che spioveva dalla finestra della sagrestia, tagliando nettamente l’ombra, li eleggeva entrambi. Non visto, Tiziano osservò a lungo il profilo del giovane pittore e notò ch’egli dipingeva con gesti lenti, rallentati, eppure sicuri, soffermandosi con lo sguardo sull’immagine sacra che andava dipingendo, con amorosa attenzione, poi abbassandolo sulla tavolozza che reggeva con la mano sinistra, e qui immergeva il pennello nel colore ed il suo capo si chinava, sostava come fosse assorto, indorato dalla luce, posata su di lui come una carezza, poi lo rialzava verso la tela: dipingeva come se pregasse. Della tela non riusciva a scorgere che una chiazza di colore, posta com’era di sghembo rispetto a lui, e qui Tiziano mise un piede avanti per entrare ed esaminarla da vicino… e per un attimo, un attimo soltanto, Lorenzo volse il capo in direzione della soglia, forse a causa d’un rumore che l’inatteso visitatore aveva prodotto; ma, fosse stato per l’ombra densa in cui la navata era immersa, o per la luminosità della sagrestia, gli occhi celesti del giovane, abbagliati, sembrarono non scorgere il vecchio Maestro, e si volsero, nuovamente, al lavoro.
Tiziano varcò la soglia, fece pochi passi, ancora inavvertito, andò a mettersi alle spalle di Lorenzo... e rimase pietrificato. Davanti a lui, s’ergeva un’enorme pala d’altare – con una Madonna assisa in trono e il Bambino in grembo, circondata da vescovi e da santi, tutti in grandezza naturale – e, in un lampo, il Maestro incontrò gli occhi della Vergine, neri come un pozzo senza fondo, e tremò da capo a piedi... quegli occhi sembrava possedessero la scintilla della vita, anzi, la Madonna guardava proprio lui, ella respirava... viveva... ! Dio mio, che orrore! Con un urlo strozzato si strappò da quella vista, corse fuori dalla sagrestia, si rifugiò, tremante, dietro un pilastro. Subito, sentì accanto a lui la presenza di Lorenzo, che, accortosi di lui e della sua fuga, aveva posato tavolozza e pennello e gli era andato dietro. “Avete fatto voi quello?” gli sussurrò, sconvolto, Tiziano e, così chiedendo, concitato, gli aveva afferrato il braccio destro e l’aveva stretto con vigore. “Non vi piace?” gli chiese il giovane, invece di rispondergli. “Non v’ha aiutato nessuno? È tutta opera vostra?” chiese ancora, il vecchio Maestro, e sembrando, così, la conversazione, un rimbalzare di domande che si rispondevano. “Sì, è opera mia,” rispose, finalmente, Lorenzo. “La Natività che mi avevate portato era cosa ben diversa. M’avete ingannato!” proruppe d’un tratto, furente, Tiziano. “Vi dissi che era opera di bottega, e che l’avevo fatta quando ero poco più che un bambino,” replicò, stavolta, Lorenzo, “e, nel frattempo, non ebbi modo di mostrarvi altro. V’avevo invitato più volte a venire a casa mia, ma mi diceste che raramente lasciate San Canciano.” Le voci risuonavano, nel silenzio della chiesa, come brevi colpi d’arma da fuoco soffocati, fra l’ombra e la luce delle colonne, l’una concitata e furente, l’altra sbigottita e addolorata, fino a quando, senza più fiato per la collera, il vecchio Maestro volse le spalle al giovane pittore e, con passo incerto, andò verso l’uscita.
Sentì Lorenzo dire, a voce appena più alta: “Comprendo che non vi piace quel che dipingo, o la maniera con cui dipingo.” In due falcate, allora, il Maestro gli fu di nuovo accanto, e gli afferrò la testa fra le mani, con una violenza ch’era quasi brutalità, come se avesse voluto stritolarla, e avvicinò il volto giovane e dolce al suo viso, che in quel momento era stravolto di rughe e d’ira; poi, con altrettanta violenza, lo lasciò, mandando Lorenzo ad urtare, con la schiena, contro il pilastro, e uscì in fretta dalla chiesa.
Ringraziamo per la condivisione l'autrice Maria Cristina Cavaliere
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