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La Grande Storia dei Cavalieri Templari

Creati per difendere la Terrasanta a seguito della Prima Crociata i Cavalieri Templari destano ancora molto interesse: scopriamo insieme chi erano e come vivevano i Cavalieri del Tempio

La Grande Leggenda dei Cavalieri della Tavola Rotonda

I personaggi e i fatti più importanti del ciclo arturiano e della Tavola Rotonda

Le Leggende Medioevali

Personaggi, luoghi e fatti che hanno contribuito a conferire al Medioevo un alone di mistero che lo rende ancora più affascinante ed amato. Dal Ponte del Diavolo ai Cavalieri della Tavola Rotonda passando per Durlindana, la leggendaria spada di Orlando e i misteriosi draghi...

domenica 28 aprile 2013

FEDERICO SANAPO VINCE IL PREMIO NAZIONALE RICERCA DEL MISTERO

E' CON GRANDISSIMO ORGOGLIO CHE VI ANNUNCIAMO LA VITTORIA DI FEDERICO SANAPO, NOSTRO FENOMENALE COLLABORATORE COME VINCITORE DEL PREMIO NAZIONALE RICERCA DEL MISTERO 2013!! DI SEGUITO IL LIBRO CHE HA PORTATO IL GIOVANE BRINDISINO ALLA VITTORIA!

SAN GIOVANNI AL SEPOLCRO: Il Segreto dei Templari
Brindisi: una chiesa circolare, probabilmentedi origine templare, sarebbe la Chiave di un segreto millenario. Un mistero che avvolge gli ultimi duemila anni di storia. Un mistero strettamente legato alla Chiesa e ai suoi segreti. Una leggenda che negli ultimi anni ha preso sempre piu' piede: San Giovanni al Sepolcro,sarebbe, secondo lo studioso di storia e misteri medievali, Federico Sanapo, la 'sintesi' della leggenda del Santo Graal. E non solo: la chiesa confermerebbe alcune teorie ritenute bizzarre e fantasiose dagli storici moderni, quali quelle della Dinastia Reale di Gesu', sposo della Maddalena. Questa teoria, sconvolgente per alcuni, si troverebbe esposta nel portale nord della chiesa, quello oggi di ingresso, dove ai lati dello stipite della portavi è un enorme disegno con animali, coppe, pavoni e dee nude, quali Cibele e una Nereide. Ma non solo: all'interno del tempio, ancora oggi visibili, e per molto tempo sconosciuti al pubblico, sono stati trovati un Nodo di Salomone inscritto in una colonna e un misterioso codice alfa-numerico, probabilmente di origine templare. Eseguendo dei semplici calcoli e unendoli al significato della Cabala, saltano fuori teorie sorprendenti. E inoltre stato decifrato il grande bestiario medievale presente sul portale est della chiesa, il quale rimanderebbe sempre e comunque alla leggenda del Santo Graal. Nella chiesa inoltre, la scoperta che forse getta la parola fine alle tante controversie: emergono particolari che vogliono i Templari collegati alla Massoneria. Strani giochi di luce e calcoli geometrici rimandano all'Antico Egitto, il simbolismo delle finestre, degli angoli e delle 16 colonne della chiesa rimandano al Sigillo di Salomone, che secondo complessi calcoli geometrici si formerebbe piu' volte all'interno della chiesa. La Chiesa rispetterebbe la Proporzione Divina, avendo usato come metodo di costruzione la Quadratura del Cerchio. E una Triplice Cinta fa bella mostra proprio all'ingresso della chiesa.

PREMIO NAZIONALE DEL MISTERO

Domani Sguardo sul Medioevo parteciperà come spettatore alla consegna del PREMIO NAZIONALE DEL MISTERO in collaborazione con la Eremon Edizioni e gli amici di Terraincognitaweb! Pagina facebook dell'evento: https://www.facebook.com/pages/Premio-Nazionale-Ricerca-nel-Mistero/206734706071786?fref=ts

MASSIMO BRAY NUOVO MINISTRO DEI BENI CULTURALI

"La Cultura Prima di tutto". E' la parola d'ordine che campeggia anche sul suo sito. Massimo Bray, è il ministro della Cultura indicato oggi dal presidente del Consiglio Enrico Letta. Nato a Lecce l'11 aprile 1959, vive a Roma, neodeputato per il Pd, approda alla guida del Mibac vantando una laurea in Lettere e Filosofia e la direzione editoriale dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, fondato da Giovanni Treccani, dove entrò come redattore responsabile della sezione di Storia moderna dell'Enciclopedia La Piccola Treccani. Non lascerà più l'Istituto, divenendone nel 1994 il direttore editoriale e seguendone l'apertura al mondo web. Massimo Bray è anche direttore responsabile della rivista edita dalla Fondazione di cultura politica Italianieuropei vicina a Massimo D'Alema, che ha tra i suoi principali obiettivi quello di elaborare analisi e riflessioni pubbliche sui nodi cruciali dell'innovazione politica ed economica europea. La fondazione è un luogo di incontro tra le diverse tradizioni culturali del riformismo italiano. Sull'edizione italiana di Huffington Post è autore di un blog dedicato all'esperienza della cultura, con particolare attenzione all'editoria tradizionale e digitale. Presiede il consiglio d'amministrazione della Fondazione La Notte della Taranta, che organizza il più grande festival europeo di musica popolare, dedicato al recupero della pizzica salentina e alla sua fusione con altri linguaggi musicali, dalla world music al rock, dal jazz alla sinfonica. Sul suo sito si legge che l'impegno nel Pd è motivato dal credere che "la cultura possa essere il modo migliore di ricostruire il nostro Paese. E perché crede che, grazie alla cultura, il Mezzogiorno possa mostrare la sua migliore identità".

Fonte: Unione Sarda

venerdì 26 aprile 2013

L'OMOSESSUALITA' NEL MEDIOEVO

L'omosessualità nel Medioevo affronta due periodi che si diversificano tra loro per la visione che non solo la società e la legislazione civile, ma anche la Chiesa cattolica ed il diritto canonico, danno a questo fenomeno. Secondo lo storico John Boswell si passa infatti da una malcelata intolleranza verso l'omosessualità, per lo più ignorata e trattata alla stregua di altri peccati come l'adulterio ed i rapporti prematrimoniali e fuori dal matrimonio, che caratterizza tutto l'Alto Medioevo (VI-XI secolo), ad una ostilità vera e propria che si trasforma in persecuzione fino alla condanna alla pena più grave, cioè la pena capitale, che caratterizza invece il Basso Medioevo (XII-XV secolo). Pertanto vanno distinti i due periodi che sono caratterizzati da legislazioni, oltre che da mentalità e grado di tolleranza, diverse tra loro. Nel periodo successivo alla caduta dell'Impero romano fino alla nascita delle autonomie comunali e della società basso medioevale, sia la legislazione civile che il diritto canonico sembrano occuparsi poco dell'omosessualità. Mentre in oriente, dove l'Impero sopravvisse grazie all'Impero bizantino, continuò ad essere applicato il codice teodosiano che prevedeva la pena di morte per gli omosessuali passivi e gli effemminati, ma anzi il codice fu riformato da Giustiniano nel 533 attraverso norme più restrittive che punivano con il rogo anche gli omosessuali attivi e qualsiasi atto omosessuale paragonandolo all'adulterio, in occidente la caduta dell'Impero Romano d'Occidente provocò la perdita di molte leggi di diritto romano, tra cui anche i codici Teodosiani. Nella legislazione civile il reato di omosessualità era sancito nella Spagna dei Visigoti, nel VII secolo, che lo puniva attraverso la castrazione secondo le Leges Visigothorum. L'episcopato spagnolo rifiutò di applicare la norma, anche se alla fine dovette cedere sotto la pressione della monarchia visigota, e puniva sia gli ecclesiali che i laici che commettevano atti omosessuali con la degradazione di grado, la scomunica e l'esilio se ecclesiali, cento frustate e l'esilio se laici. Durante tutto l'Alto Medioevo, in Europa Occidentale, non si hanno tracce di legislazione civile contro gli omosessuali fino a Carlo Magno, eletto imperatore del Sacro Romano Impero nell'Ottocento. Questi peraltro si limitò ad emanare un editto in cui esortava le autorità ecclesiastiche a impedire e sradicare questo male con ogni mezzo. L'editto non prevedeva alcuna pena, ed aveva più la sostanza di una esortazione ecclesiastica[3]. Esortazione giustificabile dal fatto che l'omosessualità era abbastanza diffusa nelle comunità monastiche altomedioevali; il monaco San Aelred di Rievaulx, nelle sue lettere e scritti privati, scrive della sua giovinezza come di un tempo in cui non pensava ad altro che ad amare ed essere amato da uomini. I successivi editti franchi riprendono sostanzialmente l'editto di Carlo Magno, e non si hanno più leggi contro l'omosessualità fino al XIII secolo. Sul fronte del diritto canonico e della dottrina della Chiesa cattolica, i principali documenti ufficiali con cui si condannava l'omosessualità sono due:
Concilio di Elvira (305-306 d.C.), che conteneva un canone in cui si vietatava la comunione agli stupratores puerorum, anche in punto di morte. Concilio di Ancira (314 d.C.), in cui furono emanati due canoni che punivano gli alogeusamenoi, letteralmente "coloro che avevano perso la ragione". L'ambiguità di questo passo era già nota ai traduttori latini delle epoche successive al Concilio. Secondo Boswell il canone non si riferiva agli omosessuali, ma le interpretazioni successive dei traduttori e dei teologi, tra cui quella di Pier Damiani, vanno proprio in questo senso. Non meno importanti, pur non rappresentando documenti ufficiali, sono i cosiddetti penitenziali. Questi erano dei pratici manuali che istruivano il sacerdote sul comportamento e la pena da adottare di fronte a determinate problematiche e peccati, tra cui l'omosessualità, che occupava un posto di rilievo. Sebbene i penitenziali non costituiscano un corpo compatto ed omogeneo, la loro influenza sulla legge e sui comportamenti civili non deve essere sottovalutata. In questi manuali gli atti omosessuali venivano puniti con tre anni di penitenze se si trattava di rapporti orali e femorali, 20 anni se invece si trattava di atti sodomitici. È interessante notare che nei penitenziali i riferimenti all'omosessualità femminile sono scarsi: essa viene citata in alcuni penitenziali, descrivendo l'uso di uno strumento che richiama il membro maschile in relazioni tra donne e suore nei conventi, punite con penitenze di 7 anni. Nel corso del XIII secolo si assiste, più o meno in tutta l'Europa Occidentale, ad un'ondata di intolleranza via via sempre più feroce nei confronti dell'omosessualità, fino a diventare una vera e propria persecuzione. Questa ondata di intolleranza e violenza si manifesta anche contro altre minoranze nella società del basso medioevo, tra cui gli eretici, le streghe e gli infedeli. Già dal punto di vista dottrinale il pensiero della Chiesa Cattolica si fa sempre più intollerante, come testimoniano l'opera del monaco Pier Damiani Liber Gomorrhianus(1049) in cui si condanna violentemente l'omosessualità e la sodomia, o il Summa Theologiae di Tommaso d'Aquino in cui l'omosessualità viene descritta come un peccato orribile, ben peggiore dell'adulterio e dello stupro, pari solo alla bestialità. La crescente intolleranza e rifiuto dell'omosessualità non è certo prerogativa esclusiva della Chiesa, tant'è che anche ampie classi della società medioevale e comunale disprezzano e condannano l'omosessualità, tra cui l'emergente classe borghese dei mercanti. Paolo da Certaldo, nella sua opera il Libro dei buoni costumi, importante testimonianza delle consuetudini e della mentalità tipiche della nascente classe borghese e mercantile, consiglia di evitare la frequentazione di persone che hanno la fama di essere sodomiti. Anche la società comunale e le leggi civili cambiano radicalmente, prevedendo pene sempre più gravi fino alla punizione con il fuoco. Già negli Statuti Bolognesi del 1259 si esortano i cittadini a denunciare i sodomiti, puniti con l'esilio, mentre chi offriva ospitalità agli omosessuali nella propria casa era punito con la morte. In tutto il XIII secolo si promulgano leggi in Germania, Francia e Svizzera che puniscono gli omosessuali condannandoli al rogo. Nel 1277 a Basilea l'imperatore Rodolfo fa bruciare sul rogo un omosessuale, e questa consuetudine viene attestata anche in alcune regioni della Francia. Nel 1293 viene attestato in Italia la prima condanna al rogo di un omosessuale, quando Carlo II d'Angiò fa impalare e bruciare sul rogo il conte di Acerra, accusato di sodomia. A Siena la constitutio condannava gli omosessuali sorpresi a commettere atti contro natura alla multa di 300 lire, e all'impiccagione per i genitali in caso di inadempienza. Lo Stato della Chiesa puniva anche i ruffiani, cioè coloro che offrivano ragazzi guadagnandoci soldi, con frustate e l'esilio perpetuo, mente i sodomiti venivano bruciati sul rogo. Durante tutto il XIV secolo la pena capitale tramite il rogo viene adottata in tutta Italia, e verrà mantenuta nel XV secolo, condannando, in molti comuni e signorie, anche la sodomia tra uomo e donna, oltre che tutti gli atti omosessuali. A Milano, sotto gli Sforza, chi denunciava gli omosessuali veniva ricompensato tramite denaro, tuttavia le accuse dovevano essere supportate da prove. A Venezia agli inizi del Quattrocento uno scandalo che riguardava la sodomia coinvolse la nobiltà, arrivando fino alle alte cariche della Serenissima repubblica, provocando una repressione contro l'omosessualità che prevedeva controlli notturni nelle taverne e nelle locande della città. Un caso particolare rappresenta la repubblica fiorentina, dove fino al 1400 gli omosessuali non venivano puniti con il rogo, ma con multe pecunarie associate alla castrazione e al taglio della mano destra se il reo si dimostrava recidivo. Tuttavia venivano bruciati sul rogo i forestieri che commettevano atti sodomitici durante il loro passaggio nel territorio fiorentino, e si prevedeva una censura nei confronti de "l'amor greco" nelle opere letterarie ed artistiche. Nel 1430, a seguito di un caso spiacevole che aveva scosso l'opinione pubblica, anche la legislazione di Firenze si fece più severa, con pene pecunarie più alte: tuttavia la pena capitale al rogo era prevista solo in caso di recidività, più precisamente alla quarta volta in cui veniva commesso il reato.

Fonte: Wikipedia

IL ROGO

La morte sul rogo è una forma di condanna capitale, utilizzata nei secoli passati in tutto il mondo e applicata soprattutto ai condannati per stregoneria, eresia e sodomia. Il condannato veniva solitamente legato ad un palo, sotto ed intorno al quale venivano posti abbondanti fasci di legname a cui veniva dato fuoco. La morte sopraggiungeva per gravissime ustioni prodotte al corpo, se il fuoco era rapido, e per il successivo annerimento della carne fino a ridurre in cenere il martirizzato. Se il fuoco era lento, invece, prima che il medesimo potesse giungere a dilaniare le carni si poteva morire per asfissia oppure per arresto cardiocircolatorio. È verosimile che questa forma di condanna a morte fosse presente nelle culture più antiche, ma le prime testimonianze di condanne al rogo sono di epoca romana e ci vengono fornite dai Martirologi e dalle Vite dei Santi, in cui vengono descritti i supplizi dei martiri del cristianesimo.
La condanna al rogo di questi da parte del Senato e degli imperatori romani non era molto frequente e si concludeva sempre con la salvezza del Santo a cui, poiché le fiamme non riuscivano a lambirlo, veniva staccata la testa. Nei primi anni dell'impero bizantino il rogo fu utilizzato come punizione per gli zoroastriani, come pena di contrappasso alla loro adorazione del fuoco sacro. Nei territori conquistati dai Vandali nell'Africa settentrionale, durante il Regno di Unerico la morte sul rogo fu dispensata a molti vescovi cattolici che si erano rifiutati di convertirsi all'arianesimo. Nella Bibbia la punizione del fuoco (Serefa) non era invece riferita al rogo come oggi lo intendiamo: ai condannati veniva fatto ingerire piombo fuso provocando la morte istantanea del reo dovuta alla distruzione delle vene e delle arterie del collo. La Serifa fu una delle quattro pene di morte prescritte dal libro sacro e, come le rimanenti (lapidazione, decapitazione e impiccagione) raramente fu praticata dagli ebrei. Al di fuori dell'area mediterranea il rogo è stato praticato da alcune civiltà precolombiane per cerimonie sacrificali e in India, dove nel passato, ma in alcune regioni la tradizione persiste ancor oggi, le donne sposate venivano sacrificate sulla pira ove ardevano i corpi dei mariti morti. Il rogo era usato anche da alcune tribù di Indiani d'America, in alternativa alla trafittura con frecce, per uccidere i nemici catturati. Nella cristianità il primo rogo per eresia, anche se vi sono testimonianze non comprovate di roghi di manichei nei primi secoli, venne disposto dal re Roberto II di Francia, un'autorità laica, nel 1022 per punire i vescovi di Orléans che avevano aderito ad un'eresia nella quale, secondo gli atti dell'accusa, gli adepti avrebbero sostenuto di avere visioni angeliche che comunicavano loro il vero significato delle Scritture, quali diretti discendenti degli apostoli. Tuttavia solo nel 1184 il Sinodo di Verona decise che il rogo fosse la condanna a morte ufficiale per l'eresia: prima di allora le autorità religiose, che dai tempi dell'impero carolingio non avevano a che fare con le eresie, si erano rivelate "morbide" nella lotta agli eretici, solitamente membri dello stesso clero, preferendo altre alternative alla condanna a morte, quali l'abiura sotto tortura. Fu soltanto con l'affermarsi del catarismo in Linguadoca e nel nord Italia che si decise di stroncare l'eresia attraverso punizioni esemplari. Tale decisione fu confermata sia dal Quarto Concilio Laterano (1215) che dal Sinodo di Tolosa (1229) e da tutti gli altri convegni ecumenici che si susseguiranno fino al diciassettesimo secolo. Scopo del rogo era quello di rimuovere ogni traccia dei colpevoli e dei loro peccati, purificando contemporaneamente i luoghi dove questi erano vissuti. Questi infatti, secondo l'ottica medioevale, rischiavano di essere soggetti di altri mali portati da eresia e stregoneria, quali carestie e pestilenze. Oltre a ciò, la riduzione in cenere del corpo impediva, secondo l'ideologia cristiana, la resurrezione[senza fonte]nel giorno del giudizio universale: era quindi un'esecuzione sia corporale che spirituale[senza fonte]. Le sentenze di condanna a morte per rogo medioevali avvenivano dopo un processo sommario, di stampo fortemente inquisitorio e associato a torture. I beni della persona condannata per eresia venivano confiscati dagli inquisitori ed entravano a far parte del patrimonio dell'ordine che aveva disposto la condanna. Gran parte della storiografia ritiene che sia stato proprio il desiderio di appropriarsi dell'oro dell'Ordine dei Templari a decretare la fine di quest'ultimo e il rogo dei suoi capi. Tra le personalità di spicco giustiziate tramite questo supplizio possiamo ricordare Jacques de Molay (1314), Jan Hus (1415), Giovanna D'Arco (1431) e Giordano Bruno (1600). Dopo l'affermarsi della riforma luterana e di quella calvinista la condanna a morte per rogo venne applicata da tutte le correnti religiose provocando un ingente numero di decessi. Al numero di esecuzioni di eretici vanno aggiunti i numerosi roghi comminati dall'autorità secolare, dopo sentenze dell'autorità ecclesiastica, a omosessuali e streghe. La persecuzione contro le donne accusate di stregoneria in particolare ebbe tra la fine del XV e l'inizio del XVII secolo una particolare recrudescenza, facendo numerose vittime in Europa e nel Nord America. Gli ultimi roghi per stregoneria in Europa avvennero tra il 1782 e il 1793 in Svizzera e in Polonia. Fin dal Medioevo, in Gran Bretagna, il rogo fu la pena capitale decretata per le donne condannate per tradimento (treason): questo poteva essere high treason quando si trattava di crimini commessi contro i sovrani o petty treason per l'uccisione di coloro che erano superiori per legge a chi commetteva il reato, come nel caso della moglie che uccideva il marito. Nel 1790, Sir Benjamin Hammett, riuscì a far approvare una legge al Parlamento inglese che pose fine sull'isola all'esecuzione capitale sul rogo. Le opinioni sul numero di esecuzioni effettivamente eseguite sono comunque molto divergenti: si va da un minimo pur sempre rilevante di cinquantamila (meno di cento in Italia) fino ad un massimo di cinque milioni, in un arco che comprende grossomodo l'inizio del XII secolo e la fine del XVII secolo.

Fonte: Wikipedia

IL BOTTINO DI GUERRA

Per saccheggio si intende quell’azione militare che mira a depredare e ad acquisire bottino portando allo stesso tempo lo scompiglio e la distruzione nel territorio dell’avversario. In epoche passate, non era desueto ricorrere alla guerra ed al saccheggio per invadere un territorio e depredarlo delle risorse di cui disponeva. Da questo punto di vista è possibile considerare la guerra come una forma di attività economica. Un’attività economica, a dire il vero, capace di procurare enormi profitti per i vincitori: non è del tutto corretto ritenere la guerra come pura “produzione negativa”; ciò al di là delle ovvie implicazioni morali. Il ricorso al saccheggio, alla razzia e al raid è molto diffuso, nel corso di tutta la storia bellica europea, a prescindere dalle epoche e dai luoghi, e il motivo è presto detto. La guerra generalmente, e indipendentemente dalle cause che l’hanno scatenata, si configura come una prova di forza in cui per risultare vincitori è utile indebolire l’avversario quanto lo è incrementare la propria forza. Gli studiosi di Storia della guerra e gli storici in generale tendono a distinguere tra razzia e raid. Per razzia si intende l’incursione in un territorio nemico, di solito limitata nel tempo, con il duplice scopo di prelevare la maggior quantità di risorse possibile e di devastare ciò che non è possibile portare con sé. Questo genere di azione militare era caratteristica, per esempio, delle zone di confine. La razzia è il tipo di azione militare di gran lunga più diffuso in tutta l’età medioevale. In ogni epoca, il semplice passaggio di un esercito per un dato territorio veniva a costituire una grave disgrazia per il luogo attraversato, senza differenza tra amici e nemici. Scrive Stettia: “in età medioevale ogni esercito, per il solo fatto di essere tale, sembra incapace di astenersi dalla preda in ogni possibile occasione”. C’è poi da considerare il problema dell’approvvigionamento di cibo e di mezzi per la massa di uomini che compongono l’esercito in marcia. Il mezzi pesanti che facevano parte dell’armamentario che l’esercito portava con sé (macchine belliche, cannoni, mezzi pesanti, ecc.) provocavano il danneggiamento delle strade, l’abbattimento di muri, alberi e di tutto ciò che poteva ostacolarne il passaggio. Per essere precisi, occorrerebbe operare una distinzione fra prelievi fatti per le necessità di sopravvivenza dei soldati e la rapina autorizzata. Nei fatti, tuttavia, una distinzione del genere è quasi sempre impossibile anche se consideriamo il punto di vista del contadino che si vede privato del proprio raccolto con le cattive maniere e a titolo gratuito. Non a caso l’abilità di condurre un esercito da un territorio a un altro senza causare gravi danni ai luoghi attraversati era caratteristica riconosciuta solo ai più grandi condottieri. Belisario e Guglielmo il Conquistatore erano amati sia dal proprio esercito, sia (cosa ben più rara) dalle popolazioni dei territori che attraversava con i propri soldati. Come è noto, le incursioni dei Vichinghi puntavano decisamente sulla sorpresa e sulla rapidità dell’azione. Inizialmente, le loro operazioni devastatrici e razziatrici erano mirate esclusivamente agli insediamenti sulla costa; ma ben presto grazie alle loro agili imbarcazioni risalirono i grandi corsi d’acqua per colpire le città dell’interno. Successivamente si trasformarono da pirati e marinari in abili e coraggiosi guerrieri, capaci di spostarsi rapidamente in sella ai cavalli che si procuravano sul posto. Anche i Saraceni, provenivano dal mare: dall’Africa settentrionale, dalla Spagna, dalla Sicilia e da Creta essi colpirono per circa due secoli le terre cristiane che si affacciavano sul Mediterraneo. I Saraceni sbarcavano in prossimità dell’obiettivo che saccheggiavano per diversi giorni. Dopo di che, o si reimbarcavano coi il bottino, oppure instauravano una base fissa e ben protetta in terraferma, dalla quale partivano per scorrerie anche verso i centri dell’entroterra. Gli Ungari, fra la fine del IX secolo fino alla metà del secolo seguente, devastarono molte zone dell’Europa orientale. La loro collaudata tattica consisteva nell’affrontare il nemico frontalmente, dopo di che fingevano la fuga attirando i nemici in agguati. Gli Ungari disponevano di una rapida e agile cavalleria leggera dotata di arco. Nelle azioni devastatrici condotte dagli Ungari e dai Vichinghi diversi erano i mezzi adottati per suscitare il terrore nelle vittime e ridurne la capacità di resistenza: la velocità e la sorpresa delle loro azioni, l’aspetto terrificante dei guerrieri, le loro urla di guerra, l’uso intimidatorio del fuoco, i loro gesti di deliberata crudeltà e brutalità. Una maniera per accumulare un bottino collettivo, era costituita dall’azione dei singoli che depredavano ognuno col proprio sacco. I combattenti iniziavano l’appropriazione sistematica dei beni altrui a cominciare dalla spoliazione dei nemici uccisi sul campo di battaglia. Non era affatto raro vedere uomini, anche non combattenti, che iniziavano a fare bottino ancor prima della fine della battaglia: le leggi bizantine punivano duramente questi individui che distoglievano l’esercito dal combattimento, permettendo ciò nonostante di appropriarsi dei beni degli avversari al termine degli scontri. Ben più rare, ma sicuramente più lucrative, erano le occasioni di prede collettive che si realizzavano, per esempio, dopo la conquista di una città o quando si batte l’esercito avversario costringendolo alla rapida resa e all’abbandono di tutti i suoi bagagli. Molto spesso i comandanti di un esercito consideravano una città conquistata, grande o piccola che sia, come un deposito di ricchezze di cui potersi appropriare liberamente. In questi casi, il bottino veniva radunato, e poi suddiviso fra i combattenti. L’esempio forse più clamoroso di una tale mentalità consiste nel grande saccheggio di Costantinopoli, durante la quarta crociata.

Fonte: Wikipedia

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