
La setta che conobbe la più grande diffusione fu quella del persiano Mani (216-277), che si considerava discepolo di Gesù e che fuse nel suo culto elementi provenienti, oltre che dalle scritture ebraiche e cristiane, anche dal platonismo, dallo zoroastrismo e dal buddhismo. Il manicheismo, che tanta influenza ebbe nel movimento ereticale cataro dei secoli XII-XIII, ha una visione fortemente dualistica del mondo, originato della mescolanza di due principi in lotta tra loro, quello della Luce, buono, e quello della Tenebra, malvagio. In questa prospettiva, l’uomo può sconfiggere definitivamente il male solo grazie ad un rigoroso distacco dai beni materiali e alla conoscenza. La gnosi (e questa è una caratteristica comune ai suoi vari filoni) è una conoscenza esoterica perfetta da cui dipende la salvezza e che possiedono solo gli eletti. Lo gnostico sa che il male e la sofferenza sono la conseguenza della caduta di elementi superiori, spirituali e divini, nel mondo materiale. Egli tende quindi alla dissoluzione finale della materia e alla liberazione delle anime dalla corporeità, dopo un ciclo di reincarnazioni e purificazioni. Il Salvatore è una sorta di inviato divino che per compiere la sua missione salvifica rivela la conoscenza liberatrice, risvegliando nelle anime immemori la loro natura divina (questo risveglio è per gli gnostici la resurrezione). Il mondo materiale è opera di un principio malvagio e la salvezza, quindi, può essere cercata dimenticando i travagli di questo mondo, visto solo come una prigione da cui l’anima deve evadere.
Articolo a cura del nostro collaboratore Aldo Ciaralli
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