TOTILA RE DEI GOTI
Processo al
personaggio storico. Istruttoria su una leggenda nera
Un secolo fa, lo storico Marc Bloch paragonò il suo lavoro a quello del
giudice istruttore: «Noi (storici) siamo
dei giudici istruttori incaricati di una vasta inchiesta sul passato. Come i
nostri confratelli del Palazzo di Giustizia, raccogliamo testimonianze con
l’aiuto delle quali cerchiamo di ricostruire la realtà1». Pertanto, condurrò un “processo” su un singolare “imputato”: il re dei Goti
Totila l'Immortale, il “perfidus rex” dei Dialoghi di Papa Gregorio
Magno e il “nefandissimus” della Pragmatica Sanctio di
Giustiniano, l'atto con cui l'imperatore, diventato padrone assoluto di Oriente
e Occidente, annullò tutti i provvedimenti adottati da Totila ai danni delle proprietà
dei senatori romani.
Antefatti del processo: il regno di Teodorico e la Guerra Gotica
Occorre preliminarmente esaminare il contesto storico in cui l'“imputato”
Totila si è mosso: la
Guerra Gotica. Questo conflitto fu iniziato da Giustiniano
nell’anno 535 col pretesto dell’assassinio della regina Amalasunta, figlia di
Teodorico e filobizantina, per mano del cugino Teodato. La guerra iniziò con
l'invasione della Sicilia, lasciata quasi incustodita da Teodato. Lo scopo
dell'imperatore era riconquistare l'Italia, governata fino a quel momento dalla
casata di Teodorico. Durante il regno di Teodorico, che aveva sconfitto su
mandato dell’imperatore Anastasio gli Eruli di Odoacre, l’Italia aveva goduto
di un periodo di pace e di prosperità. L’illustre re goto aveva rispettato le
prerogative del senato romano e finanziato numerose opere pubbliche. Aveva
garantito libertà religiosa a tutti i sudditi per quanto egli fosse, come la
maggioranza dei Goti, un seguace della dottrina di Ario, bollata di eresia dal
concilio di Nicea che stabilì la consustanzialità tra Cristo e il Dio-Padre
(secondo Ario, infatti, il Figlio non era compartecipe della stessa divinità
assoluta e increata del Padre). Dichiarando che nessuno puo' essere costretto a
convertirsi con la forza, Teodorico aveva permesso ai cristiani niceni di
conservare le loro chiese e aveva fatto ricostruire alcune sinagoghe incendiate
dai cristiani. Nonostante non fosse vessata, la nobiltà senatoria aveva sempre
mal visto un dominio straniero da parte di barbari eretici e non aveva mancato
di tramare perché l’imperatore Giustino, predecessore di Giustiniano e autore
di misure persecutorie ai danni dei cristiani ariani, potesse rientrare in
possesso dell’Italia. A quel complotto era seguita una dura repressione da
parte di Teodorico, repressione che aveva mietuto come vittima illustre il
filosofo Boezio. E con l’incarcerazione di papa Giovanni I, che si era
rifiutato di mediare a favore dei cristiani ariani davanti all’imperatore
Giustino, si erano creati insanabili attriti fra il sovrano e la Chiesa di Roma. Sono queste
le premesse indispensabili per comprendere la Guerra Gotica e
l’ostilità dell’aristocrazia romana e nicena verso i Goti. Giustiniano,
successore di Giustino, si era prefisso il tanto ambizioso quanto anacronistico
obiettivo di riunificare Oriente e Occidente sotto un unico trono. E nello
stesso tempo, si era proposto d'imporre a questo impero unificato il solo culto
cattolico-niceno, con l'eliminazione di tutti
gli altri, tacciati di eresia2. I Goti erano finiti nel mirino
delle rivendicazioni imperiali anche per il fatto di essere seguaci del
cristianesimo ariano3. Non è azzardato sostenere che la
guerra gotica fu una riconquista del regno d'occidente in nome della fede4. La motivazione di voler debellare i Goti perché eretici e, come tali,
nemici dell’ortodossia nicena è infatti riportata nell'alleanza proposta da
Giustiniano ai capi dei Franchi per combatterli: «sarebbe giusto che anche voi vi uniste a noi nel sostenere questa
guerra, che siamo ugualmente impegnati a condurre non solo per la nostra fede
ortodossa che ripudia l'eresia ariana, ma anche per l'odio che entrambi
nutriamo per i Goti» (Procopio di Cesarea, Le guerre: persiana, vandalica,
gotica a cura di Craveri M., F.M. Pontani, Torino, Einaudi, 1977 p.357).
Nell'anno 540, dopo le ripetute sconfitte militari di re Vitige, i Goti si
erano arresi a Belisario, il Generalissimo di Giustiniano. Vitige era finito
prigioniero a Costantinopoli e i Goti riorganizzarono la resistenza all'Impero bizantino
nominando loro re Ildebado. Dopo l'assassinio di Ildebado, l'offerta della
corona passò a suo nipote Totila (figlio di un suo fratello di cui non ci è
stato tramandato il nome). Il giovane condottiero, che si trovava a capo della
guarnigione di Treviso, accettò col patto dell'eliminazione di Erarico,
re-fantoccio proposto dalla fazione dei Rugi, il quale stava per consegnare a
Giustiniano l'intero regno d'Italia in cambio di un arricchimento personale.
Dopo questa breve introduzione, come in ogni processo, inizierò dalle
accuse a carico di Totila.
Esame dell'accusa di essere un feroce persecutore di uomini di Chiesa e di
cristiani
Si tratta di un'accusa mossa dai Dialoghi di Gregorio Magno ed esasperata
dalle agiografie (storie di martiri) scritte nel tardo medioevo dove il re goto
compare come un autore di atroci martirii.
Nei Dialoghi Totila è un anticristo i cui propositi sanguinari ai danni di
santi vescovi sono spesso vanificati da interventi divini a favore di questi
ultimi (interventi che spaventano l'empio sovrano). Così, il “perfidus rex” getta
a un orso il vescovo Cerbonio che però ammansisce la belva (Dialoghi 3,11).
Dopo il plateale turbamento per i rimproveri e la profezia di morte di San
Benedetto (Dialoghi 2,14), il sadismo e la crudeltà di Totila si placano solo
per poco. Schernisce il vescovo Cassio che, immediatamente dopo gli insulti,
scaccia uno spirito maligno entrato in un soldato goto (Dialoghi 3,6.2) e lega
sotto il sole il vescovo Fulgenzio, ma un temporale si abbatte sull’esercito e
bagna tutti eccetto il religioso (Dialoghi 3,12). Pur non essendo presente
all’assedio di Perugia, ordina a un generale di scorticare vivo e decapitare
Ercolano, il vescovo della città. Il generale esegue l’ordine della
decapitazione scorticando però Ercolano solo dopo averlo ucciso. La testa e la
pelle di Ercolano si riattaccano al cadavere che rimane intatto per quaranta
giorni (Dialoghi 3,13). L'incontro di Totila e San Benedetto è forse tra le
pagine più note dei Dialoghi. Totila traveste da re un suo scudiero e si reca
all'abbazia camuffato da semplice soldato per saggiare le doti di veggente di
Benedetto. Il monaco però lo riconosce, gli rimprovera il “molto male” compiuto
e gli profetizza la conquista di Roma e la morte al decimo anno di regno, terrorizzandolo
(Dialoghi 2,14).
Le agiografie tardo medievali riprendono questa visione demoniaca del
sovrano goto. È spesso assai evidente che il Totila rappresentato in esse
trascende la realtà storica assumendo il ruolo di simbolo del Male. Un esempio
è l’agiografia di San Lauriano scritta oltre quattro secoli dopo la morte del
re. Lauriano contesta le dottrine di Ario di cui Totila è seguace e il re manda
dei sicari ad assassinarlo. Questi lo scovano e lo decapitano. Allora Lauriano
raccoglie la propria testa recisa e li insegue, pregandoli di portarla a
Siviglia dal loro re. A differenza del prozio Teudi, Totila non mise mai piede
in Spagna né mai vi regnò: questo dimostrata che il Totila di questa agiografia
non è una figura storica, ma una figura diabolica, emblema dell’Eresia. In molte agiografie il re goto è persino confuso
con Attila5.
A prescindere dalle personali credenze religiose, quale valore hanno queste
accuse per lo storico all'interno di una ricerca ispirata ai principi enunciati
da Marc Bloch?
Intanto, occorre inquadrare nel suo contesto l'opera di Gregorio Magno,
compilata attorno al 594. Il dibattito sull’attribuzione o meno dei Dialoghi al
celebre papa è annoso. Alcuni storici li hanno considerati un’opera spuria per
la sua bassa espressione stilistica, inadatta a un erudito del suo livello.
Gustavo Vinay ha trattato i Dialoghi come un’originale opera letteraria di
Gregorio Magno rinunziando quindi a ogni pretesa di attendibilità storica. Già
prima di lui, critici come Wansborough, Bolton e Dagens avevano smesso di
considerarli una fonte storica6. Gina Fasoli ha visto nei Dialoghi un tentativo di
convertire al cattolicesimo la fazione ariana dei Longobardi, divenuti nel
frattempo padroni di buona parte dell'Italia: «Il papa manda perciò alla regina
dei Longobardi (Teodolinda) i suoi Dialoghi, che con il loro candido raccontare
pie leggende e sorprendenti miracoli erano particolarmente adatti ad
impressionare e commuovere l’animo di individui emotivi e superstiziosi come
erano in massima parte i Longobardi».
(G. Fasoli,I Longobardi in Italia, Bologna 1965 Fasoli 1965, pp. 93-94).
Detto questo in generale, occorre tenere presente che Gregorio Magno
proveniva da una famiglia dell’aristocrazia senatoria. E l’aristocrazia
senatoria si vide espropriata dei suoi latifondi dalla riforma agraria di
Totila. Il sovrano, al suo ingresso in Roma nel dicembre del 546, accusò poi i
senatori d'ingratitudine per le loro posizioni filoimperiali e li spogliò delle
loro prerogative con dure parole. Non
meraviglia quindi l’avversione di Gregorio Magno verso il re dei Goti, già
colpevole di essere un eretico. Ma è lo stesso impianto affabulatorio a
confinare i racconti su Totila contenuti nei Dialoghi nel territorio della
leggenda. L’ammansirsi della belva davanti al cristiano condannato a essere
sbranato nell'arena rientra nello schema letterario tipico di
molti racconti di martirii risalenti all'età romano-imperiale7 e che si ritrova nel racconto di Cerbonio, gettato da Totila a un orso
feroce. L'incontro di Totila e San Benedetto, oltre a riecheggiare la profezia
di sconfitta e morte fatta dallo spettro del profeta Samuele a re Saul che si
prostra in preda al terrore (Samuele 28,3-20), presenta varie incongruenze.
L’incontro tra il re e il santo non può che essere collocato nel 542, quando
Totila iniziò la marcia a Sud, tenendo conto che il regno di Totila finì
tragicamente nel luglio del 552 con la battaglia di Busta Gallorum. Nel
542 Totila, appena nominato re, non si era di certo distinto per crudeltà, anzi
aveva graziato i nemici sconfitti nelle battaglie di Faenza e del Mugello. Il “molto male” compiuto da
Totila coincide probabilmente con il fatto di essere “perfidus” per la
sua mera adesione al cristianesimo ariano. Infatti, secondo il De Lubac,
Gregorio Magno, nel chiamare Totila "perfidus
rex", usa l'aggettivo perfidus come
sinonimo di eretico8 . Del resto, nel latino cristiano dell'epoca, il termine “perfidi”
indicava tutti coloro che non avevano fede nel cristianesimo niceno: eretici,
ebrei e pagani (si veda Fondamentalismo e Fondamentalismi a cura di
A.Ales Bello, L.Messinese, A. Molinaro, Città Nuova Edizioni, Roma 2004, p.
63).
I Dialoghi
contengono una visione della Santità, del Bene e del Male con una precisa
simbologia. In questa visione, Totila rappresenta il barbaro avversario della romanitas
e l'eretico nemico della Vera Fede incarnata da Benedetto e dai vescovi. E come
tale, non può che essere una personificazione del Male.
Esame dell’ accusa di essere un tiranno usurpatore e una sciagura per
l'Italia
Occorre adesso esaminare il giudizio dato a Totila dalla storiografia
ufficiale bizantina che si esprime nell'Auctarium.
L'Auctarium è
un'aggiunta posteriore al Chronicon
di Marcellino Comes. Marcellino Comes, funzionario di Giustiniano, interrompe i suoi annali con l’anno 534. Si tende
ad attribuire a un anonimo Continuator
l'aggiunta relativa agli anni delle Guerre Gotiche. L'autore attribuisce a
Totila non solo la distruzione di Tivoli, ma anche quella di Napoli che invece
godette di un trattamento clemente secondo Procopio di Cesarea. Si legge
infatti, riferito all'anno 544: «Totila assedia Fermo e Ascoli e distrugge
Napoli e Tivoli» .
C’è un’analoga contraddizione per
l'anno 545: Procopio ci riferisce che Totila prese Fermo e Ascoli per
capitolazione, senza spargimenti di sangue. Il Continuator scrive invece che il
re entrò nelle due città, lasciò andar via le truppe bizantine con tutto il
loro bottino poi fece depredare e massacrare i civili sfogando su di loro la
sua crudeltà9. Sempre riguardo
al 545, l'Auctarium
afferma che Totila distrusse Spoleto («Totila
Spoletium destruit»). Secondo Procopio, invece, il comandante
Erodiano consegnò Spoleto a Totila per uno screzio con Belisario e la città non
ricevette alcun danno. Queste contraddizioni possono essere risolte tenendo
conto degli studi del Mommsen10. Secondo lo storico, l'Auctarium è stato scritto dopo la
riconquista bizantina dall'Italia11. Quindi, come cronaca ufficiale della corte imperiale, propone la stessa
visione del nemico sconfitto presente nella Pragmatica Sanctio di
Giustiniano: il tiranno, l’usurpatore, il nefandissimus Totila. E con la
lapidaria condanna della Sanctio come “nefandissimus” e dell’Auctarium
come re per la rovina dell’Italia ("malo Italiae”), inizia la
leggenda nera di Totila, che lo accompagnerà per tutto il Medioevo, fino
all’era odierna. La storiografia di corte ricalca il giudizio di Giustiniano
verso il suo nemico12. L’Imperatore, infatti, detestava
Totila: il re goto non era imparentato con la dinastia di Teodorico, il sovrano
che aveva ricevuto dall’imperatore Anastasio il mandato di governare in Italia,
quindi lo vedeva come un usurpatore privo di ogni legittimazione a regnare: un
nemico con cui non venire a compromessi e a cui muovere una guerra di
annientamento. Fu questo il motivo essenziale per cui Giustiniano respinse
tutte le ambascerie di pace mandate a Costantinopoli da Totila, rifiutandosi
persino di parlare con i messaggeri.
Esame della
testimonianza di Procopio di Cesarea
Procopio di Cesarea, cronista contemporaneo alle guerre gotiche, era a
servizio dei Bizantini e avrebbe avuto tutto l’interesse a dipingere a tinte
fosche il condottiero nemico. Riportò invece nella sua opera singolari atti di
clemenza compiuti da Totila.
Il re dei Goti risparmiò i prigionieri dopo la sua vittoria nella battaglia
del Mugello. Espugnata Cuma, ebbe cura che le
donne dei senatori là presenti non ricevessero alcun oltraggio
dall'esercito. Al suo ingresso nella
città di Napoli, fece nutrire gradualmente la popolazione stremata dall'assedio
dimostrando una generosità insolita per un nemico e per un barbaro e consentì
al contingente bizantino di ritirarsi incolume dopo averlo persino rifornito di
provviste e di animali da soma.
Totila punì senza remore un suo soldato che aveva violentato una ragazza.
Il padre della fanciulla, un cittadino romano, si era presentato da lui per
denunciargli il fatto. Il re ordinò d’incarcerare il soldato e i suoi
comandanti gli chiesero di perdonare il misfatto perché si trattava di un
guerriero valoroso. Totila rispose loro: «Non
è possibile che un uomo che si è macchiato compiendo un atto di violenza
acquisti gloria in combattimento!»13. E il soldato ricevette un
castigo esemplare: fu messo a morte e i suoi beni furono assegnati in
risarcimento alla sua vittima.
Procopio di Cesarea ci racconta anche della pietà dimostrata da Totila
quando conquistò Roma, nell’anno 546. Il diacono Pelagio lo raggiunse nella
basilica di San Pietro, dove si era recato a pregare, e lo supplicò di
risparmiare la popolazione. Totila lo ascoltò. Inoltre, protesse dalle violenze
dei Goti Rusticiana, vedova di Boezio, che stava per essere linciata. Non
permise alcuna vendetta su di lei né alcun oltraggio nei confronti delle altre
donne. A quel punto, Totila voleva concludere la guerra. Inviò un’ambasceria a
Giustiniano con una missiva in cui proponeva all'imperatore la stessa pacifica
collaborazione che c'era stata un tempo fra Teodorico e l'imperatore Anastasio.
Il re dei Goti concluse la lettera con questa frase: «Se desideri (la pace), sarai
considerato da me come un padre e potrai servirti di me come alleato contro
chiunque vorrai»14. Giustiniano respinse l’ambasceria. Non
considerava Totila un leader degno di trattare con lui, ma un usurpatore e un
eretico. Così rispose ai messaggeri goti di andare a trattare con Belisario, il
generale a cui aveva affidato la conduzione della guerra (equivaleva a un
rifiuto, dato che il Generalissimo era per la guerra a oltranza). Umiliato da
quella risposta, Totila minacciò di radere al suolo Roma. Belisario lo
dissuase. Gli scrisse che compiendo un'azione del genere, avrebbe
coperto il suo nome d'infamia per
tutti i secoli a venire.
Diverse città italiane caddero in mano a Totila in modo incruento. Procopio
ci riferisce che Totila prese Fermo e Ascoli per capitolazione, che Erodiano,
comandante della guarnigione di Spoleto, gli consegnò la città per uno screzio
con Belisario e che Assisi gli fu ceduta dagli abitanti, sfibrati dall'assedio.
Anche gli assediati nella fortezza di Rossano si arresero a lui. In quel caso,
solo il comandante Calazar fu giustiziato perché non aveva mantenuto la parola
data ai Goti. Totila lasciò liberi i soldati che non passarono tra le sue fila
perché «non voleva che nessuno al mondo si mettesse ai suoi ordini contro
voglia»15. La popolazione, pur privata dei suoi averi, non
ricevette alcuna violenza fisica. Nel racconto di Procopio l'umanità di Totila
spicca davanti alle sistematiche vessazioni e uccisioni perpetrate dai
mercenari dell'esercito bizantino: «Gli
Italici venivano derubati dei loro beni dall’esercito dell’imperatore e
capitava loro di subire violenze fisiche e di venire uccisi senza alcun motivo»16.
Procopio ci racconta infine la morte di Totila nella battaglia di Busta Gallorum (luogo
identificabile con l’attuale Sassoferrato) che vide vincitore il generale
bizantino Narsete. Il re dei Goti fu inseguito durante la sua ritirata da un
drappello di mercenari e gravemente ferito da uno di essi con un colpo di
lancia alle spalle. Riuscì a cavalcare fino al villaggio di Caprae, (l’attuale Caprara), dove morì poco dopo. I suoi uomini lo
seppellirono in una tomba senza nome, in seguito profanata dai Bizantini per
accertare l’identità del defunto. L’ Autore si rammarica per una fine così
tragica e, a suo parere, immeritata: afferma che la morte di Totila, dovuta
all'imprevedibilità e all'illogicità del destino, «non fu degna delle sue
passate imprese» e
«non coronò i suoi meriti»17.
Procopio di Cesarea è
un testimone attendibile?
Ora bisogna chiedersi se Procopio sia o no un testimone attendibile quando
riporta le azioni magnanime di Totila, tenuto conto che in quel periodo non era
in Italia al seguito dell’esercito bizantino. Seguì infatti Belisario solo fino
alla presa di Ravenna e alla resa di Vitige nell'anno 540. Per quanto si tenda
a valutare con cautela le testimonianze indirette, si possono evidenziare alcuni elementi a favore di una buona dose
di attendibilità.
Innanzitutto, Procopio va contro i suoi interessi a mostrare Totila come un
avversario dotato di umanità e saggezza. Avrebbe potuto assecondare Giustiniano
e la corte imperiale dipingendolo a tinte fosche. L’imperatore, infatti,
reputava Totila un usurpatore incoronato dai Goti per un mero atto di
ribellione.
In secondo luogo, non può dirsi che nell'opera di Procopio ci sia un
intento celebrativo di Totila. Troviamo anche alcune punizioni inflitte dal re
goto a singoli individui a cui egli attribuiva offese al suo onore,
comportamenti sleali o altre violazioni. Azioni che possono sembrare a noi
moderni castighi spietati, ma che hanno delle motivazioni ben precise nel
contesto storico di riferimento e nel concetto di onore del tempo. Ad esempio,
Totila mise a morte il bizantino Isace che gli aveva ucciso l'amico Roderico
(per evitare giudizi antistorici bisogna aver presente che vendicare un amico
era un punto d’onore per un capo barbarico18), lasciò alla vendetta dei Goti il governatore di
Napoli, reo di averlo pesantemente insultato in pubblico e fece mutilare il
presule Valentino, catturato in una nave carica di provviste per l’esercito
nemico e accusato di aver mentito in interrogatorio su
qualcosa che Totila riteneva di vitale importanza (e su cui Procopio tace).19
Procopio riporta infine che l’esercito dei Goti irruppe nottetempo a Tivoli
(le cui porte furono aperte dagli stessi soldati romani), saccheggiò la città e
uccise in modo orrendo (non racconta come) chiunque vi trovò. Ma non
attribuisce il sacco di Tivoli a un ordine di Totila. Infatti, era frequente
che bande di mercenari militanti negli eserciti commettessero violenze a
prescindere dagli ordini del loro condottiero. Nel 536, quando Belisario
espugnò Napoli, i mercenari Massageti gli sfuggirono di mano e nella smania del
saccheggio massacrarono civili persino all’interno delle chiese. Per di più,
nel 545 erano presenti nell’esercito di Totila molti soggetti smaniosi di far
razzia: schiavi sfuggiti ai padroni romani e disertori passati dalle fila di
Belisario a quelle dei Goti perché non ricevevano le paghe. È improbabile che
Totila abbia ordinato il massacro di Tivoli a scopo intimidatorio verso Roma.
Spargere il terrore non era infatti nei suoi intenti politici. Nelle lettere
che cercò di far recapitare ai senatori romani dopo la conquista di Napoli, si
presentò loro come un liberatore dall’esoso governo dei Bizantini e, dopo
averli rimproverati per l’ingratitudine dimostrata ai Goti, si dichiarò
disposto a perdonarli per essere passati dalla parte di Belisario, qualora gli
avessero consegnato Roma. Promise inoltre che non avrebbe mai recato offesa ad
alcun cittadino romano20. Pertanto, non avrebbe avuto alcun senso,
dal punto di vista politico, mostrarsi subito dopo come un nemico spietato a
cui non conveniva aprire le porte della propria città. La punizione inflitta da Totila alla Sicilia per aver accolto Belisario
come liberatore, a dispetto dei privilegi accordati da Teodorico e da
Amalasunta (come, ad esempio, l’esenzione dalla tertiarum deputatio,
l'obbligo di spartizione delle terre con coloni goti), consistette in razzie di
bestiame e di grano presso i latifondi dei senatori, i quali erano in gran
parte i proprietari dell'isola. Il re lasciò che la popolazione si
asserragliasse nelle città che rinunziò ad assediare. Procopio narra un fatto
curioso che mette in luce quanto Totila considerasse il valore di una donna
pari a quello di un uomo. Nei pressi di
Catania era stato catturato dai Bizantini il consigliere di Totila, un certo
Spino. Allora il re disse ai nemici che avrebbe consegnato loro, al posto di
Spino, una nobile cittadina romana prigioniera dei Goti. Ma i Bizantini non
reputarono un equo scambio prendere una donna al posto di un uomo (Procopio di
Cesarea, op.cit.,p.646).
In sostanza, la visione di Totila che emerge dall’opera di Procopio è
quella di un nemico capace di punire con rigore, ma non privo di umanità e di
giustizia. La clemenza di un nemico, per di più eretico e barbaro, dovette
essere un evento così fuori dall’ordinario da suscitare un certo scalpore,
quindi è plausibile che le notizie dell'indulgenza di Totila siano giunte a
Procopio da resoconti di ambasciatori o militari. Se nella sua opera il re dei
Goti compare come avversario valoroso e magnanimo, non c'è niente di sospetto
in questo: anche Cesare nel De Bello Gallico riconosce il valore e la
grandezza d'animo del suo nemico Vercingetorige. Se è vero che il giudizio
benevolo di Procopio verso Totila può essere stato influenzato da un'antipatia
dell'Autore verso Narsete, rivale del suo “eroe” Belisario, è anche vero che
Narsete intervenne nella campagna militare contro Totila solo alla fine del 550
e che i più eclatanti gesti di clemenza del re goto raccontati da Procopio
risalgono a quando combatteva contro Belisario.
Conclusione dell’indagine
A questo punto, dopo un esame critico delle fonti storiche, si rivela opportuno un ridimensionamento delle accuse attribuite a Totila. Nel suo caso sono intuibili i sentimenti che stanno alla radice della sua demonizzazione. Di sicuro, l’odio del patriziato romano. Totila impoverì l’aristocrazia senatoria, alla quale apparteneva anche la famiglia di Gregorio Magno, privandola delle sue prerogative e delle rendite dei propri latifondi. Infatti, in base alla riforma agraria di Totila, i coloni che versavano i tributi ai Goti invece di pagare il canone al loro signore, diventavano proprietari delle terre su cui lavoravano. Questa riforma fu un tentativo di creare una nuova classe abbiente fedele alla causa dei Goti. Uno dei motivi principali della fama di nefandezza di Totila fu quindi il suo progetto di sovversione dell’ordine sociale: coloni che diventavano proprietari delle terre e schiavi elevati alla dignità di guerrieri liberi combattendo tra le fila dell’esercito goto, erano davvero troppo per la nobiltà senatoria filobizantina.
All’odio del ceto senatorio, bisogna aggiungere l’ostilità di Gregorio Magno. La “perfidia” di Totila è legata essenzialmente all'essere un eretico ariano assunto al ruolo di emblema della malvagità e del male. La descrizione di Totila fatta nell’Auctarium,
e conseguentemente da Iordanes che se ne serve come fonte, fa propri i
risentimenti di Giustiniano. Per lui, Totila non era altro che un barbaro non
solo privo di ogni titolo per regnare in Italia, ma anche indegno di negoziare
con lui. La spoliazione del ceto senatorio filoimperiale e la riforma agraria
furono infatti i primi provvedimenti aboliti dalla Pragmatica Sanctio di Giustiniano, per via dei quali essa lega
l'aggettivo nefandissimus al nome di Totila.
Reputo parziale ed eccessivo accusare il re goto di essere stato il solo,
malevolo responsabile del protrarsi delle guerre gotiche e della conseguente
prostrazione dell’Italia. L'accusa rivolta a
Totila di esser stato la sciagura dell'Italia e l'unico responsabile di un
decennio di logorante guerra è stata ripetuta per secoli come eco dell'Auctarium,
ma oggi sono emerse nuove posizioni. Infatti, negli Atti del convegno “Venezia
e Bisanzio, incontro e scontro tra Oriente e Occidente”, del 10 e 11
dicembre del 2011, sono state prese in considerazione le responsabilità di
Giustiniano:
«Infine è necessario tornare alla guerra e ai danni provocati da essa. Fu
Giustiniano a volere la guerra ed è quindi sensato, anche per questa ragione,
riconoscere in lui il principale responsabile degli effetti che essa ebbe». (Si veda S. Liccardo, Declino e
caduta del senato. Precedenti, successi ed effetti collaterali della politica
di Giustiniano in Italia, Atti del Convegno Venezia e Bisanzio, incontro e
scontro tra Oriente e Occidente in
Porphyra, giugno 2012, n. XVII, p.54).
Anche il senato romano, di cui Giustiniano si presentò come liberatore dal
tiranno Totila e dai suoi castighi, finì esautorato a favore di quello di
Costantinopoli (Si veda S. Liccardo, op.cit. p.51-53).
Le responsabilità di Totila paiono quindi ridimensionate. Il re dei Goti
chiese svariate volte la pace a Giustiniano, il quale respinse sempre i suoi
messaggeri. Per Giustiniano, ogni esponente di un culto diverso da quello
niceno era un elemento da eliminare in nome dell’unità religiosa del suo impero
(per le persecuzioni di pagani ed eretici compiute da Giustiniano si veda F.
Cardini, Cristiani perseguitati e
persecutori, Salerno Editrice 2011, p.146-149). Alla luce di tale
documentata intolleranza religiosa, non è quindi arbitrario ipotizzare che la
resistenza dei Goti a Giustiniano sia stata anche una lotta per la libertà
religiosa. L’immane sforzo bellico di Giustiniano, mirante a unificare tutto l’impero
sotto l’ortodossia cattolico-nicena, ebbe costi umani e finanziari enormi che
prostrarono interi Paesi, tra cui l’Italia. Inoltre, dopo la morte
dell’imperatore, l'invasione longobarda privò Bisanzio di buona parte dei suoi
domini sul territorio italiano. Se
Totila, alla vigilia della sua ultima battaglia, respinse i messi di Narsete giunti a proporgli la resa, non lo
fece di certo per caparbietà o egoismo.
Quale condottiero si sarebbe arreso a un imperatore che gli aveva respinto
l’ultima ambasceria di pace dicendo ai messaggeri di odiare il suo popolo e di
volerlo cancellare dall’impero21? Che Giustiniano avesse decretato
lo sterminio assoluto dei Goti, si vede bene da come Narsete trattò i
prigionieri dopo la battaglia di Busta Gallorum: li fece decapitare
tutti. Viene quindi da chiedersi cosa
sarebbe accaduto a Totila e ai suoi soldati se il re si fosse consegnato ai
Bizantini senza combattere. Assai probabilmente, sarebbero andati comunque
incontro alla morte o alla schiavitù. Se poi a Busta Gallorum il re dei Goti attaccò il nemico anticipando di
sette giorni la data pattuita con i messi bizantini, c’è da chiedersi perché
mancò di parola un uomo che, nel racconto di Procopio, l’aveva sempre
rispettata reputando la sincerità un punto imprescindibile nelle trattative
(elemento che emerge con evidenza nel suo discorso al diacono Pelagio, da lui
giunto come negoziatore). Forse la risposta sta
in una particolare caratteristica degli eserciti barbarici evidenziata nel
trattato dello pseudo Maurizio: «soffrono il caldo eccessivo, il freddo, la pioggia […] e ogni dilazione
del combattimento […]. Bisogna poi, nelle battaglie contro di loro,...trarre in
lungo e differire il momento dell'azione, far finta d'intavolare trattative con
loro, in modo che il loro coraggio e la loro volontà vengano indeboliti[…]» (si veda F. Cardini, Alle radici della cavalleria medievale, Sansoni, Milano 2004, p.
312). Emerge da questo trattato che Goti, Longobardi, Franchi e altri germani
si logoravano in modo particolare nell'attesa della battaglia fino al punto di
perdere la volontà di combattere. Alla luce di
ciò, Totila può essersi accorto dopo la
partenza dei messi bizantini che il suo esercito, sfinito da dieci anni di
continue lotte, non avrebbe retto un’attesa di otto giorni utile a
riorganizzare i piani e si sarebbe nel frattempo sbandato. Ma Narsete,
conoscendo questo punto debole dello sfibrato esercito goto, schierò le sue
truppe per l’indomani.
Accogliendo come verisimile la testimonianza di Procopio, c'è da chiedersi
quali furono le motivazioni della singolare umanità di Totila. Assai
probabilmente, Totila coltivò il sogno di restaurare il prospero regno di
Teodorico, fondato sulla pacifica coesistenza dei Goti e della popolazione di
origine romana. Vedeva in Teodorico il suo modello di regnante. Che Totila
cercasse d’imitare il suo grande predecessore, si vede bene quando, nel corso
della prima conquista di Roma, andò a pregare nella basilica di San Pietro: lo
stesso gesto che fece Teodorico dopo il suo ingresso trionfale a Roma nell’anno
500. Proprio perché voleva restaurare quella che per lui fu l’epoca d’oro della
sua gente, non si abbandonò a inutili crudeltà verso i nemici e la popolazione:
considerava sia i Goti che gli Italici suoi sudditi, come sostiene anche
Alberto Peruffo: «voleva presentarsi sia come re dei germani che degli italici che
considerava anch’essi come suoi sudditi e non solo come nemici» (Si veda A. Peruffo, Storia militare degli Ostrogoti da Teodorico a Totila, Chillemi
2012, p.35). Durante la sua seconda conquista di Roma (anno 550), Totila tentò poi di
riconciliare le due popolazioni: «Quanto a Roma, Totila non volle né distruggerla
né abbandonarla a se stessa perché aveva intenzione di popolarla con Goti e
Romani insieme e questi ultimi non solo membri del senato, ma cittadini di ogni
ceto». (Procopio di Cesarea, op.cit.,
p. 636). Anche il Liber Pontificalis (Vita Vigili, 7, 107), fu
costretto ad ammettere che Totila abitò coi Romani come un padre con i figli (habitavit cum romanis quasi pater cum filiis).
NOTE FINALI
1 Si veda Marc Bloch, Critica
storica e critica della testimonianza, 13 luglio 1914, in M. Bloch, Storici e storia, Torino, Einaudi,
1997, pp. 11-20.
2 Per le persecuzioni compiute da Giustiniano ai
danni di eretici, pagani, Ebrei e Samaritani in nome dell’ortodossia nicena, si
veda Franco Cardini, Cristiani
perseguitati e persecutori, Salerno Editrice 2011, p.146-149, laddove
l'Autore parla dei supplizi a cui venivano sottoposti in base alla legislazione
giustinianea.
3 Ario aveva sostenuto che nella Trinità il Figlio non era al pari del Padre
e non era quindi compartecipe della stessa divinità assoluta e increata. La sua
dottrina fu bollata di eresia.
4 Si veda Alberto Peruffo, Storia
militare degli Ostrogoti da Teodorico a Totila, Chillemi 2012, p.19: «tutte le guerre intraprese (da
Giustiniano) ebbero un carattere di guerra religiosa contro i nemici della fede».
5 Si veda Laura Carnevale,Totila come perfidus rex tra storia e agiografia, Vetera
Christianorum 40, 2003, 43-69, pp.66-67: viene esaminata in dettaglio
dall’Autrice la confusione fra Attila e
Totila nella Cronica del Villani e in varie agiografie tardo medievali.
6 W. F.
Bolton,The Supra-Historical Sense in the Dialogues of Gregory I, in Aevum 33
(1959), pp. 206-213; C. Dagens,Saint Grégoire le Grand. Culture et expérience
chrétienne, Paris 1977 pp.384-391; J. H. Wansborough, St. Gregory’s Intention
in the Stories of St. Scholastica and St. Benedict, in Revue Bénédictine, 75
(1965), pp. 145-151.
7 Laura Carnevale, op.cit., p.57 cita a riguardo i martiri di Perpetua, Felicita,
Paolo e Tecla.
8 Si veda Henri De Lubac, Esegesi medievale, i quattro sensi della scrittura, vol.3, sez. V,
Milano, Editoriale Jaca Book, 1996 p.217.
9 «Crudelitatem suam in Romanos exercuit eosque omnes nudat
et necat»: Sfogò la sua crudeltà sui cittadini romani, li
privò dei loro beni e li uccise.
10 Si veda Mommsen, Continuator Marcellini (M.G.H.AA, 11, Berolini 1894), 42.
11 Si veda Eliodoro Savino, Campania Tardoantica (284-604 d.C), Parte 3,
cap.2, Dalla fine del IV secolo alla guerra greco-gotica, Edipuglia
s.r.l, 2005 p. 102.
12 Laura Carnevale, op.cit, pp. 51-52, spiega la
dura posizione del Continuator e di Iordanes nei confronti di Totila con la
loro piena adesione politica al punto di vista di Giustiniano secondo cui il
tentativo di riconquista dell'Italia da parte di Totila non era altro che un
illegittimo atto di ribellione. L'Autrice cita anche A. Amici, Iordanes e la
storia gotica, Spoleto 2002, pp. 26.187.
13 Procopio di Cesarea, Le guerre: persiana, vandalica,
gotica a cura di Craveri M., F.M. Pontani, Torino, Einaudi, 1977, p.556
14 Procopio di Cesarea, op.cit, p. 594
15 Procopio di Cesarea, op.cit, p. 615-616
16 Procopio di Cesarea, op.cit, p. 556
17 Procopio di Cesarea, op.cit, p. 755
18 Per il patto d'onore e fratellanza che presso i
popoli celtici e germanici legava i compagni d'armi, si veda Franco Cardini, Alle radici della cavalleria medievale,
Sansoni, Milano 2004, p.113. Vendicare il compagno caduto in battaglia si
poneva come dovere del sopravvissuto.
19 Si veda Laura Carnevale, op.cit, p.48: «Anche se la fonte non consente di conoscere
l’oggetto della menzogna, la reazione del re goto mostra come essa dovesse
apparirgli molto grave e soprattutto disdicevole per un vescovo».
20 Procopio di Cesarea, op.cit, p.557-558
21«Già più di una volta Totila aveva mandato ambasciatori e
questi, ammessi al cospetto dell'imperatore Giustiniano, gli avevano spiegato
che i Franchi avevano occupato la maggior parte dell'Italia mentre il resto era
quasi del tutto disabitato...e che i Goti erano disposti a lasciare ai Romani la Sicilia e la Dalmazia, le uniche
regioni rimaste intatte, e a pagare per il resto dell'Italia, praticamente
deserto, tributi e tasse ogni anno, oltre a combattere come alleati contro
chiunque l'Imperatore avesse voluto e a rimanere suoi sudditi...Ma l'imperatore
non aveva tenuto alcun conto le loro parole e aveva congedato tutti gli
ambasciatori avendo in odio anche solo il nome dei Goti e intendendo
assolutamente cacciarli dall'impero»: si veda Procopio di Cesarea, op.cit.,
p. 730
BIGLIOGRAFIA ESSENZIALE
- Bloch Marc, Critica storica e
critica della testimonianza, 13 luglio 1914, in
M. Bloch, Storici e storia, Torino, Einaudi, 1997, pp. 11-20;
- Cardini Franco, Alle radici della
cavalleria medievale, Sansoni, Milano 2004, p.113;
- Cardini Franco, Cristiani perseguitati e
persecutori, Salerno Editrice 2011;
- Carnevale Laura, Totila come perfidus rex tra storia e
agiografia, Vetera Christianorum 40, 2003, 43-69;
- De Lubac Henri, Esegesi medievale, i quattro sensi della
scrittura, vol.3, sez. V, Milano, Editoriale Jaca Book, 1996;
- Eliodoro Savino, Campania Tardoantica (284-604 d.C), Parte 3,
cap.2, Dalla fine del IV secolo alla guerra greco-gotica, Edipuglia
s.r.l, 2005;
- Fasoli Gina, I Longobardi in
Italia, Bologna 1965 Fasoli 1965
- Gregorio Magno, Storie di
santi e diavoli, Vol I, (a c.di S. Pricoco, M.Simonetti), Fondazione
Lorenzo Valla, Mondadori, 2005;
- Liccardo Salvatore, Declino e caduta del senato. Precedenti,
successi ed effetti collaterali della politica di Giustiniano in Italia,
Atti del Convegno Venezia e Bisanzio, incontro e scontro tra Oriente e Occidente in Porphyra, giugno 2012, n. XVII;
- Marcellinus
Comes, Chronicon e Auctarium, Biblioteca digitale di testi latini
tardoantichi, Università degli Studi del Piemonte Orientale;
- Peruffo Alberto, Storia militare degli Ostrogoti da Teodorico a Totila,
Chillemi 2012;
- Procopio di Cesarea, Le guerre: persiana, vandalica, gotica a
cura di Craveri M., F.M. Pontani, Torino, Einaudi 1977;
- Vinay Gustavo, Alto Medioevo
latino. Conversazioni e no, Napoli, Guida
Editori 1978