Pensiamo, come esempio fra i più clamorosi, alla setta degli Assassini, sorta nell’ambito dell’imamismo sciita. Il gruppo si impadronì di Aleppo e fece suo centro nevralgico la fortezza di Masyaf. Di qui e dal castello di Alamut, nel XII-XIII secolo i gran maestri (uno viene chiamato dalla tradizione letteraria il Veglio della Montagna) mandavano per il Medio Oriente sicari spesso drogati (di ashish, e di qui il nome di Assassini) che adoperavano l’omicidio di grandi personaggi come strumento di lotta politica. Ai fanatici che partivano per uccidere califfi e re, veniva promesso il paradiso come ricompensa finale. Lo scopo della setta era quello di sparare nel mucchio, terrorizzare, esistere e sopravvivere incutendo paura nei potenziali avversari.
Sotto molti punti di vista, l’esempio storico si può avvicinare alla realtà di oggi. In lotta dottrinale e politica con la società occidentale, insofferenti alla possibilità che alcuni strati della società islamica possano occidentalizzarci o laicizzarsi, gli estremisti abbandonano qualsiasi forma di dialogo per fare della stessa religione un punto di forza spietato contro nemici ed avversari. In un brillante saggio di pochi anni fa, Steven Simon esaminava le differenze fra il tradizionale terrorismo politico e quello messo oggi in atto dagli islamisti. A suo avviso, “I gruppi con obiettivi nazionalistici o social-rivoluzionari quali l’Ira, l’Olp o il Farc calcolano che la violenza indiscriminata, eccetto che in guerre civili e insurrezioni, minerebbe i loro titoli di legittimità. Si affidano dunque ad attacchi limitati per screditare l’autorità politica, smascherare l’impotenza o la brutalità delle forze di sicurezza e attirare l’attenzione internazionale. Evitando enormi spargimenti di sangue, i leader di questi gruppi preservano la loro possibilità di partecipare ai tavoli dei negoziati e, infine, agli eventuali governi futuri (…)”. Nei decenni successivi, i gruppi terroristici islamici hanno inserito le loro lotte politiche in “un contesto sacro” denso di significati. “Quattro sviluppi -continua lo studioso- hanno contraddistinto l’avvento di questa nuova forma di terrore: l’emergere della religione come spinta predominante dietro gli attacchi terroristici; la crescente letalità degli attacchi; la crescente competenza tecnologica e operativa dei terroristi; il desiderio dimostrato da questi terroristi di ottenere armi di distruzione di massa” (cf. S. SIMON, Che cos’è il terrorismo georeligioso, in Limes, 1, 2011, pp. 125-126). E che egli abbia ragione lo dimostra quanto accade così spesso in Nigeria nella quasi totale indifferenza del mondo occidentale.
Secondo Simon, procedendo dal tradizionale pensiero della dottrina Wahhabita che ha permeato la storia della dinastia saudita, gli estremisti di Bin Laden e di altre correnti islamiche hanno esasperato l’interpretazione dei precetti religiosi, estendendo innanzitutto il concetto della guerra santa. A loro avviso, dopo la riconquista cristiana dell’Andalusia e dei territori che gli Arabi avevano a loro volta occupato in Europa, e dopo l’occupazione ebraica della Palestina, il mondo islamico sarebbe entrato in uno stato di guerra difensiva con l’obbligo per i fedeli di impegnarsi in un combattimento individuale (cf. SIMON, pp. 129-130). Gli scrupoli dottrinari sono così facilmente eliminati, ed anzi il richiamo a una realtà storica lontanissima diventa il cavallo di battaglia degli estremisti, come hanno dimostrato i sermoni di Ayman al-Zawahiri, amico di Bin Laden ed evocatore delle lotte medievali contro crociati e Mongoli (cf. A. CARUSO, “Perché combattiamo l’America”: il sermone di Ayman al-Zawahiri, in Limes, supplemento al n. 4, 2001, p.18). Non si deve fare della religione un elemento di dottrina politica, ha dichiarato il Papa pochi giorni fa. Ed io ho ricordato come da ragazzo abbia ascoltato un noto uomo di cultura cattolica e tradizionalista consigliarci: “la preghiera deve essere per voi un momento di lotta politica”. Gli estremismi sono davvero tutti uguali e pericolosi. E tutti i concetti di vana filosofia con i vani filosofi che li elaborano e che pretendono di parlare in nome di Dio o di interpretare la volontà di Dio non costituiscono altro che ostacoli pericolosi verso l’incontro degli uomini con Dio e della comprensione reciproca. Gli Europei, gli Occidentali, il mondo non islamico, non dimentichino dunque che non sono pochi coloro che oltre alle regole ben condivisibili della loro religione, sono convinti che esista un comandamento che esige anche la guerra santa, con i terribili esiti della guerriglia, degli omicidi e degli attentati. Non dobbiamo rammaricarci di quanto è accaduto in Francia se non poniamo le basi per difenderci seriamente senza buonismi e senza facili comprensioni o senza legislazioni permissive. E agli amici e fratelli musulmani va ricordato come le interpretazioni estremiste del Corano rimangono spesso opinioni forzate e personali, e non norme morali scritte nel cuore di ogni uomo dal Datore della vita.
Articolo di Carmelo Currò Troiano. Tutti i diritti riservati.
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