«Messer Chierico di Oxford!» disse il nostro Oste «voi cavalcate così peritoso e zitto, che sembrate una verginella appena sposata seduta al banchetto. Oggi non ho ancora sentito una parola dalla vostra bocca: scommetto che state almanaccando dietro a qualche sofisma; ma ogni cosa a suo tempo, dice Salomone. Per amor di Dio, via quella faccia seria, non è questo il momento di studiare! Narrateci qualche racconto allegro: diamine, quando si è in ballo bisogna ballare! E non mettetevi a predicare, come i frati in tempo di quaresima, per farci piangere sui nostri vecchi peccati; e cercate anche di non farci venir sonno col vostro racconto... Narrateci qualcosa di avventuroso, ma i paroloni, le coloriture e le immagini, teneteveli per quando avrete bisogno d'uno stile elevato per scrivere a qualche re! Parlate alla buona per questa volta, vi prego, in modo che si possa capire quello che dite.»
Il bravo Studente rispose affabilmente e disse: «Oste, sono ai vostri ordini, come dei resto qui lo siamo tutti, e perciò eccomi pronto ad obbedirvi, entro i limiti della ragione, naturalmente. Vi narrerò una storia che appresi a Padova da un letterato illustre, che tale si dimostrò a parole e a fatti... Adesso, pace all'anima sua, è morto e inchiodato nella bara... Il suo nome era Francesco Petrarca, (1) il poeta laureato che con la sua dolce retorica illuminò l'Italia intera di poesia, come fece il Legnano (2) con la filosofia, il diritto ed altre speciali discipline. Ma ormai la morte, che non ci lascia star qui per più d'un batter d'occhio, li ha portati via tutt'e due, come un giorno farà con noi... Però per ritornare, già che ho cominciato, a quell'uomo illustre dal quale appresi questa storia, vi dirò che, prima d'attaccare il racconto vero e proprio, egli stende in uno stile elevato un proemio, nel quale descrive il Piemonte e la terra di Saluzzo, e parla delle alte cime degli Appennini che segnano il confine occidentale della Lombardia, soffermandosi particolarmente sul Monviso, di dove, sgorgando da una piccola sorgente, prende origine e corso il Po, che si dirige quindi sempre più ingrossandosi verso levante, verso l'Emilia, fino a Ferrara e a Venezia... Ma forse sarebbe troppo lungo parlare di questo. E veramente, a mio giudizio, mi pare che la cosa qui non c'entri, mentre a lui serviva per introdurre l'argomento. Ma ecco il suo racconto, se volete ascoltarlo».
RACCONTO DELLO STUDENTE
Qui comincia il Racconto dello Studente di Oxford.
Proprio sul fianco occidentale dell'Italia, giù alle radici del freddo Monviso, c'è una pianura lussureggiante, ricca di messi, dove si vedono molte torri e città, fondate in tempi antichissimi dai nostri padri, e paesaggi bellissimi: questa nobile regione si chiama Saluzzo.
Signore di quella terra era una volta un marchese, discendente da illustri antenati, i cui vassalli, dal primo all'ultimo, erano obbedienti e pronti al suo comando, sicché ormai da tempo egli viveva beatamente, amato e temuto, col favore della fortuna, sia dai baroni che dalla plebe. Quanto poi a casato, egli era il più nobile che fosse nato in Lombardia: bello d'aspetto, forte, giovane, pieno di dignità e di cortesia, ed anche abbastanza moderato nel governo del suo paese. Eppure in certe cose anche lui era da biasimare. Si chiamava Gualtieri, questo giovane signore. Ed era da biasimare, perché non si curava di quello che potesse accadere nel futuro: pensava solo al piacere del momento sempre di qua e di là a caccia col falcone, senza quasi badare ad altro, e (quel ch'è peggio) non voleva a nessun costo prender moglie. Ecco il punto che ai suoi sudditi soprattutto dispiaceva, tanto che un giorno gli si presentarono in gruppo, e uno di loro, il più istruito (o quello che il suo signore più volentieri avrebbe ascoltato esporre ciò che il popolo pensava, o che altrimenti sapesse meglio presentare l'argomento) sentite che cosa disse al marchese:
«Nobile marchese, la vostra umanità ci rassicura e c'incoraggia, ogni volta che è necessario, ad esporvi le nostre preoccupazioni permettete dunque, signore, per vostra cortesia, che col cuore rattristato noi vi rivolgiamo una preghiera, e non sdegnate di dare ascolto alle mie parole. Sebbene io non abbia a che vedere nella faccenda più di qualsiasi altro dei presenti, pure, dato che voi, mio caro signore, m'avete sempre dimostrato favori e grazie, oso chiedervi di dare ascolto alla nostra richiesta; poi naturalmente voi, signore mio, farete come credete. Ecco, signore, noi siamo, e sempre siamo stati, così contenti di voi e d'ogni vostra opera, da non saper neppure immaginare come potremmo vivere più felicemente, salvo una cosa, signore: che se voi vorreste compiacervi di prender moglie, allora il vostro popolo avrebbe il cuore supremamente in pace. Piegate il collo a quel beato giogo di sovranità, non di schiavitù, che gli uomini chiamano sposalizio o matrimonio; e pensate, signore, nei vostri saggi pensieri, che i nostri giorni in un modo o nell'altro passano: sia che noi dormiamo o restiamo svegli, sia che passeggiamo o cavalchiamo, il tempo vola e non si ferma per nessuno. Anche se voi siete ancora nel fiore della giovinezza, il tempo cala sempre, inesorabile come un macigno, e la morte minaccia a qualunque età e colpisce uomini d'ogni condizione, perché nessuno le può sfuggire; e come sappiamo per certo che dobbiamo tutti morire, così del giorno in cui debba accadere siamo tutti ignari. Accettate dunque la buona fede di chi non s'è mai rifiutato al vostro comando, e se volete, signore, vi scegliamo noi al più presto una moglie, nata fra le più nobili e le migliori di questa terra, tale che, a parer nostro, faccia onore a Dio e a voi. Liberateci da questi inquieti timori e, per amor di Dio, prendete moglie! Perché se capitasse, Dio non voglia, che con la vostra morte la discendenza si estinguesse e la vostra eredità passasse a uno straniero, allora guai a chi di noi fosse ancora vivo! Ecco perché insistiamo tanto che prendiate moglie.»
L'umile preghiera e gli sguardi imploranti impietosirono il cuore del marchese.
«Miei cari sudditi,» disse «mi costringete a far ciò che non avrei mai pensato di fare: mi godevo la mia libertà, il che raramente accade nel matrimonio, ero dunque indipendente, e voi volete ridurmi schiavo. Vedo però la vostra buona fede e, come sempre, m'affido al vostro buon senso; e vi prometto di mia spontanea volontà che mi sposerò appena mi sarà possibile. Ma quanto all'offerta che m'avete fatto, di scegliermi voi una moglie, ve ne dispenso e vi prego di non darvene cura. Dio sa quante volte i figli non son degni dei loro genitori; la bontà deriva da Dio, non dalla stirpe da cui siamo generati e messi al mondo. E poiché io credo nella bontà di Dio, a lui affido il mio matrimonio, la mia sorte e la mia pace: sia fatto com'egli vuole! Solo lasciate che la moglie me la scelga io: questo è un carico che voglio addossare sulle mie spalle. Ma vi prego di giurarmi, sulla vostra vita, che qualsiasi moglie io prenda, voi la onorerete fino al termine dei suoi giorni, a parole e a fatti, qui e dovunque, come fosse la figlia di un imperatore. E dovete anche giurarmi di non discutere o contraddire la mia scelta: sacrifico la mia libertà perché voi lo volete, ma almeno intendo sposare quella che dirà il mio cuore. Se poi non volete accettare queste condizioni, vi prego, non parliamo più di questa faccenda.»
Tutti però giurarono, accettando di buon grado la sua proposta, senza che nessuno si rifiutasse. Gli chiesero soltanto, prima d'andare, ch'egli fissasse per favore un certo giorno per le sue nozze, il più presto possibile; altrimenti al popolo sarebbe rimasto ancora un po' di timore, che il marchese non volesse decidersi a prender moglie. Egli fissò di suo gradimento un giorno, in cui sicuramente si sarebbe sposato, dicendo di volerli anche in questo accontentare. Essi allora, molto umili ed ossequienti, inginocchiandosi davanti a lui con grande riverenza, tutti lo ringraziarono; e, avendo così raggiunto il loro scopo, se ne tornarono a casa.
Egli ordinò dunque ai suoi servi di provvedere per la festa, dando opportuni incarichi ai suoi scudieri e cavalieri privati; e quelli, pronti ad ogni suo comando, si misero d'impegno per fare onore ai festeggiamenti.
EXPLICIT PRIMA PARS.
INCIPIT SECUNDA PARS.
Non lontano dallo splendido palazzo dove il marchese si preparava a nozze, sorgeva in una bella posizione un borgo, dove la povera gente teneva le sue bestie e le sue masserizie e campava di lavoro, secondo quello che dava l'abbondanza della terra.
Fra questa povera gente viveva un uomo ch'era considerato il più povero di tutti; ma talvolta il sommo Dio può far scendere la sua grazia perfino in una misera stalla di buoi... Al villaggio quell'uomo lo chiamavano Giannucole. Egli aveva una figlia, discretamente bella, e questa giovane fanciulla si chiamava Griselda. Quanto però a bellezza virtuosa, era la più bella ch'esistesse sotto il sole, perché, essendo appunto cresciuta poveramente, non aveva desideri impuri che le passassero per il cuore: era più facile che bevesse dal pozzo che non dal tino e, siccome amava la virtù, sapeva bene che cosa fosse la fatica, ma non l'ozio.
Per quanto fosse ancora in tenera età, questa ragazza racchiudeva nel seno della sua verginità un animo serio e maturo: era tutta amore e tenerezza verso quel povero vecchio di suo padre, conduceva al pascolo le sue poche pecore e intanto filava; non stava mai ferma se non quando dormiva. Tornando a casa, portava sempre con sé radici o altra verdura, che poi tagliuzzava e faceva bollire per desinare; si rifaceva il letto, tutt'altro che soffice, e s'occupava del padre con tutta la cura e la diligenza con cui un figlio saprà mai venerare il proprio genitore.
Passando a cavallo per andare a caccia, già più d'una volta il marchese aveva messo gli occhi su quella povera creatura ch'era Griselda: ma non è che quando la vedesse, si mettesse a guardarla per lussuria, no, ne contemplava invece il volto con serietà, ammirandone in cuor suo il carattere e la virtù, non comuni in una ragazza tanto giovane sia d'aspetto che di contegno. E, per quanto in genere la gente non abbia grande intuito per la virtù, egli rimase attratto proprio dalla sua bontà e decise che, dovendosi sposare, l'avrebbe fatto soltanto con lei.
Arrivò il giorno fissato per le nozze, ma nessuno sapeva chi sarebbe stata la sposa. E perciò molti se ne fecero meraviglia e, parlando di nascosto fra loro, dicevano: «Ma allora il nostro padrone non vuole ancora rinunciare alla sua leggerezza... Che non voglia più ammogliarsi? Ahimè, ahimè, perché ingannare così se stesso e noi?».
Il marchese, invece, nel frattempo aveva fatto fare per Griselda spille e anelli di pietre preziose, oro e lapislazzuli annodati insieme; quanto agli abiti, ne aveva fatto prendere le misure su una ragazza di statura uguale, e così per tutti gli altri ornamenti che servivano alle nozze.
Era ormai proprio il mattino del giorno fissato per le nozze, e tutto il palazzo era parato a festa, con sale e stanze addobbate ciascuna in diverso modo; e si vedevano dispense colme d'ogni grazia, di tutte le vivande più squisite che si possano trovare da un capo all'altro dell'Italia. Allora il marchese, sfarzosamente vestito, accompagnato dai gentiluomini e dalle dame invitate alla festa e dal seguito dei suoi baccellieri, si diresse con gran pompa e fra il suono di diverse melodie verso il villaggio di cui vi dicevo.
Griselda (Dio sa che non avrebbe mai immaginato che tutta quella festa fosse per lei!) era andata a prender l'acqua dal pozzo e stava ora tornando a casa più in fretta che poteva, perché, avendo sentito dire che quel giorno il marchese si sarebbe sposato, voleva poter vedere qualcosa anche lei. Fra sé pensava: 'Voglio mettermi anch'io sulla porta con le altre ragazze, le mie amiche, per vedere la marchesa, e perciò bisogna che sbrighi in fretta tutte le mie faccende di casa, così avrò tempo di vederla quando passerà di qui per andare al castello...'.
Stava proprio per varcare la soglia, quando il marchese, avvicinandosi, la chiamò: lei posò subito a terra la secchia, sull'uscio d'una stalla là vicino, e cadde in ginocchio, rimanendo tutta seria in attesa di sentire quel che volesse da lei il padrone.
Il marchese, pensoso, si rivolse molto sobriamente alla ragazza e le disse: «Dov'è tuo padre, Griselda?».
E lei, con riverenza e umiltà, rispose: «È qui in casa, signore». E senza perder tempo, entrò e accompagnò il padre davanti al marchese.
Egli allora prese per mano il vecchio, lo condusse in disparte e poi gli disse: «Giannucole, io non so e non posso più nasconderti un desiderio che ho nel cuore: se tu vi acconsenti, comunque vada, prenderò con me tua figlia e lei sarà mia moglie per tutta la sua vita. Tu mi sei affezionato, io lo so, e sei mio fedele suddito fin dalla nascita; son sicuro che sei pronto a tutto pur di farmi piacere: però nel caso che ti ho detto vorrei che tu rispondessi liberamente, se cioè sei contento di accettarmi per tuo genero».
A questa inattesa proposta il pover'uomo rimase così sorpreso, che, facendosi rosso, vergognoso, tutto tremante e parlando a stento, disse soltanto: «Signore... la mia volontà è la vostra, io non voglio nulla che sia contro il vostro piacere; siete voi il mio amatissimo padrone, e perciò fate anche in questo come credete...».
«Allora» disse il marchese affabilmente «vorrei che io, tu e lei avessimo un colloquio in camera tua, e sai perché?... perché vorrei chiederle se veramente, diventando mia moglie, sarebbe poi sempre disposta a ubbidirmi. E bisogna che tutto questo sia fatto in tua presenza: non voglio dir nulla che anche tu non senta...»
E mentre loro se ne stavano in camera per combinare la faccenda, come poi sentirete, la gente girava intorno per la casa, osservando con meraviglia con quanta cura e attenzione Griselda tenesse il suo caro padre. Ma chi più di tutti provava meraviglia era proprio lei, che non aveva mai visto nulla di simile; ed è naturale che fosse stupefatta di vedere un ospite così importante in casa sua: non era certo abituata a simili visite, e perciò si guardava intorno tutta pallida. Ma insomma, per farvela corta, ecco le parole che il marchese rivolse a quella buona, sincera e onesta ragazza:
«Griselda,» le disse «devi sapere che è desiderio di tuo padre e mio che tu divenga mia moglie, e spero che anche tu ne sia contenta. Ma voglio prima domandarti alcune cose, alle quali, siccome ormai le nozze vanno concluse senza perdere tempo, bisogna che tu mi dica subito se acconsenti... Ecco, sei disposta a piegarti di buon animo a ogni mio piacere, in modo ch'io sia libero, come meglio credo, di farti ridere o soffrire, senza che tu mai ti lamenti? Riusciresti a non dire mai di no a ciò che voglio, sia parlando che mostrandoti offesa?... Promettimi questo, ed io giuro senz'altro concluso il nostro matrimonio!»
Stupita per queste parole e tremante di paura, lei rispose: «Signore, io sono indegna e immeritevole dell'onore che mi fate, ma se questo è il vostro volere, ubbidirò. E vi giuro che di mia volontà non farò o penserò mai cosa che vi dispiaccia, dovessi anche morirne e per terribile che fosse la mia morte!».
«Basta così, Griselda mia'» disse lui. E con aria molto tranquilla se ne uscì fuori sulla porta, seguito da lei, e disse alla gente: «Questa che qui vedete è mia moglie. Vi prego, onoratela e amatela, se a me volete bene; non aggiungo altro».
E affinché non portasse con sé al castello nulla che ricordasse la sua antica condizione, la fece subito spogliare da alcune dame, le quali non è che fossero proprio liete di toccare gli stracci di cui era coperta... Eppure la rivestirono da capo a piedi di nuovi abiti dai colori smaglianti, le pettinarono i capelli che portava rozzamente senza trecce e con agili dita le acconciarono sul capo una corona, adornandola di bei fermagli piccoli e grandi. Ma perché farvi un romanzo sul suo abbigliamento?... Trasformata da tutto quello sfarzo, lei era diventata così bella, che la gente ormai a stento la riconosceva. Il marchese la sposò con un anello che aveva appositamente portato con sé e, fattala salire su un cavallo bianco come la neve che sapeva tenere elegantemente il passo, la condusse senza più indugi a palazzo, tra il popolo festante che li accompagnava o veniva loro incontro. E così quel giorno fu trascorso in allegria fino al tramonto.
Insomma, per farla breve, vi dirò che a questa nuova marchesa Dio mandò tali favori e grazie, che non parve neppure più possibile che lei fosse nata e cresciuta miseramente in una capanna o stalla di buoi, ma educata invece nel palazzo d'un imperatore. Diventò a tutti così cara e benvoluta, che gli stessi abitanti del villaggio dov'era nata, pur avendola vista crescere d'anno in anno fin da bambina, quasi non credevano ai loro occhi: avrebbero giurato che non era davvero la figlia di quel Giannucole di cui vi dicevo, ma che si trattava forse di un'altra persona. Per quanto fosse stata sempre virtuosa, dimostrava ora un fare così squisito, un'indole così buona, così discreto modo di parlare e tanta benevolenza e dignità, da conquistarsi a tal punto il cuore della gente, che chiunque la vedeva ne rimaneva affascinato. E non soltanto nella città di Saluzzo s'era sparsa la fama delle sue virtù, ma anche in molte altre regioni: se questo ne diceva bene, quell'altro subito lo riconfermava... era insomma così diffusa la voce della sua bontà, che da diverse parti uomini e donne, giovani e vecchi, venivano apposta a Saluzzo per vederla. Così Gualtieri, con umile eppur regale matrimonio, sposatosi per sua fortuna con l'onestà in persona, viveva in casa tranquillamente in pace con Dio ed era fuori onorato da tutti: avendo infatti saputo scoprire tanta virtù sotto così povere vesti, lo stimavano tutti persona saggia e fuori dell'ordinario.
Griselda non solo accudiva con diligenza alle faccende di casa, ma, se il caso lo richiedeva, sapeva anche provvedere al bene pubblico: non c'era discordia, rancore o malanimo in tutto il paese, che lei non sapesse placare, ricomponendo saggiamente tutto in pace e concordia. Se in assenza del marito c'erano litigi fra nobili o altri della sua terra, era lei che ne stabiliva l'accordo: aveva parole così sagge e mature e tanta equità di giudizio, che si pensava fosse stata mandata dal cielo per aiutare il popolo e rimediare a ogni torto.
Non molto tempo dopo che fu sposata, Griselda ebbe una figlia: tutti avrebbero voluto un maschio, ma poi, sia il marchese che la sua gente, si accontentarono, perché, sebbene fosse venuta prima una femmina, era probabile che anche il maschio non si facesse troppo aspettare, dal momento che lei sterile non era.
EXPLICIT SECUNDA PARS.
INCIPIT PARS TERCIA.
EXPLICIT SECUNDA PARS.
INCIPIT PARS TERCIA.
Or accadde che, mentre la bambina era ancora una lattante, il marchese fosse preso in cuor suo da un tale desiderio di tentare la pazienza di sua moglie, da non riuscire più a liberarsi da questa strana voglia, e pensò (Dio sa quanto ingiustamente!) di farle paura. Già altre volte l'aveva messa alla prova e lei s'era sempre dimostrata buona: perché dunque continuare a tentarla, e sempre con più dure prove? C'è chi crede che questo sia segno di furbizia, ma, per conto mio, si fa male a tormentare senza ragione la propria moglie con paure ed apprensioni.
Ecco che cosa pensò di fare il marchese. Una sera, mentre lei era a letto, le si presentò con la faccia seria e un'aria molto preoccupata: «Griselda,» le disse «non avrai dimenticato, spero, che un giorno ti ho levata dalla miseria per farti diventare una signora; insomma, Griselda, l'alta posizione a cui t'ho portato, conto non t'abbia fatto scordare che t'ho preso molto in basso, ma anzi te lo rammenti sempre... Ascolta bene le mie parole, non c'è nessuno che ci ascolti, siamo noi due soli... Tu sai, ti dicevo, in che modo non molto tempo fa sei entrata in questa casa. Io ti voglio molto bene, ma la stessa cosa non vale per i miei baroni, i quali dicono che per loro è una vergogna e un disonore star sottomessi e far da servi a te che sei nata in un misero villaggio. Si sono espressi in questi termini specialmente da quando è venuta al mondo la bambina. Ora, siccome desidero, come sempre ho desiderato, vivere con loro la mia vita in concordia e pace, non posso fare a meno di preoccuparmene; e mi trovo costretto, a fin di bene, a fare di tua figlia... non certo quel che desidero io, ma ciò che il mio popolo vuole! Dio sa quanto tutto questo mi sia odioso, ma non voglio agire senza che tu lo sappia... anzi, desidero che anche tu ne sia d'accordo. E' ora che tu dimostri a fatti quella pazienza che mi giurasti e promettesti al villaggio il giorno che fu celebrato il nostro matrimonio!».
Pur udendo tutto questo, lei non mutò voce, né viso o atteggiamento, come se non fosse minimamente turbata. Disse semplicemente: «Signore, tutto pur di farvi piacere! La mia bambina e io apparteniamo in umiltà completamente a voi, e ciò che è vostro, voi potete tenerlo o buttarlo via: fate voi come volete. Purché Dio salvi l'anima mia, non c'è cosa che, piacendo a voi, possa farmi dispiacere; io non desidero e non temo di perdere nulla, tranne soltanto voi. E' questo che il mio cuore vuole e sempre vorrà: né il passare del tempo né la morte potranno cancellare o rimuovere altrove questo mio proponimento».
Il marchese fu molto contento della risposta, ma, fingendo il contrario, mantenne un'aria e un'espressione molto grave, finché non fu fuori della stanza. E poco dopo, trascorsi appena un minuto o due, confidò tutto il suo piano a un suo uomo e lo mandò dalla moglie.
Quest'uomo fidato era una specie di sergente che più volte aveva dato prova di fedeltà in gravi faccende, uno di quegli uomini capaci di prestarsi a tutto... Il marchese insomma sapeva bene d'esserne amato e temuto. Appena infatti conobbe il volere del suo padrone, il sergente entrò nella camera senza fiatare. «Signora,» disse, «dovete scusarmi per ciò che sono costretto a fare. Sarete abbastanza saggia da capire che gli ordini dei padroni non si discutono: può anche far dispiacere, ma alla loro volontà bisogna ubbidire, ed è quello che farò senza discutere... Ho l'ordine di portarvi via la figlia!»
E senz'altro afferrò la bambina, ma così brutalmente, che parve volesse ucciderla prima ancora d'andare.
Griselda, rassegnata ormai da acconsentire a tutto, se ne rimase umile e zitta come un agnello, lasciando che il crudele sergente facesse quello che voleva. Sospetta era la fama di quell'uomo, sospetta la sua faccia e la sua parola, come sospetta era l'ora della sua venuta... ah, la bambina, a cui lei voleva tanto bene, pensò proprio che stesse per uccidergliela sul posto! Eppure, senza una lacrima o un sospiro, si sottomise al volere del marchese. Soltanto alla fine, rompendo il silenzio, pregò umilmente il sergente che, da vero gentiluomo, le lasciasse baciare la bambina prima che fosse morta. E con tristissimo volto strinse al petto la piccolina e la benedisse e, baciandola, si mise a cullarla. E le disse con la sua dolce voce: «Addio, bambina mia! Non ti rivedrò più... ma segnandoti col segno della croce del Signore benedetto che per noi morì crocifisso, a lui raccomando l'anima tua, povera piccina, che stanotte per colpa mia devi morire...»,
Credo che in un simile caso, perfino una balia non avrebbe potuto reggere alla commozione: figurarsi che cosa avrebbe dovuto fare una madre! Lei invece, rimanendo fermamente salda, riuscì a sopportare tutto con pazienza, e al sergente disse: «Ecco, tenete, la bambina è vostra. Ora andate e fate come il mio signore vi ha detto. Solo vi prego di concedermi una grazia: a meno che il mio signore non ve l'abbia proibito, seppellite questo corpicino in un luogo dove le bestie e gli uccelli non lo divorino!...». Ma quello, senza nemmeno rispondere, prese la bambina e se ne andò.
Il sergente ritornò dunque dal suo padrone e gli raccontò punto per punto, chiaramente e in breve, ciò che Griselda aveva detto e fatto, e gli consegnò la sua figliola. Il marchese provò a suo modo un senso di compassione, ma, rimanendo fermo nel suo proposito, come fanno i prepotenti una volta presa una decisione, ordinò al sergente che di nascosto coprisse e fasciasse delicatamente la bambina, con ogni riguardo, e la mettesse in una cesta o l'avvolgesse in un panno; poi, senza che nessuno, pena la sua testa, riuscisse a sapere da dove veniva o dove andava, la portasse così nascosta a Bologna da una sua cara sorella, ch'era allora contessa di Panago, e le spiegasse la faccenda, pregandola di prendersi cura d'allevare con ogni attenzione la piccina, senza mai dire ad anima viva di chi fosse figlia, qualsiasi cosa accadesse.
Il sergente partì ed eseguì ogni ordine... Ma torniamo al marchese, che ora andava fantasticando se mai potesse scorgere nel volto della moglie, o cogliere dalle sue parole, un qualche mutamento. Egli non riuscì mai a trovarla che costantemente affabile e gentile: sempre serena, sempre umile, sempre pronta a servire e ad amare come prima, in tutto e per tutto immutata; e non diceva una parola di sua figlia: non ci scorgeva in lei nessun segno di contrarietà, nessun cenno che, in bene o in male, richiamasse il nome della piccola.
EXPLICIT TERCIA PARS.
SEQUITUR PARS QUARTA.
Passarono in questo modo quattro anni, prima che lei fosse di nuovo incinta, ma, come Dio volle, questa volta partorì a Gualtieri un bel maschietto: quando ne fu informato il padre, non lui soltanto, ma il paese intero fu contento del bambino, e tutti lodarono e ringraziarono il Signore. Ma come appena dopo due anni fu questo pure spoppato dalla nutrice, tornò un giorno al marchese l'idea di mettere sua moglie ancora alla prova. Oh, sarebbe stato inutile!... Ma certi mariti non conoscono misura, appena trovano una poveretta che sopporta.
«Moglie,» disse il marchese «tu sai che il mio popolo ha sempre visto di malanimo il nostro matrimonio: ma da quando ci è nato questo figlio, le cose sono andate di male in peggio. Mi giungono alle orecchie certi mormorii, che mi straziano l'anima e il cuore, voci così odiose, che mi lasciano allibito. Ecco che cosa dicono ora: 'Una volta morto Gualtieri, gli succederà la stirpe di Giannucole a governarci, perché non abbiamo altri'. Proprio così dice la mia gente. In qualche modo bisogna che io vi ponga rimedio, a queste mormorazioni, perché, sebbene nessuno osi per ora parlare in mia presenza, la cosa tuttavia è preoccupante. Io vorrei vivere in pace, finché fosse possibile: e perciò ho deciso di fare del bambino ciò che una notte, senza che nessuno se ne sia accorto, ho fatto di sua sorella. Lo dico a te, perché dovendo agire d'improvviso, tu non debba smarrirti, e anzi, ti prego, cerca d'aver pazienza...»
«Vi ho già detto» rispose lei «e sempre vi dirò che veramente io non voglio, né vorrò mai, se non quello che piace a voi: non m'importa neppure che mia figlia e mio figlio siano uccisi, se ciò avviene per ordine vostro! Intanto di mio, nei due bambini, non c'è stato altro che travaglio prima, e poi, dolore e pena. Siete voi il nostro padrone, e dunque fate di ciò che è vostro come volete, senza chiedere consiglio a me: perché io, come lasciai tutte le mie vesti a casa quando me ne venni via con voi, così vi lasciai il mio volere e la mia libertà, indossando i vostri abiti; e perciò, qualunque cosa facciate, io obbedirò ormai sempre al vostro desiderio. Vorrei anzi poter prevedere il vostro volere e il desiderio vostro, per adempierli ancor prima che ne parliate, e tuttavia ferma e costante m'attengo sempre al piacer vostro, appena so quel che volete e desiderate. Quand'anche sapessi che vi fosse cara la mia morte, sarei pronta a morire pur di compiacervi: a tutto, anche alla morte, sovrasta il mio amore per voi!»
Vedendo tanta costanza in sua moglie il marchese abbassò gli occhi, sbalordito che lei potesse sopportare con rassegnazione tante prove; e se ne uscì con piglio austero, e tuttavia pieno di contentezza al cuore.
L'orrido sergente, in quella medesima maniera che le aveva preso la bambina, o peggio, se peggio si può immaginare, venne a portarle via anche quel figlio ch'era un amore. E lei, sempre con la sua pazienza, non diede alcun segno di contrarietà, ma baciò e benedisse il suo bambino, pregando semplicemente l'uomo che, potendo, glielo seppellisse nella terra, perché almeno le sue tenere delicate membra fossero al riparo dagli uccelli e dalle fiere. Ma non ebbe risposta alcuna: come se a lui non interessasse nulla, quell'uomo se ne andò per la sua strada, portando con ogni cura il bambino a Bologna.
Il marchese era sempre più sbalordito da tanta pazienza: se ormai da tempo non fosse stato più che certo che lei voleva un gran bene ai suoi bambini, avrebbe quasi sospettato che sopportasse tutto con apparente calma, per qualche astuzia, malizia o crudeltà di cuore. Ma in realtà sapeva bene che, dopo di lui, lei amava i suoi figli sopra ogni cosa.
Ma ora ditemi voi (mi rivolgo alle donne) se queste prove non potevano bastare! Che cosa poteva ancora escogitare un marito ostinato per provare la virtù e la costanza della moglie, persistendo nella propria ostinatezza?... Eppure c'è gente che, una volta presa una decisione, non riesce più a staccarsi da quell'idea e, come fosse legata a un palo, non sa più districarsi dal suo proposito: così era il marchese, ormai invasato dal suo capriccio di mettere sua moglie alla prova.
Egli non faceva dunque che cercare se, dalle parole o dagli sguardi, lei si fosse rispetto a lui mutata d'animo, ma non riuscì mai a notare alcun cambiamento. Era sempre la stessa, sul volto e dentro il cuore; anzi, col passar del tempo, pareva, se possibile, ancor più schietta nel suo amore per lui e ancora più premurosa: pareva insomma che fra loro due non vi fosse che una volontà sola, giacché tutto quello che piaceva a Gualtieri era grato anche a lei. Grazie a Dio, dunque, tutto andava per il meglio, mentre lei col suo esempio a tutti dimostrava come una moglie non dovrebbe mai, per nessun turbamento al mondo, voler cosa che non voglia anche il marito.
Ma poi cominciò a spargersi la voce che Gualtieri, per crudeltà d'animo, avesse fatto morire di nascosto i suoi due figli, pentito d'aver sposato una donna povera. Tale voce diventò ben presto comune a tutti, e ormai alle orecchie della gente non giungeva altra parola che quella della loro uccisione. Così, mentre prima il suo popolo lo amava, spargendosi ora quest'infamia, tutti presero ad odiarlo, sotto l'orrenda accusa d'assassinio. Con tutto ciò egli non volle desistere dal suo crudele proposito, e tutto il suo desiderio era di mettere ancora alla prova la moglie.
Quando sua figlia ebbe dodici anni, egli dunque mandò un suo messaggero alla corte di Roma, segretamente informata delle sue intenzioni, con l'ordine di far stendere certe bolle adatte al suo crudele scopo, dalle quali risultasse che il papa, per tranquillizzare il popolo, gli concedeva di sposare quando voleva un'altra donna. Ordinò, insomma, che si falsificassero le bolle papali dicendo in esse ch'egli era pienamente libero, per dispensa del papa, d'abbandonare la prima moglie, così da far cessare il rancore e il dissenso sorti fra il suo popolo e lui. E così infatti diceva la bolla che poi venne per intero pubblicata.
Non fu difficile darla a intendere al popolo ignorante. Ma immaginate la pena che provò al cuore Griselda, quando le giunse questa notizia! Eppure, perseverante come sempre, quest'umile creatura era ancora disposta a sopportare ogni avversione della fortuna, pur di rispettare il desiderio e la volontà di colui al quale aveva dato il suo cuore e tutta se stessa: come se ciò ormai al mondo le bastasse.
Nel frattempo, per farvela corta, il marchese scrisse e mandò segretamente a Bologna una speciale lettera in cui esponeva tutto il suo disegno. In essa pregava vivamente il conte di Panago, marito di sua sorella, di riportargli solennemente e senza più sotterfugi i suoi due figli a casa, raccomandandogli però di non rivelare, a chiunque gli facesse domande, di chi fossero quei ragazzi; dicesse soltanto che la fanciulla sarebbe andata sposa al marchese di Saluzzo.
Così infatti il conte fece. E nel giorno fissato, con la fanciulla e il giovane fratello che le cavalcava accanto, scortati da una nobilissima compagnia di gentiluomini, si mise in cammino verso Saluzzo. La bella fanciulla era vestita come se veramente andasse a nozze, tutta adorna di fulgide gemme; ed anche suo fratello, che ormai aveva sette anni, era a suo modo molto elegante. Così, proseguendo il viaggio in gran pompa e allegrezza, s'avvicinavano a Saluzzo cavalcando un po' per giorno.
EXPLICIT QUARTA PARS.
SEQUITUR PARS QUINTA.
Frattanto il marchese, sempre più deciso nel suo perfido proposito, per mettere all'estrema prova l'animo di sua moglie ed esser così pienamente certo della sua pazienza, un giorno, in presenza di tutti, le tenne brutalmente questo discorso: «Indubbiamente, Griselda, io mi ritengo abbastanza soddisfatto d'averti preso in moglie, per la tua bontà, la tua fedeltà e la tua obbedienza, ma non certo per il tuo casato o la tua ricchezza... Però, a ben pensarci, m'accorgo che anche chi comanda in certo senso è schiavo: io, per esempio, non posso fare quel che fa un qualsiasi contadino; il mio popolo mormora sempre più ogni giorno, ed eccomi... costretto a prendere un'altra moglie! Perfino il papa mi consente a farlo, perché cessi ogni malcontento. Insomma, per dirti chiaramente come stanno le cose, la mia nuova moglie è già in viaggio e sta per arrivare. Fatti dunque coraggio e lasciale il tuo posto, e riprenditi pure la dote che m'hai portata... questo te lo concedo. Ma poi ritorna a casa da tuo padre: nessuno, in fondo, a questo mondo può stare sempre bene... Mi raccomando, cerca di sopportare con serenità di cuore i colpi della fortuna e della sventura!».
E lei, sempre con pazienza, rispose: «Mio signore, io lo sapevo, l'ho sempre saputo, che non può esistere paragone tra la vostra magnificenza e la mia miseria. Io non mi sono mai creduta degna di essere, non dico vostra moglie, ma neppure la vostra cameriera. E in questa casa, di cui m'avete fatto signora (ne sia testimonio Iddio, che sempre allieta l'anima mia!) non mi sono mai stimata né signora né padrona, ma vostra umilissima serva, e tale rimarrò per sempre finché avrò vita e sarò al mondo. Della bontà che avete avuto, di tenermi così a lungo in tanto onore e nobiltà, quando invece n'ero indegna, ringrazio Iddio e voi, pregando che ne siate rimeritato. E lieta ritorno dal padre mio, a vivere con lui per sempre. Là fui allevata da bambina e là terminerò i miei giorni da vedova, casta nel corpo, nel cuore e in tutto. Ora che vi ho dato la mia verginità e sono la vostra legittima moglie, non temete, Dio mi guarderà dal prendere un altro uomo per marito o per compagno! E voglia Iddio concedervi prosperità e fortuna con la vostra nuova moglie! A lei volentieri cedo il mio posto, dove un tempo ero felice; e poiché voi, signor mio, voi che prima eravate tutta la gioia del mio cuore, ora desiderate ch'io me ne vada, me ne andrò come volete. Quanto alla concessione che mi fate della dote che vi ho portato, capisco bene che vi riferite ai miei poveri, miseri stracci, che ora non saprei neppure dove ritrovare... Buon Dio! come sembravate gentile e cortese, con le vostre parole e il vostro sguardo, il giorno del nostro matrimonio! E' ben vero quel che si dice (ormai lo so per esperienza!), che l'amore quand'è vecchio non è mai come quando è nuovo. Eppure vi assicuro, signor mio, che nessuna avversità, neanche la morte, riuscirà mai a farmi pentire d'avervi dato tutto il mio cuore! Vi ricorderete, signor mio, che in casa di mio padre mi faceste togliere di dosso le mie povere vesti, per rivestirmi tutta d'abiti sfarzosi: a voi non portai altro che la mia fedeltà, la mia povertà e la mia purezza. Ebbene, eccovi ora i vostri abiti e il vostro anello nuziale: ve li restituisco per sempre; tutti gli altri gioielli, posso assicurarvelo, sono in ordine in camera vostra... Nuda uscii dalla casa del padre mio, e nuda debbo ritornarvi. Son dunque pronta a far tutto quel che volete; soltanto spero che non vogliate farmi uscire di casa vostra senza neppure la camicia. Non potete fare una cosa così indegna, costringendomi a mostrare nudo il grembo che portò i vostri figli: vi prego, non cacciatemi per la strada come un verme; ricordate, amato mio signore, che, per quanto indegnamente, sono stata vostra moglie! E in cambio della verginità che vi portai e che non posso più riprendere, compiacetevi di lasciarmi almeno la camicia che ho indosso, almeno da coprire il grembo di chi prima era vostra moglie. Ed ora, signor mio, vado, perché temo di disturbarvi...».
«La camicia che hai indosso tienila pure» fece lui «e portatela via...» E subito s'allontanò, perché la pietà e la compassione gli impedivano quasi di parlare.
Lei dunque si spogliò di fronte a tutti e, in camicia e scalza e senza nulla in capo, s'incamminò verso la casa di suo padre. La gente la seguiva piangendo per la strada e, camminando, imprecava contro il destino; lei, invece, non diede una lacrima e non disse più neanche una parola.
Suo padre, che fu subito avvertito, si mise a maledire il giorno e l'ora in cui Natura l'aveva messo al mondo! Il povero vecchio, infatti, aveva sempre sospettato di quel matrimonio; sempre aveva pensato, fin dall'inizio, che quando il marchese si fosse tolto il suo capriccio, si sarebbe reso conto d'aver offeso il proprio decoro ad abbassarsi tanto, e allora l'avrebbe subito cacciata via! Sentendo dal vocìo della gente che ormai sua figlia stava arrivando, le corse incontro e, piangendo amaramente, cercò di coprirla alla meglio con la sua antica veste; ma non riuscì a fargliela indossare: la stoffa era troppo mal ridotta per il tempo ormai trascorso dai giorni del matrimonio.
Così quel fiore di pazienza coniugale tornò a vivere per qualche tempo col padre suo, senza mai mostrare nelle sue parole o nel suo sguardo, sia che vi fosse o non vi fosse gente, un qualche cenno d'offesa: a giudicare dal suo contegno, pareva che neppure più ricordasse il suo alto stato. E non c'è da farsene meraviglia, perché, anche nella grandezza, lei sempre era rimasta umilissima: niente bocca schizzinosa o cuore delicato, niente fasto o sussiego da sovrana... ma piena di paziente bontà, discreta e priva d'orgoglio, rispettosissima, era sempre rimasta fedele e sottomessa a suo marito. Si parla tanto di Giobbe e della sua pazienza... ma questo lo fanno soprattutto i chierici, che non sanno dir bene d'altro che di uomini. In realtà, per quanto i chierici ben poche volte lodino le donne, non c'è uomo che riesca a superare in umiltà una donna o che sia soltanto per metà fedele come lei (a meno che non sia accaduto proprio di recente...).
[PARTE SESTA].
Da Bologna stava ormai per giungere il conte di Panago, e la notizia s'era sparsa dappertutto; era anche giunto alle orecchie della gente che lui portava con sé una nuova marchesa, con un fasto e una pompa tali, quali nessun occhio d'uomo aveva mai visto in tutta la Lombardia occidentale.
Prima che il conte arrivasse, il marchese, che, avendo preparato tutto, era al corrente d'ogni cosa, mandò a chiamare quella povera infelice di Griselda. E lei, accorsa subito al suo comando, con umile cuore e volto sereno, senz'alcun rancore nel suo animo, gli s'inginocchiò davanti salutandolo cortesemente e con riverenza.
«Griselda,» le disse lui «voglio assolutamente che questa ragazza che devo sposare sia ricevuta domani in casa mia nel modo più splendido possibile, e che ognuno abbia il suo posto secondo il suo rango e sia trattato e servito con tutti gli onori che gli convengono; tu sai che non ho donne capaci di mettere in ordine le stanze a modo mio, e perciò vorrei che tu ti prendessi quest'incarico. Tu ormai conosci quello che voglio e, sebbene il tuo abbigliamento sia povero e malandato, il tuo dovere almeno lo sai fare.»
«Non soltanto, signore,» disse lei «son lieta di farvi piacere, ma desidero servirvi per mio stesso gradimento, in tutto e per sempre. Sia nella gioia che nel dolore, finché nel mio cuore avrò vita, non cesserò d'amarvi con tutto il mio affetto più sincero!»
Ciò detto, si mise a preparare la cena, ad apparecchiare le tavole e a fare i letti... cercò, insomma, di far tutto quel che poteva, raccomandando ai servi che, per amor di Dio, si sbrigassero a scopare e a spolverare; mentre lei, la più operosa, mise in ordine ogni stanza e la sala.
Il mattino dopo arrivò a cavallo il conte coi due nobili ragazzi, e tutti corsero ad ammirare il ricco e splendido corteo, e allora incominciarono a dire fra loro che Gualtieri era stato tutt'altro che sciocco a voler cambiare moglie, giacché questa era assai migliore: intanto era più bella di Griselda, e poi più giovane, e gli avrebbe dato perciò una migliore discendenza, più adatta al suo casato. Anche il fratello aveva il volto così bello, che tutti lo guardavano con piacere, approvando in pieno la decisione del marchese.
«O popolo turbinoso! incostante e sempre infido, sempre scontento e volubile come una banderuola, ti diletti d'ogni rumore che sia nuovo, e cresci e cali continuamente come la luna! Sei sempre largo d'applausi che non valgono un soldo genovese! Il tuo giudizio è falso, la tua costanza non regge mai alla prova... gran balordo è chi di te si fida!» Così diceva in quella città la gente seria, mentre il popolo correva di qua e di là a guardare esultando per la semplice novità d'avere un'altra sovrana nel paese. Ma lasciamo andare... torniamo piuttosto a Griselda, e a parlare della sua costanza e operosità.
Griselda, dunque, era tutta affaccendata ad apparecchiare ogni cosa per la festa. Senza vergognarsi affatto delle sue povere vesti, qua e là anche stracciate, corse con gli altri al cancello a salutare festosa la marchesa, e poi se ne tornò alle sue faccende. E ricevette gli ospiti così cortesemente e con tale competenza (ciascuno secondo il suo grado, in modo da non scontentare nessuno), che tutti si chiedevano chi mai potesse essere una che, vestita così poveramente, s'intendeva tanto di onori e riverenze, e giustamente ne lodarono la discrezione. Lei intanto non cessava d'ossequiare la sposa e il fratello, con tutto il cuore e in perfetta buona fede, celebrandone le lodi come nessun altro.
Alla fine, proprio mentre tutti i nobili stavano per sedersi a tavola, il marchese chiamò Griselda che stava affaccendandosi per la sala: «Griselda,» le disse in tono quasi di beffa «che ne pensi di mia moglie e della sua bellezza?».
«Un gran bene, signor mio,» lei rispose «perché, in fede mia, un'altra non ho mai visto più bella di lei. Prego Iddio di renderla felice, e spero voglia mandarvi tanta gioia da bastarvi fino al termine dei vostri giorni. Una cosa soltanto vorrei chiedervi e consigliarvi: di non infliggere tormenti a questa tenera fanciulla, come avete fatto con altri... perché lei è abituata per educazione a una maggiore delicatezza e non potrebbe, secondo me, sopportare le avversità come una allevata nella miseria.»
Vedendo che nella sua pazienza, nel suo volto sereno, non c'era ombra di malizia e che, pur avendo ricevuto tante offese, lei era sempre salda e ferma come una rocca e perseverante nella sua innocenza, l'ostinato marchese Gualtieri si sentì il cuore mosso a compassione da tanta intrepidezza in una donna. «Ora basta, mia Griselda,» le disse «basta con le apprensioni e i maltrattamenti. Ho avuto prova in te d'una fedeltà e d'una benevolenza superiori a quelle di qualsiasi donna, sia nell'agiatezza che in misere condizioni. Ormai conosco, mia cara moglie, la tua costanza.» E stringendola fra le braccia, la baciò.
Lei, per lo stupore, non comprese, non sentì neanche quel che lui le diceva, sembrandole di destarsi improvvisamente da un lungo sonno... Ma poi, a poco a poco, incominciò a riprendersi dallo sbalordimento. «Griselda,» le disse «per quel Dio che morì per noi, sei tu mia moglie. Io non ho e non ho mai avuto un'altra, te lo giuro sulla mia anima! Questa che tu credi la mia sposa è tua figlia; e questo sarà il mio crede, come da sempre avevo disposto: l'una e l'altro son nati dal tuo grembo, ed io li ho tenuti nascosti a Bologna. Riprendili: ora non potrai più dire d'aver perduto i tuoi due bambini!... Sappia la gente, che sparlava di me, che non ho fatto questo per malizia, e neppure per crudeltà, ma per mettere in te alla prova la tua virtù; non ho ucciso i miei figli (Dio me ne liberi!), ma li ho tenuti nascosti, per poter veramente conoscere il tuo carattere e la tua volontà.»
Sentendo questo, lei cadde svenuta per la gioia e la commozione, e appena rinvenne chiamò a sé i suoi due figlioli e, piangendo da far compassione, se li strinse fra le braccia e li baciò con tutta la sua tenerezza di madre e ne bagnò d'amare lacrime il volto e i capelli... Oh, scena pietosa, vederla svenire e udire poi la sua voce sommessa! «Grazie, signor mio, Dio ve ne renda merito,» diceva «per avermi lasciato i miei cari figlioli! Ormai non m'importerebbe di morire qui subito... ora che ho il vostro amore e la vostra grazia, non ho paura della morte e sono pronta a rendere l'anima mia. Oh, teneri, cari, piccoli figli miei! La vostra infelice madre vi credeva ormai divorati da cani rabbiosi o da orribili vermi; ma Dio, nella sua misericordia, e il vostro buon padre, vi hanno teneramente protetti!» E così dicendo, cadde di nuovo svenuta. E abbracciando nel deliquio i suoi due figli, tanto li strinse, che soltanto a fatica e con pazienza si poté toglierli dalle sue braccia.
Col volto intenerito, rigato di lacrime, quanti le stavano intorno dovettero proprio farsi forza per poterle rimaner vicino... Allora la consolò Gualtieri, scuotendola dal suo dolore: lei si alzò, confusa, dal suo stordimento, e tutti cercarono di farle animo e festeggiarla, finché non tornò in sé completamente. E dopo le affettuose attenzioni di Gualtieri, fu un piacere veder ricomparire la gioia fra quei due che erano ritornati insieme!
Le dame, cogliendo l'opportunità del momento, la presero e la condussero in camera; la spogliarono dei suoi poveri panni e, con una veste rifulgente d'oro e una corona di pietre preziose in capo, la condussero nel salone, dove ricevette i dovuti onori.
Così quel triste giorno ebbe lieta fine, e tutti, uomini e donne, fecero del loro meglio per passare il tempo in gioia e allegrezza, finché in cielo non brillarono le stelle... fu quella, agli occhi di tutti, una festa ben più solenne e splendida di quanto non lo fosse stata la celebrazione delle nozze.
I due vissero per moltissimi anni in prosperità, pace e concordia; egli maritò solennemente la figlia a uno dei più nobili signori d'Italia, e poi prese con sé a corte il padre di sua moglie, a trascorrere in tranquillità e pace il resto dei suoi anni.
E in pace e tranquillità a Gualtieri poi successe il figlio, e fu anch'egli fortunato nel suo matrimonio, pur senza dover sottomettere la moglie a tante prove...
Oggi il mondo, bisogna ammetterlo, non è più quello d'una volta, e a tale proposito dovreste sentire quanto dice il poeta... Non è che si racconti questa storia perché le mogli imitino l'umiltà di Griselda (ché intanto, pur con tutta la buona volontà, non vi riuscirebbero), ma perché tutti, a seconda del grado, imparino da Griselda a esser forti nella sventura. Ecco perché il Petrarca ha scritto questa storia, e lo ha fatto usando uno stile solenne. Se riuscì una donna ad essere tanto paziente con un comune mortale, tanto più dovremmo noi saper accettare di buon grado quel che ci manda Dio, che ha tutte le ragioni per mettere alla prova le sue creature. Non è che egli tenti l'uomo che ha redento (lo dice San Giacomo, leggete la sua "Epistola"), ma certamente ogni giorno lo mette alla prova... Egli ci affligge coi più aspri flagelli per esercitarci alla pazienza e per renderci, in qualche modo, migliori; non lo fa di sicuro per conoscere il nostro volere, perché sa già quanto siamo fragili prima ancora che nasciamo, ma tutto compie per il nostro bene. Viviamo dunque in virtù e rassegnazione!
Ma ancora una parola, signori, poi ho finito. Sarebbe al giorno d'oggi assai difficile trovare, pur girando una città intera, due o tre donne come Griselda, perché l'oro di cui queste son fatte è di così cattiva lega, che, sebbene la moneta sembri bella a prima vista, messa alla prova, si spezzerebbe piuttosto che piegarsi... Se dunque è così, permettete almeno che in onore della Comare di Bath (Dio la mantenga sempre al comando con tutte quelle della sua risma, che altrimenti sarebbe una rovina!), io vi reciti, fresca e allegra, una canzone che forse vi metterà di buon umore. Lasciamo stare le cose tristi, e ascoltate la mia canzone che fa:
LENVOY DE CHAUCER.
Griselda è morta con la sua pazienza,
entrambe in Italia giaccion sepolte;
lo dico a tutti, datemi udienza,
come Griselda non esiston molte,
e pur tralasci ogni sua speranza
chi vuole una moglie d'ugual costanza.
O nobili mogli, siate prudenti,
d'umiltà la lingua non v'inchiodate,
non dimostratevi troppo pazienti,
se no... una favola poi diventate!
Come Griselda non fate la sciocca,
o a Chichevache finirete in bocca!
Seguite Eco che mai non si tace,
ma punto per punto sempre risponde.
Non siate vittime pur di far pace,
ma rimanete su in cresta alle onde.
Imparate a mente questa lezione,
potrebbe servirvi all'occasione!
Voi arcimogli, restate in difesa,
giacché siete forti come cammelli,
e da nessun uomo tollerate offesa!
E voi che deboli siete nei duelli,
qual tigri d'India mostrate i denti
e pur strepitate ai quattro venti!
Di tuo marito non aver rispetto,
pur se sia chiuso nell'armatura;
scaglia le frecce del tuo dispetto,
straziagli il cuore con la tortura;
di gelosia intreccia una maglia,
fallo star quieto come una quaglia!
Se poi sei bella, fatti guardare,
mostra il tuo viso e i vezzi tuoi;
se brutta sei, non ti crucciare,
e fatti amicizie quante più puoi.
Leggera sii come una foglia,
e che tuo marito crepi di doglia!
Ecco le soddisfatte parole dell'Oste.
Appena il bravo Studente finì il suo racconto, il nostro Oste bestemmiò e disse: «Per le ossa di Dio, darci un barile di birra pur di far sentire questa storia anche a mia moglie a casa! È proprio un bel racconto; se sapeste, farebbe davvero al caso mio... Ma lasciamo perdere, non è cosa che si possa fare». Qui termina il Racconto dello Studente di Oxford.
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