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La Grande Storia dei Cavalieri Templari

Creati per difendere la Terrasanta a seguito della Prima Crociata i Cavalieri Templari destano ancora molto interesse: scopriamo insieme chi erano e come vivevano i Cavalieri del Tempio

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Le Leggende Medioevali

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domenica 31 agosto 2014

TORNEO DEI RIONI - ORIA 2014

E' il Rione Castello, vincitore di sette palii consecutivi e del sedicesimo palio, ad aggiudicarsi la quaratanottesima edizione del Torneo dei Rioni di scena nella città federiciana di Oria, in provincia di Brindisi. La settimana del Torneo inizia giovedì 7 agosto con la "Athletis signum" ovvero la cena e la cerimonia propiziatoria del Rione Lama con piatti tipici dell'epoca federiciana, con balli medievali, giocolieri e mangiafuoco.Il giorno successivo si è tenuta la celebrazione per la benedizione del Palio presso il Santuario di Sant'Antonio, come avviene in diversi palii organizzati, tra cui il celebre Palio di Siena. Nello stesso giorno viene inaugurato l'accampamento medievale, giunto alla nona edizione, organizzato dalla compagnia d'arme "Milites Fridericii II" della città dove non solo viene rievocato l'accampamento militare ma anche rievocazioni di scena di vita quotidiana condita da danza e musica con l'intrattenimento per i bambini. Arriva il giorno, che precede il Torneo, con il Corteo Storico che passa per le vie della città con la partenza dall'Istituto dei Padri Rogazionisti fino all'arrivo in Piazza Manfredi, con la presentazione del Palio e il Bando del Torneo. Allo stesso tempo venne aperto, nei pressi delle vecchie scuole elementari E. De Amicis, il mercato medievale, giunto alla quarta edizione, organizzata dall' A.C.E.S.D.I.S.O in collaborazione con l' Accademia Federico II e gli Arcieri Storici Federico II per ritornare indietro di secoli, rievocando il Medioevo con costumi, botteghe, cavalieri e figuranti. Finalmente giunge domenica 10 agosto, una data che gli oritani e non solo attendono da un anno intero. La gente inizia a sedersi sugli spalti dell' Istituto dei Rogazionisti pronta a gustarsi il Torneo e vedere il proprio Rione conquistare il Palio. L'imperatore Federico II, rappresentato dal celebre attore di R.I.S. Lorenzo Flaherty, decide di mostrarsi al pubblico e partire con le dimostrazioni di combattimenti medievali con le Compagnie d'Armi, lo spettacolo degli sbandieratori e di danza, e finalmente entrano gli atleti dei quattro Rioni cittadini (Castello, Lama, Judea, San Basilio) pronti a lottare e sudare per conquistare l'ambito palio. Si parte con la prima gara, ovvero la gara del ponte, conquistata da San Basilio succeduta da Judea, Castello e Lama, che nonostante l'atleta fosse ferito ha continuato la sua gara dimostrando attaccamento al proprio Rione. Conclusa la prima gara, si passa alla gara di velocità e destrezza conclusa, con qualche polemica, con tre Rioni (Castello, San Basilio, Lama) che hanno preso la bandiera nello stesso momento, mentre Judea si è classificata all'ultimo posto. Dopo questa gara, si passa alla gara del forziere conquistata dal Rione Judea a discapito del Rione Castello e dietro di loro San Basilio e Lama. Successivamente si passa alla gara dell'ariete, penultima gara del Torneo, che vede la vittoria del Rione Castello con il Rione Lama che si piazza al secondo posto, con il Rione Judea che si piazza al terzo posto, mentre San Basilio si piazza all'ultimo posto. La classifica, prima della gara decisiva della botte, vede in testa il Rione Castello che ha totalizzato 13 punti con il Rione San Basilio e Rione Judea che inseguono il primato con 11 punti e 10 punti, e per ultimo c'è il Rione Lama con 9 punti. L'ultima gara si annuncia davvero incandescente per le sorti del Torneo con il Rione Castello che può vincere il suo sedicesimo palio, di cui sette consecutivi, a patto che conquista una delle tre posizioni sperando il Rione Lama si classifichi davanti a una tra Rione Judea e Rione San Basilio, o meglio davanti a tutte e due i rioni per ottenere una comoda vittoria. La gara decisiva della botte ha inizio e vede l'arrivo al primo posto del Rione Judea seguito da San Basilio, Castello, Lama, e così gli atleti, i figuranti con il resto del Rione possono festeggiare in campo la conquista del meritato Palio. La classifica finale della quarantottesima edizione del Torneo dei Rioni è questa:
1. Castello 15 pt
2. San Basilio 14 pt
3. Judea 14 pt
4. Lama 10 pt
Anche quest'edizione è stata un successo per la numerosa partecipazione del pubblico non solo al Torneo e al Corteo Storico, ma anche agli altri eventi, di enorme qualità che hanno fatto da cornice in questi giorni medievali. L'appuntamento sarà per la seconda settimana di agosto 2015 per la quarantannovesima edizione del Torneo dei Rioni con il Rione Castello che cercherà l'impresa di conquistare l'ottavo palio consecutivo di cui il diciasettesimo nella storia di questo affascinante Torneo che rievoca un evento, storicamente importante, per il periodo medioevale.

Articolo di Pierluigi Papa del blog Brindisi Medievale

sabato 30 agosto 2014

GLI INGREDIENTI PER CUCINARE NEL MEDIOEVO

In linea di massima i cuochi medioevali avevano i cibi che abbiamo noi: carni, pesci, pollame, uova, cereali, legumi, erbe e spezie, vino, latte e latticini. Un tale John of Garland scrisse un Dictionarius verso il 1250 nel quale sono indicati gli alimenti presenti sulle tavole dell'epoca e possiamo trovare: ciliegie, pere, mele, prugne, cotogne, nespole, pesche, noci, nocciole, fichi, uva, salvia, cardo, finocchio, cavolo, borragine, senape, solo per citarne alcuni. Lungo le strade venditori, che non applicavano le buone prassi igieniche, vendevano oltre ai già citati alimenti, formaggi, frutta e verdura d'importazione come fichi, uva secca di Damasco, latte, burro, uova e cacciagione. Venivano, poi, venduti prodotti già lavorati come salsa all'aglio, fagioli cotti e salsa verde.
Carni, pesci e selvaggina: La lista delle carni e dei pesci usati nel Medioevo è vastissima. Si spazia dalla carne di maiale al vitello, al cervo, all’oca, al coniglio, al capretto, al daino, al montone. Per i pesci vale la stessa regola della molteplicità della scelta: luccio, storione, salmone, tinca, crostacei (come gambero, aragosta, ostrica), e poi ancora merluzzo, nasello, branzino, fino ad arrivare alle balene, foche e ai trichechi, tutti classificati come pesci. Non dimentichiamo che nel Medioevo il calendario cristiano prevedeva un’alternanza di giorni in cui era permesso il consumo della carne e del pesce. Molte ricette avevano versioni “per i giorni di magro” e “per i giorni di grasso”. Anche gli uccelli contribuivano ad aumentare la scelta delle portate per il banchetto: pernice, fagiano, piccione, anatra selvatica, quaglia, beccaccino erano i più amati. Gli uccelli di piccole dimensioni erano usati per farcire le torte salate. Carni, pesci e selvaggina subivano comunque una lunga cottura , poiché si pensava che così fossero più facilmente digeribili.
Erbe e spezie: L’uso massiccio delle erbe era dettato anche da motivi di salute, infatti con le erbe ci si curava. Oltre a quelle che era possibile coltivare nell’orto, le ricette prevedevano l’impiego di tante spezie costose provenienti dall’Oriente, come la cannella, lo zenzero e la noce moscata. Si riteneva infatti che lo zenzero “scaldasse” lo stomaco, aiutando la digestione e che i chiodi di garofano distendessero i nervi. Sempre secondo gli erboristi medievali, la noce moscata combatteva il raffreddore ed era indicata per le forme di depressione, mentre il cinnamomo era considerato un tonico importante. Naturalmente la presenza di una spezia costosa era evidente segno di ricchezza e di potere, ma i concetti di salute e ricchezza sono in questo caso strettamente legati.
Frutta e verdura: Con la frutta si iniziava solitamente il pranzo e con la frutta accompagnata da confetti lo si finiva. Era molto usata anche nelle torte salate e negli arrosti. La mela cotogna, il melograno, l’uva, il dattero, il fico, l’uva sultanina e la pera erano tra le preferite. Il succo d’uva puro era impiegato per pesci o carni in umido. Tra le verdure più comuni troviamo: lattuga, cavolo, piselli, sedano, rafano, porro, carciofo, lenticchie, rape. Anche noci, nocciole e castagne erano amatissime, ma le mandorle rivestivano un’importanza del tutto particolare, perché erano utilizzate in moltissime ricette, non solo per il loro sapore ma anche per il colore.
Mandorle: Le mandorle erano impiegate nei modi più disparati: tritate, macinate, a pezzetti, alla griglia, bollite. Esse erano inoltre l’ingrediente base per il “Biancomangiare”: una minestra preparata con riso o farina di riso, carne o pesce, più brodo e l’aggiunta delle mandorle che conferivano un gusto amarognolo molto gradito ai palati medievali. Il latte alle mandorle era usato sia come bevanda che come brodo per minestre e salse. Lo si otteneva aggiungendo al latte le mandorle tritate grossolanamente.
Uova: Il consumo di uova raggiungeva limiti strabilianti. Le ricette medievale le adoperavano da sole, nelle salse, con le erbe, per i ripieni e la decorazione finale: la famosa “doratura”. Questa operazione complessa fatta da persone specializzate proprio in quest’arte, consisteva nello spalmare arrosti di carne, selvaggina, pesci o torte salate, con una mistura di tuorli d’uovo, per dare loro un colore giallo acceso.
Miele: Il miele era onnipresente. Lo si adoperava non solo nei dolci al posto dello zucchero, ma anche nel pane, nei piatti di carne e in quelli di frutta. Il miele, infatti, era più facilmente reperibile e meno costoso dello zucchero che era importato, poiché spesso era prodotto nelle arnie domestiche.
Condimenti: Il condimento universalmente usato era il grasso di maiale, ossia il lardo, che era cotto e poi lasciato riposare per conservarlo. Diffuso era anche l’olio, utilizzato soprattutto crudo, per condire. La Chiesa raccomandava di osservare i giorni di magro (mercoledì, venerdì e sabato), perciò l’olio sostituiva il lardo e lo strutto nelle fritture, nei giorni di “penitenza alimentare”. Il burro era appannaggio dei ricchi, e spesso lo si doveva dissalare prima di utilizzarlo.

Articolo per gentile concessione del sito http://www.saperesapori.it/

LA CUCINA MEDIEVALE IN SARDEGNA - 1

Casizolu

Iniziamo con questo articolo un percorso insieme nella cucina medievale sarda e italiana, attraverso una serie di articoli a cadenza settimanale; il Medioevo è un periodo lontano da noi che però esercita un fascino profondo, basti pensare a tutti i film e libri di argomento medievale. Il Medioevo è anche un periodo poco conosciuto dal punto di vista culinario, su cui fare il punto, specie per la Sardegna. L'Isola infatti nel proprio patrimonio agroalimentare ha alcuni piatti che potrebbero risalire a quel periodo e allora quale migliore occasione per abbinare la storia e la cultura del cibo alla Sardegna raccontando cosa e perché si mangiavano determinate pietanze? Inizieremo col raccontare alcune ipotesi sulla cucina sarda nel Medioevo, daremo anche alcune ricette nel proseguo per terminare con congetture e certezze su ciò che mangiavano a tavola i Templari, ivi compresi i donnos paperos della Sardegna, che altri non sarebbero stati che i Templari sardi appunto, secondo l'autorevole opinione della storica Barbara Fois. 

Ecco l'elenco degli appuntamenti:

La cucina sarda nel Medioevo: una introduzione  (prima parte) 
La cucina sarda nel Medioevo: questione di gusto (seconda parte) 
La cucina sarda nel Medioevo: due ricette (terza parte)  
A tavola con i Templari: una introduzione (prima parte) 
A tavola con i Templari: la dieta (seconda parte)
A tavola con i templari: la Regola e il cibo (terza parte) 
Dulcis in fundo: tre ricette medievali per gourmand contemporanei 

Tornando alla cucina sarda nel Medioevo sappiamo grazie ad alcune fonti che la Sardegna esportava cuoio, pelli, sale e naturalmente formaggi! Già nel Medioevo sappiamo dalle fonti storiche ma anche dai libri di cucina e di dispensa che il formaggio sardo, spesso citato come cacio sardesco, era famoso e rinomato. L’esportazione del formaggio costituiva una voce importante dell’economia isolana. Numerosi documenti medievali e moderni attestano la conoscenza e l’uso del cacio sardesco nelle corti nobiliari e nell’alta borghesia. I tipi principali prodotti erano tre: vaccini, le classiche perette, ancora prodotte, come i casizolu, e due tipologie principali di formaggi ovini, quelli bianchi, salati e quelli rossi, affumicati, quest'ultimo tipo corrispondente all'attuale Fiore sardo, che troviamo citati nelle fonti d'archivio. Sicuramente si faceva la ricotta e quasi certamente si conosceva su casu marzu il piccante formaggio così caratteristico che tanto piace ai palati forti. I formaggi, espressione del territorio, da sempre oggetto di pastoralismo transumante, e allevamento caprino, ovino e bovino, entravano in una serie di pietanze che sono ancor oggi il fiore all'occhiello dei ricettari isolani, dall'anguidda incasada alla mazza frissa, dalla suppa cuata gallurese ai culurgiones de casu, dalle pardulas alle seadas e molte altre ancora. Possiamo immaginare l'alimentazione sarda allineata con quella del resto d'Italia e basata sulla cosiddetta triade braudeliana: pane, vino, olio, anche se l'olio d'oliva non era usato tanto quanto lo strutto suino, voce importante dei ricettari sardi sino ai giorni nostri. Dunque pane, tanto pane sulla tavola, condito con ciò che c'era a disposizione, secondo lo stato socio-economico e la stagione. Tra i legumi erano principi le fave, usate anche per l'alimentazione del bestiame. Oltre ai formaggi si consumavano naturalmente le uova e il pollame, mentre la caccia, con i suoi prodotti, sicuramente integrava il vitto della popolazione. Possiamo immaginare orti coltivati a prezzemolo, aglio, cipolle, porri, cavoli, cardi, insomma tutto ciò che era abbondante e conosciuto in quell'epoca. La raccolta di erbe e frutta spontanei, prodotti del bosco, nocciole, castagna ma anche lumache, ha sempre costituito un'attività importante per arricchire e variare la dieta. Il miele era il principale dolcificante, insieme alla sapa. Negli empori vicino ai principali porti dell'isola arrivavano spezie, zucchero, e altri coloniali, desiderati ma costosi e dunque riservati solo a una piccola fetta di popolazione. 

Articolo di Alessandra Guigoni del sito web http://www.sandalyon.it/

giovedì 28 agosto 2014

"I CAVALIERI DI CRISTO", RECENSIONE DI PIERLUIGI PAPA DEL BLOG BRINDISI MEDIEVALE

I cavalieri di Cristo. Gli ordini religioso-militari del Medioevo XI-XVI secoloI Cavalieri di Cristo è un libro di saggistica storica dedicato agli ordini monastici-cavallereschi scritto dallo storico e studioso francese dell'epoca medioevale Alain Demurger. Demurger non è il solo autore dei Cavalieri di Cristo ma di altri saggi, sempre della stessa tematica, come Tramonto e fine dei cavalieri templari, Vita e morte dei Templari e, infine, I Templari. Questo libro si può considerare come una vera e propria "guida" per chi volesse intraprendere lo studio degli ordini monastici-cavallereschi come l'ordine del Tempio, l'ordine Teutonico, l'ordine di Calatrava partendo dal contesto storico per il quale gli ordini sono stati fondati. L'autore, nella sua opera, non affronta solo la storia dei vari ordini ma anche la struttura organizzativa, le sanzioni che un componente dell'ordine poteva ricevere in base alla colpa, gli abiti che indossavano, le istituzioni, e altri argomenti. In questo libro potete trovare degli schemi per facilitare la memorizzazione delle istituzioni, delle basi, degli abiti, della cronologia con le date più importanti della storia dei vari ordini, ma si possono trovare delle mappe e l'indice analitico per aiutare lo studio dell'ordine che uno storico desidera approfondire o per un studente pronto a scrivere la sua tesi di laurea.

Articolo di Pierluigi Papa del sito brindisimedievale.blogspot.com


Autore: Demurger Alain
Titolo: I Cavalieri di Cristo. Gli ordini religioso-militari 
del Medioevo. XI-XVI secolo.
Genere: Saggistica Storica
Casa Editrice: Garzanti Editore
Lingua Originale: Francese
Prezzo: 13,00 €
ISBN: 978-88-11-67931-8
Anno Pubblicazione: 2002

WORKSHOP "SCRIVERE, DIVULGARE E COMUNICARE L’ANTICHITÀ ED I BENI CULTURALI" FERRARA, 8-13 SETTEMBRE 2014

Unife

DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI

UNIVERSITA' DI FERRARA

Laboratorio di Antichità e Comunicazione

WORKSHOP

"SCRIVERE, DIVULGARE E COMUNICARE L’ANTICHITÀ

ED I BENI CULTURALI"

8-13 Settembre 2014

Il Workshop, organizzato dal laboratorio di Antichità e Comunicazione del Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Ferrara, è rivolto a diplomati e laureati che intendono approfondire specifiche competenze nella divulgazione e comunicazione dell’Antichità, della Storia e dei Beni Culturali, focalizzando l’attenzione sull’editoria (giornali, riviste e libri), sulla documentaristica e divulgazione televisiva e nei nuovi media. Le attività didattiche, esclusivamente laboratoriali, saranno articolate in cinque giorni, da Lunedì 8 a Venerdì 13 Settembre, con attività didattiche e laboratoriali, per complessive 45 ore corrispondenti a 12 cfu formativi. I migliori progetti verranno pubblicati o realizzati.

Iscrizione: Euro 200

Attività Didattico-Laboratoriali

Giorgio Albertini, illustratore, Comunicare la Storia con le illustrazioni
Raffaello Avanzini, editore della Casa Editrice Newton Compton, La divulgazione nell’editoria
Stefania Battistini, giornalista e conduttrice RAI, Divulgare sui giornali e nei media
Andrea Frediani, scrittore ed editor Casa Editrice Newton Compton, Scrivere saggi e romanzi sull’antichità
Roberto Giacobbo, autore e conduttore RAI, Divulgare in televisione
Marco Lucchetti, storico e saggista, La divulgazione storica attraverso il modellismo e l'archeologia sperimentale
Filippo de Masi, regista RAI, Divulgare con le immagini
Elena Percivaldi, saggista, Divulgare la storia
Andreas Steiner, direttore di “Archeo” e “Medioevo”, Comunicare la Storia nelle riviste
Livio Zerbini, docente Unife, Divulgare e comunicare l’Antichità e i Beni Culturali

Per informazioni: e-mail: lac@unife.it

Tel: 0532-455236; 3294084925 dal Lunedì al Venerdì dalle 10.00 alle 18.00

mercoledì 27 agosto 2014

CHI SONO I BEEFEATERS O "YEMON WARDERS"?


I Yemon Warders, o Beefeaters sono i pittoreschi guardiani della Torre di Londra. In origine furono creati come guardiani delle prigioni con il compito di tenere tranquilli tutti i prigionieri e soprattutto come guardiani dei gioielli della Corona. Ogni sera da ben settecento anni si svolge la funziona della "cerimonia delle chiavi" con la chiusura serale delle porte. Tale funzione, risulta essere la più antica funzione pubblica e si svolge quotidianamente senza esser stata mai interrotta neanche in occasione delle due guerre mondiali. E' possibile anche assistere alla cerimonia, presentando una domanda per un invito obbligatorio e gratuito al "conestabile della torre" molti mesi prima della data. Tra i compiti, oltre che fare la guardia alla Torre di Londra, c'è anche quello di proteggere i corvi che la tradizione vuole che sempre stazionino presso l'edificio, pena il crollo della Torre e dell'Impero Britannico.

TORRE DI LONDRA


La Torre di londra fu costruita nel Medioevo nell'anno 1078 ed aveva funzione di fortezza, polveriera, prigione e palazzo reale. Fu fondata quando Guglielmo il Conquistatore ordinò che la Torre fosse costruita all'interno delle mura adiacenti al Tamigi e serviva per proteggere i Normanni dagli abitanti della City of London e per proteggere la stessa città da eventuale attacchi esterni. Anche Shakespeare nominò la celeberrima torre nell'opera Riccardo III ipotizzandone la costruzione ad opera di Giulio Cesare, ma questa costituisce una leggenda. Nel secolo XII Riccardo Cuor di Leone circondò le mura con un fossato che aveva ben poco senso fino a quando Enrico III con una tecnica olandese lo fece ricostruire. La fortificazione venne completata tra il 1275 e 1285 da Edoardo I che costruì mura esterne che inglobavano quelle interne. La Torre fu usata come prigione per personaggi di alto calibro e noti esponenti religiosi che, al contrario dei nobili, erano sottoposti a tortura e maltrattamenti vari. Il primo ad essere prigioniero fu Rainulfo Flambard nel 1100 che fu accusato di aver compiuto un esorcismo, altri prigionieri furono

John Balliol, re di Scozia
Davide II di Scozia
Giovanni II di Francia
Enrico VI d'Inghilterra, imprigionato e poi assassinato il 21 maggio del 1471. Una popolare leggenda accusa Riccardo Duca di Gloucester della sua morte.
Margherita d'Angiò, moglie di Enrico VI.
Tommaso Moro
Anna Bolena
Sir William de la Pole
Elisabetta I d'Inghilterra, imprigionata per due mesi nel 1554 per il suo presunto coinvolgimento nella “Wyatt's Rebellion”
Giovanna Grey, imprigionata e giustiziata nel 1554
Maria Stuarda, imprigionata da Elisabetta I d'Inghilterra e giustiziata nel 1587
John Gerard, S.J.
Walter Raleigh
Niall Garve O'Donnell
Guy Fawkes
Johan Anders Jägerhorn
Lord George Gordon
Rudolf Hess

I criminali non nobili venivano impiccati all'esterno della torre. Tommaso Moro venne giustiziato nella Tower Hill. Ben sette nobili furono decapitati all'interno del complesso e sepolti nella cappella reale:

William Hastings, (1483)
Anna Bolena, (1536)
Margaret Pole, VIII contessa di Salisbury, (1541)
Caterina Howard, (1542)
Jane Boleyn, (1542)
Giovanna Grey, (1554)
Robert Devereux, (1601)

Tower of london from swissre.jpgAnna Bolena, come sappiamo, venne decapitata nell'anno 1536 per aver tradito Enrico VIII e sembra che sia stata avvistata mentre cammina attorno alla torre con la testa sotto il braccio; George, Duca di Clarenze, fratello di Edoardo IV d'Inghilterra fu giustiziato per alto tradimento nel 1478 lasciando due eredi, i principi della Torre. Il fratello, Richard, fu proclamato reggente fino a quando Edoardo V (il più grande dei due figli) non era pronto per regnare. Secondo Tommaso Moro, Riccardo assoldò un killer per ucciderli e una notte i principi furono soffocati con i loro cuscini. Successivamente, Riccardo fu incoronato Re di Inghilterra e i resti dei principi furono trovati proprio all'interno della torre. L'ultima esecuzione risale al 14 agosto 1941 quando fu condannato Josef Jakobs, una spia tedesca. Gli strumenti di tortura più usati furono la cicogna e la ruota e l''unica donna ad essere torturata fu Anne Askew accusata di Eresia per tentare di estorcere i nomi di altri Protestanti sotto la "ruota", la donna resistette e l'ufficiale della Torre Anthony Kingston decise di non proseguire con la tortura. La più antica struttura visibile è la “White Tower” (risalente all’XI secolo); sono inoltre visibili altri elementi costruiti nel corso dei secoli, molti dei quali aggiunti di recente per ragioni turistiche o di sicurezza. Oggi la torre è principalmente un’attrazione turistica. Oltre agli edifici. sono visitabili i gioielli della corona, un’elegante collezione di armature nell’Armeria Reale, e uno scampolo delle mura della fortezza romana. La torre è presidiata dagli “Yeomen Warders” (conosciuti anche come Beefeaters, cioè Mangiatori di carne), i quali fungono da guide turistiche, sicurezza, e sono loro stessi un’attrazione turistica. Ogni sera, le guardie partecipano alla “Cerimonia delle Chiavi”, per rendere sicura la torre durante la notte. Nel 1303 furono portati nella torre anche i Gioielli della Corona e dopo l'incoronazione di Carlo II furono rinchiusi e mostrati solo tramite il pagamento di una tassa. Dopo il furto per mano del colonnello Thomas Blood, i gioielli furono portati nella Jewel House difesi da guardie armate. Furono portate fuori la torre durante la Seconda Guerra Mondiale e portati probabilmente o in Canada, o nella Round Tower di Windsor o addirittura a Fort Knox negli USA. 

Immagine principale tratta da Wipedia, Autore Kaosrimo

IL PALAZZO DI WESTMINSTER


Il palazzo di Westminster è la sede del Parlamento del Regno Unito, composto dalla Camera dei Lord e la Camera dei Comuni. Sorge sul Tamigi, proprio nella City of Westminster, uno dei borghi della capitale londinese. Il palazzo doveva essere la sede dei monarchi inglesi ma dal sedicesimo secolo in poi nessun re vi alloggerà. La parte più antica risale al 1097 e coincide con la Westminster Hall, il resto è più recente dato che un incendiò distrusse quasi interamente la splendida costruzione nel 1834 e i lavori furono affidati a Charles Barry e Augustus Welby Northmore Pugin. Il palazzo ha 1000 stanze le cui principali sono, naturalmente, quelle dove il governo si riunisce ma vi sono anche biblioteche, bar, palestre e corridoi. Westminster fu importantissimo nel Medioevo proprio per via della sua invidiabile collocazione sul Tamigi: la zona dove ora sorge il palazzo fu usato da Canuto il Grande e il penultimo re sassone, Edoardo il Confessore vi costruì il palazzo reale a Thirney Iscland più o meno nella stessa epoca in cui fu costruita l'Abbazia di Westminster (1045/1050). Sia Thorney Island sia il perimetro circostante furono conosciute come Westminster che deriva da Wet Monastery (monastero occidentale). Dopo il 1066 e la conquista normanna, Guglielmo I si stabilì nella famigerata Torre di Londra trasferendosi successivamente a Westminster. Solamente nel tardo medioevo il palazzo divenne dimora dei re e dati i continui mutamenti dei governi inglesi molte istituzioni a carattere pubblico avevano luogo proprio nel palazzo come la Curia Regis e il Model Parliament che si riunì nell'anno 1295 e che rappresentò il primo Parlamento ufficiale d'Inghilterra. Nel 1529 un incendio distrusse il palazzo ed Enrico VIII acquisì il Palazzo di York dal cardinale Wolsey rinominandolo palazzo di Whitehall utilizzandolo come residenza principale sebbene Westminster rimase come tribunale e come palazzo reale. Il palazzo, proprio per il suo carattere di palazzo reale, non includeva alcuna stanza idonea alle riunioni delle due camere e le cerimonie più importanti avvenivano nella Stanza Dipinta e nella Stanza Bianca: i dibattiti avvenivano nella Chapter House dell'Abbazia di Westminster. Solo con Edoardo VI i comuni acquisirono la Cappella di Santo Stefano che durante Enrico VIII era una cappella reale infatti nel 1547 il Chantries Act dissolse l'ordine di Santo Stefano lasciando di fatto la cappella "adottabile" e modificabile per il nuovo uso. L'incendio del 1834 distrusse gran parte del palazzo ad eccezione della Westminster Hall, Jewel Tower e la Cripta della Cappella di Santo Stefano; successivamente una commissione fu creata per studiare un modo per ricostruire il palazzo nello stesso luogo in uno stile gotico e classico. Le diatribe tra chi voleva uno stile classico e chi uno stile gotico si protrassero fino al 1836 quando fu scelto il progetto di Carles Barry che prevedeva una ricostruzione in gotico. La prima pietra nel nuovo palazzo fu posata nel 1840, la Camera dei Lord fu completata nel 1847 e la Camera dei Comuni nel 1852. I bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale distrusse la Camera dei Comuni: il progetto fu affidato a Giles Gilbert Scott e terminò i lavori nel 1950. Il palazzo contiene, come detto, circa 1100 stanze, 100 scalinate e qualcosa come 5 km di corridoi. Il palazzo ha quattro piani. Il piano terra include uffici, sale da pranzo e bar. Il primo piano ospite le stanze principali del palazzo fra cui le camere, le lobbies e le biblioteche. La Robing Room, la Royal Gallery, la Prince's Chamber, la Camera dei lord, la Peers' Lobby, la Central Lobby, la Members' Lobby e la Camera dei comuni sono allineate lungo una linea che va da sud a nord, in quest'ordine.

La Camera dei Lord

La Camera dei Lord è a sud del palazzo e misura 14 metri per 24. I banchi sono di colore rosso e la parte superiore della Camera ha finestre decorate e sei affreschi allegorici con scene a carattere religioso. Nella Camera si trovano il Trono e il Baldacchino: è importante sottolineare come anche se teoricamente il Sovrano ha pieno diritto di partecipare alle sedute della Camera, solamente in caso della Cerimonia di apertura del Parlamento il Sovrano si siede sullo splendido trono con accanto altri membri della famiglia reale. Dinanzi a loro si trova il Woolsack (sacco della lana), un cuscino a testimoniare la grande importanza del commercio della lana e viene utilizzato dall'ufficiale che presiede la seduta, lord Chancellor o un deputato. Il "bastone" della Camera è collocato sul retro del cuscino davanti il quale c'è il Judges Woolsack e il Tavolo della Camera. I banchi alla destra di Lord Chancellor rappresentato il lato spirituale e quelli a sinistra il lato temporale: tutti i lord spirituali (vescovi, arcivescovi) vanno nello Spiritual Sile, i lord Temporali (nobili) siedono in base al partito a cui sono affiliati con quelli della maggioranza che vanno nello Spiritual Side. Durante la Cerimonia di apertura del Parlamento, il Sovrano pronuncia le linee guida del Governo.

La Camera dei Comuni


Leggermente più piccola della Camera dei Lord, la Camera dei Comuni ha banchi di colore verde. Ad una delle stremità si trova la Speaker's Chair con davanti il Tavolo della Camera su cui è posto il bastone cerimoniale. I banchi sono occupati dai deputati secondo una divisione molto simile alla camera dei Lord con i membri della maggioranza a destra dello Speaker. E' interessante sottolineare come vi sia posto solo per 427 membri su 646 e alcuni membri del parlamento stanno in piedi ad una estremità dell'aula. Nella Camera dei Comuni il Sovrano non entra, l'ultimo a farlo fu Carlo I nel 1643 quando fece arrestare alcuni membri del Parlamento con l'accusa di Alto Tradimento. 

Westminster Hall



Dal XII al XIX secolo la sala era luogo di importanti banchetti di incoronazione fino a re Giorgio IV nel 1821 in quanto il suo successore Guglielmo IV decise di abbandonare questa prassi. Talvolta è stata usata anche come camera ardente come nei casi di Sir Winston Churchill e della Regina Madre. Talune volte viene utilizzata per cerimonie molto importanti, come i discorsi alla Corona o i festeggiamenti per il 25° e 50° anno del regno di Elisabetta II per non parlare dell'anniversario della Gloriosa Rivoluzione e il 50° anniversario dalla fine della II Guerra Mondiale.


lunedì 25 agosto 2014

LA CHIESA DI SAN BARTOLOMEO IL GRANDE (LONDRA)

The main body of the Priory Church. Green frontal.

La chiesa anglicana di San Bartolomeo il Grande è una delle più antiche della sempre affascinante e misteriosa Londra. Fu edificata nel 1123 e si trova nel cuore della City di Londra nella zona di West Smithfield. La chiesa era parte di un monastero che comprendeva un ospedale e nel 1543 durante il periodo della cosiddetta Dissoluzione (in cui Enrico VIII confiscò proprietà alla chiesa inglese tra il 1536 e 1540) l'edificio fu in parte demolito. La costruzione di San Bartolomeo è avvolta nella leggenda; si narra che fu fondata nel 1123 da Rehere, un agostiniano membro della corte di Enrico I e amico del Vescovo di Londra Richard Blemis. Durante uno dei numerosi viaggi che compiva anche a Roma, Rehere si ammalò di malaria e durante le sue continue preghiere fece voto di costruire un ospedale per i malati, a Londra; una sera ebbe la visione di San Bartolomeo che gli ordinò la costruzione di un ospedale e di una chiesa. Rehere guarì e iniziò l'edificazione del santuario e dell'ospedale. Proprio per questa leggendaria visione, San Bartolomeo è tuttora meta di pellegrinaggi e il 24 agosto in occasione della Festa del Santo è possibile trovare molte persone che sperano in guarigioni pregare proprio in questa chiesa. Forse è la chiesa "più fortunata" del mondo, resistette all'incendio di Londra nel 1666 e ai pesantissimi bombardamenti nella Prima e Seconda Guerra Mondiale. Nel XVII secolo la chiesa era nel degrado assoluto e divenne dimora di vagabondi fino al XIX secolo quando Webb decise di riportare la struttura agli antichi splendori. La struttura è in Romanico - Normanno ed entrando è possibile respirare una particolare atmosfera in cui è facile isolarsi dalla città rimanendovi per meditare o solamente per pochi minuti di pace interiore. All'interno troviamo la tomba di Rehere al cui opposto c'è l'affascinante Finestra di Bolton sul cui pannello centrale vi è un rebus. Altrettanto interessante è la Cappella principale, Lady Chapel che venne usata come negozio di stampe per poi essere riadibita a cappella solo nel 1894. Nei pressi della tomba di Rehere, c'è una statua piangente di marmo, in realtà trasuda solamente acqua ma è meta di molti curiosi. 

Bartolomeo era uno degli apostoli e portò il Cristianesimo in armena dove, si racconta, che fu scorticato vivo e crocifisso a testa in giù: dopo il suo martirio, il corpo fu lavato a Lipari, dove ora è patrono. Le sue spoglie sarebbero a San Bartolomeo a Roma e a Benevento ma vi sono molti reliquari in tutta europa che affermano di contenere una parte del corpo. 

La chiesa è stato anche set di numerosi film di successo:

Quattro matrimoni e dun funerale
Shakespeare in Love
Robin Hood principe dei ladri

Immagine tratta dal sito ufficiale della chiesa: http://www.greatstbarts.com/

IL (COSIDDETTO) PORTICO DEI CAVALIERI TEMPLARI A BRINDISI


Quello che a Brindisi è conosciuto come Portico dei Templari si trova su un lato di piazza Duomo e rappresenta due arcate gotiche separate da una colonna di marmo greco. Date le sue caratteristiche architettoniche si capisce chiaramente che risale al XII e XIII secolo ed è considerato il più antico utilizzo dell'arco a sesto acuto già in età normanna nel sud d'Italia. Non sappiamo ancora a cosa possa essere servito anche perchè è vero, si chiama portico ma è meglio definirla "loggia" e data la sua particolare posizione nei pressi del duomo probabilmente era parte integrante del primo palazzo arcivescovile della città. Il riferimento ai templari è solo successivo e risale al settecento quando alcuni studi ritennero che la loggia-portico fosse una parte integrante di una chiesa giovannita i cui resti sono stati rinvenuti, però, a molti metri di distanza. Nel XVI secolo il portico era al piano terra del palazzo della famiglia De Cateniano, il cui esponente Lucio divenne sindaco nel '500 e donò alcune sue proprietà site in piazza Duomo, tra cui la loggia, all'Ospedale. Ora ospita il Museo Ribezzo e ospita molti reperti medievali e un grande sarcofago in pietra. 

LA CRIPTA DI SAN BIAGIO A SAN VITO DEI NORMANNI (BRINDISI)


Presso la masseria Jannuzzo nella zona di San Vito dei Normanni è possibile ammirare in tutto il suo fascino antico la cripta di San Biagio, un vero insediamento rupestre di San Biagio, un vero insediamento rupestre che risale al XII secolo. Essa costituiva la parte principale di un villaggio costruito nelle grotte scavate giù nel IV secolo d.C. dove si insediarono alcuni monaci bizantini. Ai lati della cripta vi sono due grotte: la più grande era destinata a più usi (poteva essere un dormitorio, come un refettorio), la più piccola era una sorta di abitazione di un eremita. Ma è la Cripta vera e propria che costituisce il nucleo più importante ed interessante; è un grande vano di 12,5 metri e largo 4,50 e vi si accede da un ingresso laterale. Si possono apprezzare splendidi affreschi nella zona (naos) dove si svolgevano i riti religiosi greci, mentre la zona che era riservata al popolo (bema) non aveva alcuna decorazione. Il ciclo bizantino risale all'8 ottobre 1196 e venne eseguito da Daniele e rappresenta uno degli esempi di conservazione delle immagini migliore in tutta la Puglia: costituisce, infatti, un rarissimo esempio di pittura rupestre con immagini di Cristo e rappresenta scene bibliche prese anche dai Vangeli Apocrifi. oltre ad alcuni episodi della vita di San Biagio. Tutte le scritte sono in greco ad eccetto quelle riferite a San Nicola che sono in latino come se si volesse sottolineare la continuità religiosa tra la Chiesa Ortodossa e quella Cattolica, di Roma. La volta è divisa in cinque sezioni e seguono il senso antiorario:

- Cristo Pantocratore (racchiuso in un cielo pieno di stelle con cherubini, simboli evangelisti e di profeti Daniele ed Ezechiele
- Annunciazione
- Fuga in Egitto: Maria monta un cavallo, Giuseppe tiene Gesù sulle Spalle sotto la guida di San Giacomo e dall'Angelo
- Presentazione del Tempio: Giuseppe porta due tortore in una gabbia come simbolo di offerta
- Ingresso di Gesù: Gesù cavalca un asino seguito da Giovanni ed Andrea

Sulle pareti laterali, invece, è possibile ammirare alcuni episodi del Nuovo Testamento.

- Sant’Andrea e San Giovanni
- San Nicola (accompagnato da una epigrafe scritta in greco e una in latino)
- San Demetrio e san Giorgio uccidono un drago
- San Biagio, rappresentato con gli animali che lui stesso guarì
- Santo Stefano e San Silvestro papa (parete di fronte all'ingresso)
- Natività, al centro la mangiatoia e san Giuseppe, la Madonna guarda il bambino accudito dalle levatrici Zalomi e Salomè, i Magi e i pastori 

U.R.P. Ufficio Relazione con il Pubblico
Comune di San Vito dei Normanni - tel. 800010240
Ufficio Cultura 0831955212

Vincimanno Capograssi - Chiesa rupestre di San Biagio (Brindisi); affresco con l'Annunciazione (anno 1197) - Opera Propria
Vincimanno Capograssi - Chiesa rupestre di San Biagio (Brindisi); affresco con l'a Fuga in Egitto (anno 1197) - Opera Propria
Vincimanno Capograssi - Chiesa rupestre di San Biagio (Brindisi); affresco con Santi guerrieri (anno 1197) - Opera Propria
Vincimanno Capograssi - Chiesa rupestre di San Biagio (Brindisi); affresco con l'Antico dei Giorni (anno 1197) - Opera Propria

Tutte le immagini dell'articolo, sono tratte da Wikipedia, Autore: Vincimanno Capograssi

sabato 23 agosto 2014

GLATISANT LA BESTIA


La bestia Glatisant è un mostro rappresentato nel ciclo arturiano. La creatura ha testa e collo di serpente, un corpo di leopardo, cosce di leone e piedi di cervo. il suo nome deriva dal rumore che emetteva il suo stomaco, una specie di latrato. I primi testi sull'animale li troviamo nel Perlesvasus e nella Suite du Merlin del ciclo della Post-Vulgata che si svolge in La morte di Artù di Malory in cui la bestia compare ad Artù dopo aver avuto un amore con la sorella Morgause e generato Mordred. Artù vede la bestia mentre beveva in uno stagno subito dopo un lungo sogno che gli prediceva la distruzione che Mordred porterà nel regno. Merlino rivela che la bestia è nata da una principessa che amava suo fratello e giace con un demonio che le promise l'amore del ragazzo: il demonio la manipola e la donna accusò il fratello di stupro. IL padre lo fece sbranare da cani ma prima di morire lanciò un'anatema alla sorella il quale avrebbe partorito un mostro che riproduceva gli stessi rumori dei cani che lo avevano portato verso una morte orrenda. La bestia è il simbolo dell'incesto e della violenza che portò alla distruzione del regno. 

I LUDI MATHEMATICI DI LEON BATTISTA ALBERTI

Leonis Bap. Alb. ad illustrissimum principem D. Meliadiusum Marchionem Estensem ex ludis rerum mathematicarum
Conosco che io fu' tardo a satisfare in questo mio opuscolo a' desideri vostri. E benché di questa mia tardità io possa allegare molte scuse e cagioni, pure mi diletta più rimettermi all'umanità e facilità vostra e dimandare perdono se io errai. Forse arò satisfattovi, quando in queste cose iocundissime qui raccolte voi prenderete diletto sì in considerare sì ancora in praticarle e adoperarle. Io mi sforzai di scriverle molto aperte; pure mi conviene rimentarvi che queste sono materie molto sottili, e male si possono trattare in modo sì piano che non convenga stare attento a riconoscerle. Se vi saranno grate, sarò molto lieto. E voi, se altro più desiderate, quando lo sentirò, mi sforzerò di satisfarvi. Per ora siavi grato questo, nel quale troverete cose molto rare. Raccomandovi Carlo mio fratello, uomo a voi e alla famiglia vostra deditissimo. Valete.
Se volete solo col vedere, sendo in capo d'una piazza, misurare quanto sia alta quella torre quale sia a piè della piazza, fate in questo modo. Ficcate uno dardo in terra, e fermatelo ch'egli stia a piombo fermo, e poi scostatevi da questo dardo quanto pare a voi, o sei o otto piedi, e indi mirare alla cima della torre dirizzando il vostro vedere a mira per el diritto del dardo, e lì dove il vedere vostro batte nel dardo, fatevi porre un poco di cera per segno, e chiamisi questa cera A. E più, a stato e fermezza delli vostri piedi e viso quale mirasti la cima, mirate giù basso il piè della medesima torre, e qui simile, dove al dardo vostro batte il vostro vedere, ponete un'altra cera, e chiamisi questa seconda cera B. Ultimo, mirate qualche luogo in detta torre noto a voi e atto a potersi facilmente misurare col vostro dardo quando v'appressate alla torre, come sarà forse l'arco dell'uscio o qualche pertuso o simile posto in basso. E come facesti mirando la cima e mirando il piè della torre, così qui fate, e ponetevi una terza cera nel vostro dardo dove batte il vostro mirare. Questa è cosa nota, e chiamasi questa terza cera C, come qui vedete la pittura.

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Dico che quante volte entra la parte del dardo quale starà fra la cera Be la cera C, in quell'altra parte del dardo quale starà fra il punto A e il puntoB, tante volte quella parte bassa della torre nota a voi entra in quella di sopra ignota prima da voi. E per più chiarezza e pratica di questa dottrina, sievi questo per essemplo a numeri. Sia alta la torre piedi cento, e nella torre l'arco della porta piedi dieci, troverete nel dardo simile ragione, cioè che come quella parte della torre, dieci, entra nella maggiore e superiore parte nove e in sé una delle dieci parte di tutta la torre, così la parte del dardo AC divisa in nove parte sarà tale che ella riceverà nove volte BC, el decimo di tutto AB. E così mai errerete, purché al porre de' punti vi troviate sempre con l'occhio al primo stato. Questo medesimo potete fare con uno filo apiombinato, facendolo pendere dinanzi da voi e segnando le mire vostre con tre perle come altre volte vi mostrai.
Misurate in questo modo l'altezza d'una torre della quale niuna parte a voi sarà nota, ma ben potete andare sino al piè della torre. Ficcate in terra come di sopra dissi un dardo, e scostatevi da questo dardo quanto vi pare, e ponete l'occhio giù basso alla terra, e indi mirate la cima della torre, dirizzando il vedere vostro per mezzo la dirittura del dardo, e lì dove il vedere taglia el dardo ponete una cera, e chiamasi la cima del dardo A e il piè B, questa cera postavi C, e l'occhio vostro D, come qui vedete figurato.

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Dico che la parte del dardo quale sta fra C e B, entra tante volte nella distanza quale sta fra B e D, cioè fra l'occhio vostro e il piè del dardo, quante volte l'altezza della torre entra nella distanza quale è fra l'occhio vostro e il piè della torre. E per essemplo, sia la torre alta piedi cento, e l'occhio vostro sia distante dal piè della detta torre piedi mille; troverrete nel vostro dardo che la mira risponde pure simile, cioè come cento entra in mille dieci volte, così C e B entra in DB pur dieci volte. Adunque voi misurate quante volte CB entra in DB, e secondo il numero saprete quante altezze della torre entrano in tutta la distanza che sia fra l'occhio vostro e il piè della torre sanza niuno errore. E questo medesimo potete pur fare col filo, signato il punto C con la sua perla.
Pare ad alcuni più breve via tanto appressarsi alla torre che, stando voi a iacere e toccando co' piedi el dardo fitto in terra, come è detto di sopra, la mira alla diritta della cima della torre batta nel dardo alto quanto proprio sia dall'occhio vostro a' piedi. E dicono il vero, che tanto sarà dal piè della torre all'occhio vostro, quanto dal medesimo piè perfino alla cima. Altri danno modi quali sono verissimi e utili, e dicono:
Togli uno specchio, o più presto qualche scodella piena d'acqua, e ponla in terra, e discostatevi da essa, sempre volgendo il volto alla torre e alla detta scodella, per insino che tu veda in quella superficie dell'acqua ripresentata la cima della torre, e troverrete che quante volte lo spazio che sia fra l'occhio tuo e' piedi tuoi, entra nello spazio che sia fra' piedi tuoi e lo specchio, tante volte entra la torre nello spazio che sia fra lo specchio e il piè della torre. Siavi questo essemplo. Chiamisi la cima della torre A e il suo piè B, lo specchio C, l'occhio D, e il sito vostro dove sono e' vostri piedi si chiami E, come qui vedete la pittura.

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Dico che se AB sarà piedi cento, e BC sarà piedi mille, troverete pari ragione fra CE e DE, cioè che come cento entra in mille dieci volte, così DEentra in CE volte pur dieci.
Se vorrete misurare l'altezza d'una torre dove non vi potete appressarvi, ma ben vedete il suo piè e la sua cima, vi conviene trovare modo di sapere quanto sia lo spazio fra voi e il piede d'essa torre, a questo fine, però che se saprete ben corre questo spazio, allora con le misure sopra recitate saprete bene intendere sua altezza. Per sapere questa distanza vi sarebbe il modo qual porremo qui di sotto, atto a misurare ogni distanza, massime quando ella non sia molto lontana. Per misurare le molte lontane vi darò modo singulare.
Misurerete la larghezza d'un fiume, essendo in sulla ripa sua, in questo modo. Ponetevi co' piedi in luogo piano, e lì ficcate in terra uno dardo, come dicemmo di sopra, e chiamisi questo dardo AB. In questo dardo, proprio all'altezza dell'occhio vostro ponete segno una cera, e chiamisi questa cera C. Poi scostatevi da questo dardo AB quanto aprite le braccia, e ficcate ivi un altro dardo come di sopra, e chiamisi questo secondo dardoDE; e in questo DE ponete simile una cera proprio all'altezza dell'occhio vostro, e chiamisi F. Tenete l'occhio giunto a questa cera F, e mirate per dirittura del dardo AB qualche cosa nota di là dal fiume qual sia in sulla ripa, come sarebbe uno cespuglio o qualche luogo o sasso, e chiamisi questa cosa G; e dove mirando il vostro vedere taglia el dardo AB, vi ponete un'altra cera, e chiamisi questa cera H, come qui vedete la pittura.

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Dico che se misurerete lo spazio fra la prima e la seconda cera del primo dardo, cioè in AB lo spazio CH, quante volte egli entri fra lo spazio che sta fra l'uno dardo e l'altro, cioè CF, tanto troverrete che HB entra in BG, cioè lo spazio quale è nel primo dardo e il cespuglio quale voi mirasti. Eccovi l'essemplo a numeri. Sia il fiume largo passi trenta, e sia lo spazio CB e simile lo spazio FE uno passo; el punto H sarà distante dal punto C tanto ch'ello pari entrerà in FC tante volte quante entra HB in BG, cioè trenta volte, e più se HC entra in CF trenta volte, FE entra in EG pur trenta volte, che sarà largo il fiume trenta volte quanto è dall'occhio vostro al piè.
Eccovi un'altra via molto espedita. Se il paese dove voi sete sarà piano, fate come qui dicemmo di sopra. Ponete due dardi e segnate tutto come dissi CFH, e pigliate la misura quanto sia fra C e H, e ponete una cera a quella medesima misura sotto F nel dardo DE, quale cera si chiami I. E poi ponete l'occhio vostro che tocchi el primo dardo, cioè AB, proprio nel punto C, e mirate per dirittura della cera I posta nel secondo dardo FE, e dove il vedere vostro batte in terra sul piano là oltre a lungi dal dardo FE, ivi fate porre uno segno, uno sasso o che vi pare, e chiamisi questo segnoK, come qui di sotto vedete dipinto.

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Troverete che tanto sarà dal segno K per insino al dardo AB, quanto dal segno G quale sta di là dal fiume, per insino al dardo DE; misura certissima, ma questa che segue sarà più maravigliosa, benché la sia alquanto laboriosa ad intendere.
Se vedrete d'una torre solo la cima e nulla altra sua parte, e volete sapere quanto sia alta, fate così. Ponete, come è detto di sopra, il vostro dardo fitto in terra, e ponete l'occhio a terra e mirate la cima della torre, e segnate con una cera dove il vedere vostro batte, e chiamisi el dardo AB, la cima della torre C, el punto dove ponesti l'occhio D, la cera che ponesti nel dardo E. Fatto questo, tiratevi più adrieto, e simile da basso mirate la detta torre, e segnate dove testé batte el vostro vedere nel dardo, e chiamisi questa seconda cera F, e dove ponesti l'occhio si chiami G, come qui vedete dipinto.

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Convienvi considerare che in questa figura sono quattro triangoli, de' quali questi due sono a voi noti, cioè FBG maggiore e l'altro EBD minore. Per questi verrete in cognizione di tutti e' triangoli massimi chiamati l'unoCHG, l'altro CHD, e voi intenderete pe' modi recitati di sopra come la lineaDB risponde alla linea EB nel suo triangulo, così la linea GH nel triangolo massimo risponde alla linea HC. Adunque misurate per questa ragione e comparazione quante volte DB entri in EB, qual poniamo per essemplo facile che l'entri due volte, seguita che CH sia duo tanti quanto HD. E più misurate quante volte BG entra in BF, qual metto caso che entri tre, seguita che CH sia il terzo di HG. E simile seguita che da DH sono due e daGH son tre numeri. Non sapete questo numero quanta quantità e' sia, s'egl'è braccia o passi o che. Eccovi il modo. Se DH son due e HG son tre, seguita che HG avanza HD d'uno, e quello che gli avanza è DG. Adunque esso DG è un terzo. Misurate questo DG, quale se sarà passi dieci, tutto HGsarà trenta. Di qui argomentate in questo modo. Se la torre CH entra in tutto questo spazio HG tre volte, e DG è il terzo e simile entra lui in tuttaGH tre volte, chi dubita che la torre HC è lunga quanto è questo spazioDG? Ma questo spazio DG è dieci; adunque la torre uguale a questo spazio sarà ancora lei pur passi dieci. E così vi seguirà in tutte le cose misurerete, simile ragione sottili ma molto utili a più e più cose, quale appartengono a misurare e anche a trovare i numeri ascosi.
Con questi perfino a qui recitati modi di misurare, potete simile misurare ogni profondità, ma per essemplo ne porremo qualche modo certo.
Misurate quanto sia profondo cavato fino all'acqua un pozzo solo col vedere in questo modo. Traversate una cannuccia dentro al pozzo giù basso quanto più potete giugnere con la mano, e fermatela che la vi stia ben ferma da sé. Poi vi ponete l'occhio vostro all'orlo del pozzo in luogo ch'egli stia proprio a piombo sopra il capo della cannuccia, e sia questo luogo tale che indi possiate vedere el fondo del cavato, cioè per insino all'acqua, e mirate là giù a quell'acqua l'orlo della superficie in quel luogo quale proprio risponde a piombo sotto l'altro capo della vostra cannuccia, e chiamasi questa cannuccia, il capo lontano da voi A, l'altro capo B presso a voi, l'occhio vostro C, el basso del pozzo sopra dell'acqua D. Fatto questo, mirate il luogo dell'acqua detto D, e dove il vedere vostro batte nella cannuccia, ponete una cera per segno, e chiamisi questa cera E, come qui vedete figurato.

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Dico che quante volte EB entrerà in BC, cioè quante volte lo spazio che sta nella cannuccia fra E B entra nella parte del pozzo quale sta fra l'occhio vostro insino al capo della cannuccia posto a piombo sotto l'occhio vostro, tante volte AB, cioè tutta la canna, misura tutto il profondo del pozzo. Eccovi l'essemplo. Sia profondo il pozzo braccia ventuno; sia AB, cioè la cannuccia, e la larghezza del pozzo braccia tre. Entrerà adunque AB sette volte in tutta la profondità. Così troverete misurando come dissi, che EB entra in BC tante dette che sono le cannuccie quali misurano el vostro pozzo. Non mi estendo qui in misurare queste profondità, però che voi per vostro ingegno a questa similitudine tutto comprenderete. Ma non preterirò qui certo modo posto dagli scrittori antichi, atto a misurare una profondità d'una acqua molto cupa, quale sarebbe le valle di Adria o simile ancora più profonde.
Se volete misurare la valle quanto sia profonda, quale non si trovi fondo con lo scandaglio né con molte fune, fate così. Abbiate un vaso atto a tenere acqua, sia bossolo o tazza o che vi piace; fatele nel fondo un piccolo pertuso. E abbiate una galla di quercia, e appiccatevi un ferretto minuto fatto simile a una figura d'abbaco quale importi 5, e di questo ferretto quel gambo maggiore, ficcatelo in questa galla per insino alla metà sua; l'altro mezzo avanzi fuori della galla. Abbiate piombini atti di peso quanto vi pare, che sforzino la galla vostra a ire al fondo dell'acqua, e questi piombini sieno fatti in questa forma quale qui vedete dipinta, simile il vaso e simile la galla.

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Appiccate uno di questi piombini alla vostra galla come vedete la pittura, e ite in luogo dove a voi sia noto e misurato lì quanto sia el fondo dell'acqua, e qui empiete il vostro vaso d'acqua; e sia l'acqua pura, e pesate l'acqua con tutto il vaso bene a punto quante once e quanti grani ella si sia. Fatti questi apparecchiamenti, a un tratto lasciate ire la galla col suo piombo in acqua, e insieme aprite l'acqua ch'ell'esca del vaso. Qui la galla tirata dal piombo andrà insino al fondo. Giunto che sarà il piombo, el capo suo segnato C toccherà prima il terreno e fermerassi, e il capo B simile declinerà a terra, e indi la coda A appiccata all'angulo del ferruccio si distorrà dal luogo suo, e la galla libera rivolterà suso ad alto. Siate presto e chiudete col dito che nulla più acqua esca del vaso, e pesate quanta acqua vi resta e quanta ve ne manca, e notate in questo tempo che la galla andò e ritornò tante braccia quanta acqua si versò. Non mi estendo; credo assai comprenderete che con questa misura vi sarà facile il misurare el profondo dell'oceano, purché l'acqua sia non corrente.
Con queste simili ragioni e vasi si fanno orilogi assai iusti; e per misurare il tempo ad ore e mezze ore e simile, molte cose sono accommodate. Insomma ogni cosa in cui sia alcun moto, sarà atta a misurare il tempo, e di qui son tutti gli orilogi fabricati come quelli dove certi pesi cerca posarsi in terra, quali sono e' contrapesi, la polvere, l'acqua e simili.
Ancora si fa orologi col fuoco e con l'aria. Hanno certi stoppini di talco, e notano quanto peso d'olio ardano per ora, e così al bisogno accendono il loro stoppino, e assai loro risponde iusta questa ragione. L'orologio quale si fa a vento, è cosa molto gioconda, però che questa è una fonte fatta che, posta in tavola certo spazio di tempo, ella butta acqua in aria per forza d'aria, quale sputa fuori, e sta così.
Voi avete un vaso lungo tre palmi o quanto piace a voi, del quale e' labri di sopra si chiamino AB, e il fondo di sotto si chiami CD. A questo vaso voi ponete due altri fondi alto l'uno dall'altro una spanna, e chiamisi il primo sopraposto fondo EF; el secondo, cioè quello ch'è sopra più presso al labro di sopra, si chiami HG. Questi fondi e questo vaso tutti sieno bene stagnati che nulla per alcun luogo respiri. Nel fondo GH, cioè nel supremo, fatevi un foro, e stagnatevi una canna busa quale vi stia entro a perpendicolo, e passi sotto questo fondo GH per insino al fondo EFapresso, e di sopra avanzi sino alto fuori de' labri AB; e chiamisi questa cannella IK. Simile fate che vi sia un altro pertuso in questo medesimo fondo GH, e simile sotto questo a perpendicolo sia ancora nel fondo EF un foro; e per questi due fori ponetevi un'altra cannella perforata che passi l'uno dall'altro fondo, cioè GH e EF, e vada il capo di questa cannella giù basso fino apresso il fondo CD, e dal lato suo di sopra rimanga uguale al fondo GH; e chiamisi questa cannella, el capo di sopra L, di sotto MItemnel fondo EF sia un foro entrovi fitta una cannella, quale el capo suo abasso sia uguale al detto fondo EF, e chiamisi O; el capo alto sia per insino sotto presso al fondo GH, e chiamisi N. Saranno adunque, come qui vedete la pittura, tre fondi l'un sopra l'altro, cioè CD e EF e GH, e tre cannelle: IKquale solo passa el fondo GHLM quale passa un fondo EF e aggiunge al fondo GHNO quale passa el fondo EF. Aggiungete al fondo GH un foro sanza niuna cannella, pel quale si possa empire il vaso d'acqua, come più giù diremo, e chiamisi il detto foro P, come qui di sotto vedete figurato.

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Empiete d'acqua per el buso P quella parte quale sta fra el fondo GH e il fondo EF, e turate bene il detto buso P che nulla più acqua entri né esca. Poi turate la bocca L della cannella LM, e empiete il vaso d'acqua di sopra la parte che sta fra' labri A B e il fondo GH. Quando tutto sarà in punto, sturate la bocca L della cannella LM. L'acqua girà nella parte giù fra EF eCD, quale empiendosi l'acqua pignerà l'aria che v'era e manderalla per la cannella NO nella parte del vaso fra EF e GH. Indi l'aria pignerà l'acqua per la cannella IK, e quanta vi sarà aria, tanto durerà el suo impeto a pignere fuora l'acqua: giuoco molto delettevole.
Nel numero degli orologi sono ottimi e certissimi quelli che notano el moto del sole e delle stelle, e questi son molti e vari come astrolabio, el quadrante, le armille, e quelli anelli portatili quali io soglio fare, e simili. E di questi la loro ragione è da molti scritta, e cosa prolissa. Ma quanto sia atto a questi ludi quali io racconto, sarà questo: quasi tutti si regolano con la linea del mezzodì, però che ella è più iusta e più coequabile che termine alcuno del cielo. Adunque dico che se volete trovare in ogni paese qual sia proprio il mezzo, fate così.
Ficcate in terra in luogo piano il vostro dardo, come di sopra, ch'egli stia ben diritto; e quando sia dopo desinare inanzi nona, abbiate un filo, legatelo a piè di questo dardo, e proprio dove finisce l'ombra al sol di questo dardo, terminate il filo e fate girando un circulo intorno al dardo in terra. Sarà adunque il ferro fitto del dardo centro di questo circulo, e chiamisi A. Dove proprio finisce l'ombra del dardo sul circulo si chiami B. Lasciate stare così il dardo. In sul punto B ficcate uno stecco. Poi indi a una ora tornate; vedrete l'ombra del dardo battere altrove. Aspettate ch'ella proprio aggiunga a toccare il vostro circulo, e segnate con un altro stecco questo luogo qual sarà più verso donde si leva il sole, e chiamisi questo stecco segno C, come qui vedete la similitudine.

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Dividete la linea BC, cioè la distanza quale sta fra l'uno stecco e l'altro, in due parti equali, e chiamasi D, e dal punto A entro del circulo tirate un filo a questo D. Questa dirittura proprio mira il mezzo dì in quel luogo. Con questo potete porre quadranti da sole iusti, e ogni simile cosa.
Per conoscere l'ore della notte sanza altro instrumento che solo col vedere, farete così. Notate la sera, quando appariscono le stelle, dove sia la tramontana, stella assai nota, e ponete mente sopra quale albero o torre o camino o simile ella risponde, sendo voi in questo certo luogo; e notate di tutte le stelle che sono circa la tramontana qualcuna di quelle grande, quale possiate facile riconoscerla, e simile segnate qual mira in su questa ora ella stia. Sappiate che in ore ventiquattro quella stella ritorna proprio a questo sito, adiritta a questa mira, e tuttora gira a torno alla tramontana. Adunque voi la notte, quando poi volete iustare l'ora, vedete di tutto el cerchio quanta parte ella corse. Verbigrazia, ella fece la quarta parte del cerchio, son passate sei ore; se 'l terzo, otto, e simile. Per ritrovare la tramontana si dà certo mezzo. Alcuni lo chiamano Carro, alcuni Corno a similitudine; e sono alcune stelle situate come qui vedete la pittura.

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Se a vista piglierete per lo cielo una linea qual vada per le due stelle maggiori che stanno pari di dietro a questa così fatta situazione di stelle, andando troverrete una non piccola stella, né etiam molto grande. Questa prima stella sarà dessa, e sarà scosta da queste due dette stelle forse 3 1/2 volte quanto sia di quelle due l'una dall'altra. Chiamano el vulgo alcuni quelle stelle le Rote del Carro, alcuni la Bocca del Corno. Ma eccovi la lor forma.

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Ma torniamo a quanto mi chiedesti, e diciamo delle ragioni di misurare e' campi. Gli scrittori antichi, presertim Columella, Savazorda, e altri commensuratori, e Leonardo pisano fra' moderni, molto s'estese in questa materia. È cosa prolissa e dotta. Ma io vi raccolsi le cose più gioconde, e ancora sono utili al bisogno. Non racconto per brevità quante sieno le forme de' campi quadrati, e più lungo che largo, e più stretto da un capo che dall'altro, e di tre lati, e di molti lati, e rotundo, e parte d'un tondo, e simili. Tanto dico ch'e' campi sono co' sua lati o tutti tondi, o linee dirette, o parte diritte parte d'arco, o composte di più archi, come qui vedete le loro varietà segnate.

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Voi, se volete misurarle, fate così; e cominciamo da quelli che ha e' lati tutti diritti. Se il campo arà e' lati diritti e i cantoni suoi saranno a squadra, e lui sarà molto facile ad intendere quanti piedi sia tutto quadrato, e farete così. Pigliate un de' lati qual volete, e notate quanti piedi e' sia dall'un capo all'altro. Quando sete da capo, continuate e volgete a lato l'altra sponda del campo e misuratela. Forse troverrete che l'uno di questi lati fu dieci passi e l'altro pur dieci. Multiplicate l'un numero nell'altro. Chi annovera dieci per infino a dieci volte arà cento. Adunque sarà cento passi quadrato. Se forse fu dieci per questo e venti per quest'altro, venti volte dieci fa duecento.
Se e' sarà di tre faccie e uno de' suoi cantoni sarà pure a squadra, fate così. Pigliate uno de' lati che termina su il suo cantone del quadro, e annoverate quanti passi egl'è. Poi simile annoverate l'altro lato che simile termina a quel medesimo cantone dello squadro, e come facesti di sopra, multiplicate l'uno nell'altro, e di tutta la somma multiplicata togli la metà, e questo sarà il vostro campo. Verbigrazia, sia l'un lato passi dieci, l'altro pur dieci, farà cento. La metà sarà cinquanta, e così sarà il vostro campo fatto a tre canti.

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Se 'l campo non sarà di queste due forme dette e pur sarà terminato con linee rette, fate così. Abbiate una squadra grande, e cominciate da uno dei lati quale vi pare più atto, e secondo che vi termina la squadra, dirizzate e' fili e cavatene tutti e' quadrangoli, e fate come di sopra multiplicando loro insieme. E simile, se rimane triangoli, fate con la squadra vostra di notare gli angoli retti dividendo dove vi pare il luogo più atto, e accogliete le somme, e starà bene. Qui per darvi qualche similitudine posi essemplo del modo di dividerli.

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E notate che la squadra conviene che sia ben grande a volerne avere buona certezza. La grande squadra meno erra.
Farete col filo una squadra ottima così. Cominciate dal primo capo del vostro filo e misurate tre passi, e lì fate un nodo. Poi da questo nodo più oltre ancora misurate per insino ancora passi quattro, e qui fate il secondo nodo, e indi ancora seguite e pure misurate, e quando sete in capo di passi cinque, fate il terzo nodo. Arete dunque in tutto questo filo misurato passi dodici. Raggiugnete il terzo nodo col primo capo e ponetelo in terra, e lì ficcate uno stecco. Trovate il primo nodo, tirate il filo a terra e lì ponete l'altro stecco. Poi ultimo trovate l'altro nodo e simile lì ponete il terzo stecco. Arete un triangulo a squadra iustissimo. Sarà a squadra quello angulo che sta al nodo in mezzo de' passi quattro.

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Sono alcuni che misurano il filo cinque e poi pur cinque e poi sette, e fanno come noi un triangulo. Questi errano, però che i quadrati loro non rispondono a pieno: màncavi delle cinquanta parti l'una. E questo basti pe' campi che hanno le linee rette.
Se 'l campo sarà circulare, bisogna pigliare la sua larghezza e multiplicarla tre volte e un settimo. Verbigrazia, se sarà largo passi quattordici, questo multiplicato in tre e un settimo fa quarantaquattro passi, e questa somma sarà tutto il suo circuito. Poi pigliate la metà della sua larghezza quale è sette, e la metà del suo tondo quale è ventidue, e multiplicate sette in ventidue: somma centocinquantaquattro; e questo sarà tutto il campo, cioè passi centocinquantaquattro. Eccovi la figura.

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Se 'l campo sarà non ritondo ma circuito da più archi, cavatene prima tutti e' quadrati che entrano, e tutti i trianguli; come dicemmo di sopra, così fate. Resteranno quelle parti simili a una luna amezzata o scema. S'ella proprio sarà parte quanto un mezzo circulo, saprete quanto sarà il tutto per la via di sopra del circulo, e divideretelo per mezzo. Se sarà parte e minore che un mezzo circulo, simile a uno arco, gli antichi feciono una tavola per la quale si misura la corda insino alla schiena dell'arco, e con questa tavola pigliavono assai espressa certezza; ma son cose molto intrigate e non atte a questi ludi quali io proposi. E quanto attaglia a vostri piaceri, basta cavare tutti e' quadranguli e tutti e' trianguli, e ridurli a squadra, come dicemmo di sopra, in questa forma.

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Pur se volessi averne qualche principio a comprendere la loro ragione, convienvi dividere la corda in due parti e multiplicare l'una nell'altra. Verbigrazia, sia la corda quattro passi, direte due volte due fa quattro; e poi torre la saetta e multiplicarla nel resto dal diamitro, quale se sarà uno, il resto del diametro sarà numero quale multiplicato per uno farà quattro. Sarà adunque quattro, e direte uno vie quattro fa quattro, quali due numeri composti, cioè uno e quattro, mi danno tutto el diametro che fia cinque. Partite cinque per 1/2, resta 2 1/2; levatene tutta la saetta, cioè 1, resta 1 1/2; multiplicate questo che resta nella metà della corda, e arete in tutto il pieno di questa parte, che fa 3. Questo procede se sarà meno che mezzo circulo. Se sarà più, empierete per questa via quel che manca.
Columella pone molto aggiustato certe parti che ha queste misure, e questa farà al nostro proposito. Se la corda dell'arco sarà piedi sedici, la freccia piedi quattro, aggiugnete questi due numeri, faranno venti. Annoverate questa somma quattro volte; sarà ottanta. La metà è quaranta, e della lunghezza della corda la metà è otto; quale aggiunta alla metà della corda fa quarantotto. Dividete la somma in parte quattordici, sarà tre e poco più; qual parte quatuordecima aggiunta a quaranta farà circa a quarantaquattro. Tanto sarà questo arco. A similitudine di questo farete gli altri. Sono queste ragioni molto alte, simile molto degne, e tratte di gran dottrina. Ma mio proposito qui è solo recitarvi cose gioconde. Adunque lasceremo queste suttilità.
Perché mi chiedesti qualche cosa commoda a condurre l'acque de' fiumi e rivi e simili, reciterò qualcuna attitudine rara. Ma se vorrete vedere a pieno e distinto tutta questa materia, cioè che ragione fu di trovare le vene dell'acqua, con che arte si deducano, qual sia il modo de' condotti, qual sia l'ordine de' rivi, quale argumento moderi e' fiumi e rompi i loro empiti, in che modo e' si volgano e transportinsi altrove, vedrete que' miei libri de architectura, quale io scrissi richiesto dallo Illustrissimo vostro fratello, mio signore, messer Leonello, e ivi troverete cose vi diletteranno.
Fannosi molti instrumenti per livellare l'acqua. Questo vi piacerà, però che è brieve e iustissimo. Togliete il vostro dardo o altra cosa che sia ben diritta, e se non avete regolo diritto, fate uno arco lungo un passo o più e mettetelo in corda, e a ciascuno de' capi legate un filo lungo quattro piedi o più, e fate che sieno a una lunghezza equali, e legate e' capi di questi due fili che pendono insieme. Così arete fatto uno triangulo del quale due lati sono e' fili, il terzo lato è il dardo o vero la corda del vostro arcione. Nel mezzo proprio della corda del dardo o vero dell'arco ponete una cera per segno, e dove si legano i due fili insieme legatevi un terzo filo lungo quattro piedi, e sievi appiccato uno piombino dall'altro capo che pende, e chiamisi questo angulo, dove questi tre fili sono annodati insieme, A. La prima cocca e capo del dardo si chiami B, la seconda C, la cera in mezzo del dardo D, el piombino E, come qui vedete la figura.

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Questo instrumento si chiama equilibra, colla quale si misura ogni cosa. Quando l'angulo starà appiccato a cosa che lo sostenga, come s'appicca una bilancia, s'e' pesi posti l'uno al capo B, l'altro al capo Csaranno equali, el filo AE che pende col piombino, proprio batterà in sulla cera D. Adunque voi fate col porvi e diminuirvi e' pesi che la equilibra stia proprio equale. Usasi questo instrumento a più altre cose, massime a livellare l'acqua. Voi mirate per lo diritto della linea BC, e secondo la sua partita pigliate l'altezza dell'acqua. Ma qui molti s'ingannano livellando, prima che non intendano che la terra sia ritonda e volge in modo che sempre da qual parte voi sete a livellare pare essere più alta che l'altra. Non mi estendo in dimostrarvi dove sia noto il suo volgere e ambito, e quanto rispondano e' vostri migli a' gradi del cielo. Tanto vi sia persuaso che in ogni nove mila piedi la terra volge in basso uno piede declinando dalla dirittura di qualunque livella. E se volete sanza calculo operare, livellate di qui in là, e segnate le mire, e poi di là in qua e segnate pur le mire alle sue parità, e di tutta la differenza pigliate il mezzo e questa vi sarà atta misura.

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Ancora si vuole non por l'occhio molto presso alla equilibra, ma pongasi alquanto discosto per modo che sotto el vedere sieno a uno filo quattro distinti punti, cioè la cosa mirata, uno; el punto della equilibra, due; el punto C, tre; e il quarto sia l'occhio vostro. Adunque voi, dove misurasti la equalità del terreno, sappiate che l'acqua nulla si muove, ma si sta in collo s'ella non ha la china sua almeno per ogni miglio un terzo di braccio, e questo non vi satisfarebbe s'ella non corresse a dirittura, però che trovando intoppo di volte soprasta e fermasi. Se la ripa dov'ella batte sarà ferma e soda, l'acqua fa come la palla nel muro, quale mandata a costo al muro poco si sparte lungi dal muro, s'ella viene mandata discosto dal muro, ella molto discosta donde ferì nel muro e fugge in là in traverso. Così l'impeto dell'acqua, s'ella trova il suo opposito poco obliquo, poco si deduce; s'ella lo truova molto atraversato, ella si deduce assai, e batte e rode la ripa contraria. Onde molti che non intendono, pur riparano indarno alla sua ripa quando doverriano levare o smussare il suo contraposto o sopra sé fare pari un altro traversato, onde l'acqua ruinando contra il suo contrario imparasse pigliare il corso diritto. Ancora l'acqua rode sotto dov'ella cade e dov'ella fa alcuno refluo, però che il peso cadendo el refluo commuove, e l'acqua intorbidata correndo il porta via. Questi principi per ora bastino.
Questa equilibra misura ogni peso in questo modo: quanto el filo piombinato AE si scosta dalla cera D, tanto quel peso a cui sarà più vicino pesa più che l'altro dell'altro capo. Conoscesi quanto sia, così. Quante volte dal capo del dardo sino al filo AE entra nella parte che resta del dardo, tante volte l'uno di questi pesi entra nell'altro. Verbigrazia: sia il dardo lungo piedi sei; sia dal capo B un peso di libre quattro, e dal capo Cun peso di libre due; troverrete il filo AE sarà vicino alle libre quattro, tanto che quella parte sarà di tutto dua e l'altra sarà quattro piedi. Potrei con questa equilibra mostrarvi misurare ogni distanza, ogni altezza, ogni profondità. Ma queste per ora credo bastino. Eccovi l'essemplo del pesare le cose come qui incontra sarà il disegno.

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Ma poi che facemmo menzione de' pesi, forse sarà a proposito mostrarvi in che modo si pesi un superchio peso, come sarebbe il carro co' buoi e col suo carico, solo con una statera che porti non più che libre cinquanta.
Ordinate un ponte simile a questi levatoi, e accommodatelo in modo con le sue catene ad alto ch'egli stia ataccato a un capo d'una trave lunga, qual sia atraversato sopra l'arco della porta, simile come s'adattano i ponti levatoi. E sia da questo luogo della trave dov'è posata sul suo bilico sopra della porta sino alle catene, meno che del detto bilico sino all'altro suo capo che vien dentro dalla porta; e chiamisi il capo delle catene A, e il capo dentro B, el bilico C. Al capo B ponete una tagliuola, e accommodate il capo della fune che lavorerà per questa tagliuola, giù entro della porta a un certo naspetto che la carchi, e chiamisi D questo luogo. All'altro capo della fune attaccherete la vostra statera accomandata con uno de' sua uncini in terra in questa forma, e chiamisi questo capo E, come vedete la pittura.

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Quando el carro e' buoi saranno su questo ponte, tirate giuso il capo Edella fune, e accomandate la statera al luogo D. El ponte andrà in alto. Basta se va quattro dita suso. Dico che se una volta annovererete quante libre del carro porti una oncia della vostra stateretta, a quella regola peserete poi sempre tutte l'altre. E sievi ricordo quanto vi dissi testé qui sopra, che la parte più lunga della trave AB quante volte ella empie la minore, tante libre porta a numero una libra che gli sia posta in capo; e la tagliuola simile, quante volte la fune va giù e su, tante volte si parte il peso per modo che una libra porta quattro e sei secondo il numero dello aggirarsi.
Ricordami che ancora io vi ragionai in che modo si possa dirizzare una bombarda sanza vedere dove abbi a dare la pietra. Parmi di non lo preterire, più tosto per mostrarvi una pratica della vostra equilibra, che per ragionare di cose aliene della dignità e autorità vostra. Farete adunque così.
Fate pesare e notare quanta polvere e che pietra e coccone e zeppa, e segnate bene tutto il sito della bombarda com'ella stia posta e adiritta. El modo di segnarla certo è questo. Fate una tacca sull'orlo di fuori della bombarda alla bocca alto in mezzo, e un'altra simile alla coda. Di qua e di qua a capo e a piede ficcate in terra stecchi, e notate quanto la bombarda sia discosto da essi stecchi. Poi suspendetevi sopra la vostra equilibra, e dirizzate la sua dirittura per sopra le tacche che son fatte nella bombarda, e notate dove batte el filo piombinato in la equilibra, e quanto ciascuno de' sua capi stia lontano e vicino alle dette tacche. E per dirittura del capo dove ella sta posta, mirate il contrario luogo opposito al luogo dove volete dare, e dove la mira della vostra equilibra batte, ponetevi segno. Fatto questo, diesi fuoco alla bombarda. Voi vedrete dove ella diede, e menderete lo alto e 'l basso e il costiero la seconda volta movendo il segno che voi ponesti adrieto, e a quello segno così mosso dirizzando la vostra equilibra, e sotto l'equilibra movendo la bombarda. Vorrebbesi che questo segno fusse tanto distante quanto il luogo dove volete dare. A trovarlo aoperate le pratiche di sopra. Eccovi la pittura di questo che ho detto fino a qui. Qual ragione molto gioverebbe a chi usa la balestra, ma non mi estendo in che modo.

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Voglio alle cose dette di sopra aggiugnere certo instrumento atto, come per voi consider(er)ete, molto a questi bisogni, e massime a chi aoperassi il trabocco e simili macchine bellice. Ma io l'aopero a cose molto delettevoli, come a commensurare il sito d'un paese, o la pittura d'una terra, come feci quando ritrassi Roma. Adunque insieme vi darò questa pratica.
Misurate il sito e ambito d'una terra e di sue vie e cose in questo modo. Fate un circulo su una tavola larga almeno un braccio, e segnate questo circulo in parte tutto atorno equali quanto voi volete, e quante più sieno, meglio sarà, purché sieno distinte e nulla confuse. Io soglio dividerlo in parte dodici equali, tirando diametri tutto per entro al circulo. Poi el lembo, cioè il dintorno, tutto divido in parte quarantotto, e queste quarantotto parte chiamo gradi. E più divido questi gradi ciascuno in parte quattro, e chiamoli minuti. A ciascun grado scrivo el numero suo simile a questo qui dipinto.

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Quando vorrete fare la vostra pittura, porrete questo instrumento in luogo piano e alto donde voi possiate vedere molti luoghi della terra quale voi volete ritrarre, come sono campanili, torre e simili. E abbiate un filo con un piombino, e scostatevi da questo instrumento due braccia, e mirate a una a una le cose note in modo che 'l vedere vostro passi a uno riguardo per il filo piombinato e per mezzo del centro del cerchio, e dirizzisi alla torre qual voi mirate. E secondo il numero che 'l vedere taglierà all'estremità del circulo verso dove voi mirate, così voi fate memoria su qualche vostra carta di per sé. Verbigrazia: fingete d'essere sulla torre del castello col vostro instrumento e mirate la porta lassù, e vedrete che 'l vedere passa pel venti gradi dove è la divisione due minuti. Scrivete sulla vostra carta: porta di sopra venti gradi e due minuti. E non movete l'instrumento, ma movetevi voi e mirate gli anguli. Forse il mirar vostro batterà sopra dove starà scritto nell'instrumento trentadue gradi e niuno minuto; più scrivete anguli trentadue. E così simile tutti gli altri, sanza muovere l'instrumento. Fatto questo, andrete altrove in luogo pur simile e veduto da questo primo, e porrete il vostro instrumento, e statuiretelo che proprio stia sulla linea medesima di quel numero per quale voi prima lo vedesti al diritto sul vostro instrumento, cioè che se da quella torre prima sino a qui una nave avesse a navicare, verrebbe per quel medesimo vento segnato 20.2, o 32.0, e simile. E qui farete pure il simile come voi facesti al castello: noterete dintorno e farete di tutto memoria su un'altra cartuccia.
Item più andrete a un altro terzo luogo, e pur farete il simile, notando tutto e di tutto facendo memoria. Pongovi la pittura di questo modo che dovete osservare; la qual pittura sarà dimonstrativa, come è detto.

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Adunque farete così. Comincerete sulla vostra tavola dove volete fare la pittura, e fate un punto dove vi pare atto alla figura di tutta la pittura, e questo sia il sito d'uno di quelli luoghi donde voi notasti le cose. Verbigrazia: sia il castello; scrivete qui sopra el fatto punto: EL CASTELLO. E in su questo punto ponete un piccolo instrumento di carta largo mezzo palmo, partito e fatto simile a quello grande col quale voi notasti le cose, e assettatelo che 'l suo centro stia proprio in su questo punto, e di qui dirizzate tutte le vostre linee secondo che trovate scritto nella vostra memoria. Simile fate un secondo punto dove vi pare nella linea testé da voi notata alla tavola, qual linea vi nomina uno degli altri due luoghi dove voi mirasti le cose, e in su questo punto secondo ponete pure un simile instrumento piccolo di carta, e assettatelo che risponda alla linea al numero qual nomina sulla vostra memoria CASTELLO, cioè che l'uno e l'altro instrumento sieno a una linea insieme rispondenti l'uno all'altro secondo che essi insieme si nominano. E dirizzate ancora quinci tutte le linee al numero loro notati da voi in sulla vostra carta, e dove la linea del primo instrumento vi chiama, verbigrazia Santo Domenico, si taglia insieme con la linea del secondo instrumento, qual pur chiami Santo Domenico, ivi fate un punto e sopra scrivete SANTO DOMENICO. E simile fate di tutte l'altre cose. S'egli accadrà che queste due linee dette non si taglino bene insieme in modo che molto sia chiaro il suo angulo, ponete un altro simile piccolo instrumento sul terzo punto donde voi notasti le cose, e questo assettate simile agli altri che fra loro rispondano le loro linee, e questo tutti vi manifesterà a pieno. Il dimonstrare queste cose a parole non è facile, ma la cosa in sé non è difficile, ed è molto delettevole, e con questo si fanno più cose, come per voi considererete.
Con questo diedi modo di ritrovare certo acquedutto antiquo, del quale apparivono alcuni spirami ed erono le vie precluse entro al monte. Con questa via intenderete che si può notare ogni viaggio e avolgimento di qualunque labirinto e d'ogni diserto sanza pericolo d'alcuno errore.
E con questo potete misurare le distanze molto a punto, e se volete misurare quanto sia a dirittura dalla Torre dello Asinello sino al Castello, così faremo.
Ponete il vostro instrumento racconcio come di sopra dicemmo, pel quale numero si vegga la Torre detta, e notatelo, e poi mirate un altro luogo alquanto distante da questo dove testé sete. Verbigrazia, voi sete dall'uno de' capi del corridoio del Castello; ponete un certo segno all'altro capo, e lì miratelo, e notate i suo gradi e minuti. Poi ponete il detto instrumento su quest'altro capo del corridoio da voi notato, e assettatelo come noi dicemmo, che risponda a uno la sua linea per diritto del corridoio, e di qui mirate pure la detta Torre, e notate al vostro instrumento e suoi numeri. Fatto questo, abbiate in sala o altrove in piano uno spazio, e come volessi fare la pittura detta di sopra, fate vostri punti, e dirizzate le linee con l'instrumento proprio come di sopra dissi, e dove le si tagliano, segnate in questa forma.

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Dico che quante volte lo spazio dall'uno di questi punti segnati all'altro entra in una di queste linee segnate dal punto dove si tagliano, tante volte entra lo spazio dall'uno de' capi del corridoio sino all'altro nello spazio qual sia dal luogo di quel punto sino all'Asinello. Vedetelo lì notato la figura a numeri. Se dall'uno punto all'altro è once dieci, e da questo punto sino a lì dove si tagliano le linee sono once duecentoventi, direte che da quello luogo suo del corridoio sino alla Torre dell'Asinello sono ventidue volte quanto è da uno de' capi del corridoio all'altro. E questo vi servirà bene a piccole distanze, ma alle distanze maggiori bisogna maggiore instrumento. E io voglio dar modo che con tre ciriege misurerete quanto sia a dirittura da Bologna a Ferrara.
Misurate ogni gran distanza così. Poniamo caso che voi vogliate misurare quanto sia a dirittura dal monasterio vostro sino a Bologna. Andate in su qualche prato grande dove si può vedere Bologna, e ficcate in terra due dardi diritti come dicemmo di sopra, ma ponetegli distanti l'uno dall'altro mille piedi o più quanto vi pare, purché l'uno vegga l'altro e ciascun di loro vegga Bologna, in modo che tra loro tre, cioè Bologna e li due dardi, faccino un triangulo bene sparto. Fatto questo, cominciate da uno de' dardi quale forse sarà più presso verso Ferrara, e ponetevi con le spalle verso Ferrara col viso verso questo dardo, e mirate verso il secondo dardo la giù, addirizzando il vedere vostro per questo primo qui dardo; e su quella linea che farà in terra il vostro vedere, lungi dal dardo venti piedi ponete un segno, e se piace a voi, sia una ciriegia. Poi volgetevi col viso verso Bologna, e mirate per dirittura di questo medesimo dardo, e in terra simile nella linea qual farà lì il vostro vedere, lungi trenta piedi ponete una rosa o quello vi piace. Arete adunque notato in terra uno triangulo, del quale uno angulo verso Ferrara sarà el dardo, verso il mare sarà una ciriegia, verso Bologna sarà una rosa. Chiamasi adunque el dardo qui A, la ciriegia B, la rosa C. Misurate quanto sia da B ad A, e quanto da A a C, e daC a B, e notate bene queste misure appunto. Fatto questo, ite al secondo dardo, e volgete il viso verso Ferrara, e scostatevi venticinque piedi, e per questo secondo dardo mirate a dirittura il dardo primo, e per questa dirittura, quale fa il vostro mirare, ponete una ciriegia presso a questo dardo primo quanto stava B presso ad A. Poi volgete il viso verso Bologna, e per la dirittura di questo dardo mirate Bologna, e in terra su quella linea ponete una rosa distante dal dardo proprio quanto fu nel primo triangulo distante C da A, e terrete un filo da questo dardo fino alla rosa. Fatto questo, tornate dove ponesti la ciriegia, e per dirittura di questa ciriegia mirate Bologna, e notate bene dove questo mirare testé batte in terra e taglia il filo posto e tirato fra 'l dardo e la rosa, e qui ponete una bacchetta. Arete qui notato un altro triangulo, quale uno angulo sarà il dardo, chiamisi D, l'altro sarà la ciriegia, e chiamisi E, el terzo sarà lo stecco, chiamisi F. E per meglio esprimere, eccovi a simile la pittura.

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Dico che qui vi conviene considerare che voi avete tre trianguli, l'uno è ABC, l'altro DEF, el terzo è quello il quale gli anguli suoi sono l'uno Bologna, l'altro el dardo A, l'altro la ciriegia E. Misurate quante volte entra la linea ED nella linea EF nel suo piccolo triangulo, tante volte EA entrerà in tutta la linea E persino a Bologna nel suo gran triangulo. Per meglio esprimere, eccovi del tutto l'essemplo a numeri. Sia DE dieci piedi, e sia EFquaranta piedi. Dico che come dieci entra in quaranta quattro volte, così la linea e spazio EA enterrà volte quattro nella linea e spazio fra E e Bologna; e se ED enterrà trenta volte in EF, da qua dove voi operate sino a Bologna sarà trenta volte quanto sia da A sino ad E. Ma perché non si possano sempre vedere ad occhio le distanze, e giova sapere proprio quanto la cosa sia distante, vi darò modo di misurare quanto sia da Ferrara sino a Milano giacendo e dormendo, e in tanta misura arete certezza per insino ad un braccio. Farete così.
Abbiate un carro; quanto le ruote sono maggiori d'ambito, meglio fia. In sul motto grosso della ruota, in quale stanno fitti e' razzi, e nel quale entro pertusato passa quello ch'e' Latini chiamano axis, cavate una fossetta non maggiore né più profonda se non quanto essa riceva una sola pallotta. E fate una cassa col suo pertuso sopra al vostro motto del carro, in modo che nessuna pallotta esca se non quando volgendosi la ruota una sola n'entri nella sua fossetta. Empiete questa cassetta di pallotte, e sotto fatevi dove, quando volgendosi la ruota lasci la pallotta riceuta nel pertuso fatto sotto, sia ricolta, o sacco o che si sia. Credo per vostro ingegno intendete come secondo il numero delle pallotte cadute vi saranno note le volte della ruota, e a voi sia noto quanto volge la ruota. Conterete adunque tante pallotte, tante ruote, e tante volte, tante braccia. Eccovi l'essemplo dipinto.

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Questo medesimo modo si può adoperare a conoscere la via per mare, facendo la ruota che in scambio de' razzi sieno pale simile a quelle de' mulini, e appenderla al lato della nave; del resto farvi el simile ch'io dissi di sopra, una fossicella nel fuso dentro quale entrasse nella nave. Ma voglio darvi certo modo raro a conoscere quanto la vostra fusta vada per ora a qualunque vento la muova. Fate così.
A conoscere quanto navichi una vela, ponete il vostro pennello, fatto non di piume ma di legno, fitto nella sua astola, e abbiate una assicella sottile quanto un cuoio, lunga un piè, larga quattro dita. Appiccatela con due guercetti giù basso alla coda del pennello ultima, in modo ch'ella si muova non qua e qua verso man destra o sinistra, quale fa il suo pennello e come fanno gli usci, ma su e giù come fanno le casse quando l'aprite o serrate; e sievi una parte d'uno arco quale penda in giù attaccato in modo che quando questa assicella starà più alta o più bassa, voi possiate ivi nel detto arco tutto segnare e annotare. E per più chiarezza vostra eccovi la similitudine di questo pennello e asse e arco.

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Questo non bisogna persuadervi che quando non trarranno venti, questa assicella penderà giuso a dirittura, e quando sarà poco vento, questa poco s'alzerà, e quando sarà forte, ella starà sullevata assai. Convienvi avere adunque notato e ben conosciuto altrove a luoghi noti a voi quanto la vostra fusta corre per ora e per tanto vento che l'assicella s'alzi a questo o a quest'altro segno, con queste vele tanto alte che così adiritte, con questo carico, con tanti timoni in acqua e simile; e questi segni e notazioni poneteli che vi sieno ben certissimi e presenti. Adunque navicando porrete mente quante ore corse la vostra fusta pel vento del tal segno, con l'altre circunstanze a voi note, e così arete certa notizia del vostro navigio, e non converrà arbitrare per altre conietture le miglia come fanno oggi e' marinai.
Ancora prenderete piacere di questo che gli antichi scrissono, come Ierone, principe di Siracusa, fece certa opera d'oro di molto peso e di gran magistero, quale fatta rispondea nella bilancia al peso dell'oro quale egl'avea dato a' maestri. Ma intese ch'e' maestri artefici dell'opera l'avevono ingannato e non era tutto il lavoro d'oro ma era misto d'argento. Irato Ierone non volea però guastare il lavoro, ma volea certificarsi. Commise ad Archimede matematico questa causa. Archimede, uomo suttilissimo, sanza muovere o guastare nulla tutto vide manifesto in questo modo. Fece due masse d'un medesimo peso quanto fu l'opera fatta de' maestri, e di queste due masse l'una fu puro oro, l'altra puro argento. Posele nell'acqua in vasi ad una grandezza e a una forma simili e pieni ad un modo, e vide che differenza restava di questa acqua nel vaso quando ponendovi questa massa l'acqua traboccava fuori e si versava. E così posevi poi l'opera, e proporzionando i pesi loro insieme trovò certo il vero in tutto el lavoro. Fu ingegno molto acuto.
Quanto pesi l'acqua a proporzione dell'oro non scrissono gli antichi, però che l'acque son varie. Ma truovo bene scritto quanto a proporzione della cera pura pesino tutti e' metalli. E dicono che un dado o palla o qual forma si sia di certa grandezza di cera e pesi un'oncia, questa medesima sendo di rame puro peserà oncie otto e denari sedici, e se sarà di rame ciprino, peserà oncie otto e denaio uno; se sarà stagno, peserà oncie dodici; se sarà piombo, peserà una libra e denari sei; se sarà oro, peserà una libra e oncie sette e denari nove. Di qui si può facile comprendere per che cagione l'oro pesi nell'acqua più che l'ariento, e la ragione è evidente. Sì che qualunque corpo essendo pari a misura con l'acqua e in se pesi meno, questo stia tanto sollevato e a galla quanto il suo peso sarà minore, e starà pari immerso nell'acqua quanto pari tanta quantità d'acqua sarà di peso pari a lui. E quelli corpi che in sé pesano più che l'acqua, staranno sotto, e quanto più peseranno, tanto più veloci descenderanno e meno occuperanno dell'acqua, sento tutti d'una figura e forma. Con questa ragione mostrai a questi dì a questi architetti qui quanto pesi certa colonna di quale essi contendevano fra loro. Presi alcuni pezzi di simile pietra e alcuni di marmo del quale io ho noto certo il peso suo, e posili nell'acqua e compresi la loro differenza. Potrei in simili cose molto estendermi, ma queste per ora bastino. Se altro mi chiederete, lo farò volentieri. Le misure de' corpi, come sono colonne quadre, rotunde e aguzze, di più faccie, sperice e simili, sono materie più aspre a trattare. Pur quando a voi dilettasse, potrò ricorvele. Dubito non poterle dire se non come le dissono gli antichi, e loro le dissono in modo che con fatica e cognizione di matematica e appena si comprendano. Dicovi che molte cose lasciai e non dissi, benché fussino molto dilettevoli, solo perché i' non vedea modo poterle dire chiaro e aperto come cercavo dirle, e in queste durai fatica non poca ad esprimerle e farmi intendere.

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