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La Grande Storia dei Cavalieri Templari

Creati per difendere la Terrasanta a seguito della Prima Crociata i Cavalieri Templari destano ancora molto interesse: scopriamo insieme chi erano e come vivevano i Cavalieri del Tempio

La Grande Leggenda dei Cavalieri della Tavola Rotonda

I personaggi e i fatti più importanti del ciclo arturiano e della Tavola Rotonda

Le Leggende Medioevali

Personaggi, luoghi e fatti che hanno contribuito a conferire al Medioevo un alone di mistero che lo rende ancora più affascinante ed amato. Dal Ponte del Diavolo ai Cavalieri della Tavola Rotonda passando per Durlindana, la leggendaria spada di Orlando e i misteriosi draghi...

martedì 31 luglio 2012

ANTICA FIERA DI SANTA LUCIA, RIEVOCAZIONE MEDIEVALE

Il 10 e 11 novembre il 1300 rivive tra spettacoli e mercati. L’Antica Fiera di Santa Lucia è una delle associazioni storiche più significative ed attive del Triveneto. Propone eventi suggestivi e culturalmente stimolanti dedicati al Medioevo, periodo solo all’apparenza buio e privo di inventiva, diffondendo gli usi e costumi in uno spaccato di vita del 1300.  L’evento principe è la grande rievocazione storica che ricostruisce l’antichissima fiera di Santa Lucia di Piave, crocevia di merci e traffici da ogni parte d’Europa che proprio nel Medioevo visse un periodo particolarmente florido. La manifestazione, che attira ogni anno migliaia di visitatori e turisti, si terrà sabato 10 novembre e domenica 11 novembre a Santa Lucia di Piave (TV), anche se il programma offre molte altre iniziative collaterali. La fiera medioevale, che rimane legata ai primi traffici commerciali tra Venezia e le Fiandre, rivive con una mostra-mercato di prodotti tipici del tempo: tessuti pregiati, canapa e lane di Fiandra, cavalli e asini, spezie ed utensili. Con i soldi veneti antichi, cambiati dai cambiavalute, si potranno anche assaggiare varie pietanze di "casari" e "vinari", dolci, marmellate, birre artigianali, il tutto rallegrati da giullari, musici e saltimbanchi. Ecco il programma per esteso.
Venerdì 19 ottobre: in biblioteca, Il medioevo tra Conegliano e Ceneda, aspetti di vita medioevale nel nostro territorio. Conferenza dibattito con i Prof. Antonio Soligon e Lazzaro Marini.

SCOPERTA UNA FORNACE MEDIEVALE

Dall’ 1 al 13 luglio 2012, a Cetraro, si è svolto il primo Work Camp del Servizio Civile Internazionale.
L’evento, che si è preposto di ospitare nella cittadina tirrenica ragazzi provenienti dalle più disparate nazioni europee, favorendo così l’interscambio e l’integrazione culturale e sociale, è stato promosso e organizzato dall’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Cetraro, rappresentato dall’Assessore Domenico Avolio, con l’ausilio della Cooperativa Esserci Tutti di Cetraro, dell’Oasi Federico di Belvedere M.Mo e del Cantiere Sociale Santa Lucia di Cetraro. L’iniziativa ha ottenuto la partnership della Società Cooperativa Caster, sempre di Cetraro, la quale, lo ricordiamo, da circa un anno gestisce la struttura museale dedicata all’antichissima civiltà dei Brettii e ubicata nello storico Palazzo Del Trono. I giovani partecipanti sono stati impiegati in lavori di pubblica utilità, quali: il recupero del giardino comunale sito presso la sede del Comune, e che in futuro sarà adibito a parco giochi, la riqualificazione di svariati locali per la creazione di un centro di aggregazione giovanile, la catalogazione di 300 volumi, appartenenti al cosiddetto “Fondo Martorelli” e parte integrante del patrimonio librario della biblioteca civica. Ma l’attività più importante è stata certamente l’indagine archeologica curata dal dott. Fabrizio Mollo in località Sant’Angelo. Mollo ha consentito di riportare alla luce un’antica fornace risalente al Medioevo utilizzata per la produzione di laterizi vari. Tali reperti, a seguito d’opportuni accertamenti e analisi, andranno ad accrescere il già ampio patrimonio archeologico del Museo dei Brettii e del Mare. Nel corso delle suddette giornate, inoltre, si è promosso il così detto “Turismo Accessibile”, volto a persone colpite da handicap e che ha avuto luogo presso il Centro “Oasi Federico” di Belvedere M.mo. I partecipanti al Work Camp hanno potuto alternare, poi, lieti momenti di svago e di relax, tutti all’insegna della cultura e del sapere. I volontari, infatti, hanno preso parte, non solo alla Fiera Patronale di San Benedetto, ma hanno avuto la possibilità anche di ammirare le bellezze naturalistiche dei nostri luoghi, apprezzando i prodotti della cucina tipica calabrese. Rendiamo noto, inoltre, che nei prossimi giorni, probabilmente presso la Sala Congressi di Palazzo del Trono, si terrà una conferenza atta a illustrare le attività svolte e a fornire ulteriori ragguagli in merito all’indagine archeologica in atto. Un’esperienza, questa del Work Camp, che ha aperto una strada proficua e utile per Cetraro. Un evento, fanno sapere dall’Amministrazione comunale, destinato a ripetersi e che può essere considerato come punto di partenza per altre manifestazioni simili.

Fonte: http://www.cetraroinrete.it

CONTINUA L'ESTATE SORIANESE


Con la serata finale del Tuscia in Jazz Festival si conclude anche la prima parte dell’estate sorianese. Il calendario degli eventi finora ha regalato intense emozioni e soddisfazioni: il workshop europeo per l’iscrizione della faggeta del Monte Cimino nell’elenco dei patrimoni dell’umanità Unesco; Medioevo a Soriano, con degustazioni, spettacoli e scorci di vita medievale; il Premio Nazionale Pietro Calabrese, con la partecipazione di importanti personaggi del mondo calcistico. A tutto ciò hanno fatto da cornice numerose iniziative organizzate dalle attivissime associazioni presenti sul territorio di Soriano, coordinate dalla Pro Loco.
Il programma delle manifestazioni è ricco e variegato anche per i mesi di agosto e settembre. A partire da sabato 4 agosto quando, sul palco di Piazza Vittorio Emanuele II, si terrà il concerto della banda musicale di Soriano in sinergia con il corpo bandistico “Polimartium” di Bomarzo. Fino a domenica 5 agosto, invece, sarà possibile visitare nel suggestivo scenario di Castello Orsini l’esposizione nazionale delle arti contemporanee: “Beyond The City Walls” con le opere, alcune delle quali realizzate in loco, dei più grandi artisti internazionali della street art, da Obey a Fly Cat, da Peeta ad Hancock. Al Duomo sabato 11 agosto andrà in scena la Messa dell’Incoronazione di Mozart, straordinaria interpretazione del Tuscia Opera Festival con il supporto del coro polifonico di Soriano. Dopo il successo dell’estate scorsa, invece, verrà riproposto il Soriano Music Festival e, la sera di ferragosto, il tributo ai Pink Floyd con i Division Band in concerto. Il mese di agosto si concluderà con il Festival Risonando De Andrè: competizione tra band, selezionate dal direttore artistico Pier Michelatti, sulle note del mitico Faber. Alla fine del Festival ci sarà Teresa De Sio in concerto. Sono previste anche numerose iniziative culturali sui personaggi illustri legati al territorio di Soriano nel Cimino. Nel pomeriggio di sabato 11 agosto, in sala consiliare, si terrà una conferenza sul filologo Ernesto Monaci. Sabato 8 e Domenica 9 settembre si svolgerà il Festival Pirandello Oltre, mentre domenica 30 settembre, presso la Torre di Chia, verrà proposto lo spettacolo “I fanciulli e gli elfi” di Pier Paolo Pasolini, manifestazione curata dal Gruppo Archeologico Roccaltia. Infine è bene ricordare che attraverso la pagina “Soriano Eventi”, sul sito web del Comune, cittadini e turisti possono consultare il calendario aggiornato degli spettacoli, con la possibilità di inviare commenti e suggerimenti.

Alessandro Troili
(Vice Sindaco del Comune di Soriano nel Cimino)

lunedì 30 luglio 2012

FESTA VIP PER RUSSI A MONTERIGGIONI

Il turismo dell’Est scopre il fascino del Medioevo. Un’agenzia italiana del nord del Paese, specializzata nell’organizzazione di soggiorni turistici di elevato standing, ha scelto il Castello di Monteriggioni come location per una serata Vip, dedicata ad un nutrito gruppo di giovani dell’alta società russa, che si sono avvicinati con molta curiosità e rispetto alla storia del baluardo militare dell’antica Repubblica di Siena. L’associazione di cultura medievale Agresto ha organizzato per l’occasione una spettacolare coreografia, ispirata alla famosa festa medievale di Monteriggioni, con spettacoli di danza, duelli e falconeria. Dopo il banchetto in un ristorante locale, gran finale con uno spettacolo notturno di fuochi d’artificio, per il divertimento di tutti gli altri turisti italiani e stranieri che hanno potuto apprezzare la cinta muraria illuminata a giorno.

domenica 29 luglio 2012

QUANDO ESSERE BANCHIERI ERA PECCATO

Quando fare il banchiere era peccato (e grave: usura), cioè nel medioevo e nel Rinascimento, non mancava comunque un modo per salvarsi l’anima. Come? Attraverso operazioni di marketing ben studiate, come quella che ha portato Enrico Scrovegni alla creazione della Cappella affrescata da Giotto, il pittore di grido dell’epoca. Oppure consistenti donazioni, che alleggerivano il portafogli ma, per fortuna, anche l’anima. Anche i banchieri hanno (avuto) un’anima. Soprattutto nei tempi in cui a fare i banchieri si rischiava di dannarsela per sempre, quell’anima. Intanto non si diceva banchieri, ma usurai.

sabato 28 luglio 2012

A FENIS RITORNO AL MEDIOEVO



Una rievocazione storica ambientata nel 1340, epoca in cui il Signore Aimone di Challant inaugurava il suo castello di Fénis. Organizzata oggi a Tzanté de Bouva di Fénis, dal locale gruppo storico «Le Cors dou Heralt», il cui nome ricorda la corsa dell’araldo indispensabile per le comunicazioni tra castelli, in collaborazione con l’assessorato regionale alla Cultura, prevede la partecipazione di diciassette gruppi storici, dalla Valle d’Aosta, dal Piemonte, dalla Liguria e dal Canton Ticino. La manifestazione s’aprirà alle 9 con l’allestimento di un mercatino a tema ed entrerà nel vivo alle 14, quando arriveranno i gruppi storici.

«Alle porte del castello – dice il presidente del locale gruppo Francesco Canio – il signore di Fénis Aimone di Challant con la consorte Florina di Leinì, i loro figli, le dame e i nobili di corte, accoglieranno le Signorie, i castellani e gli uomini d’arme valdostani, piemontesi, liguri e d’altre terre, invitandoli a unirsi a loro per una gaudiosa giornata di caroselli e disfide in cui gli Araldi saranno i protagonisti».

venerdì 27 luglio 2012

L'ONDINA SICILIANA

Nulla di meglio di una bella nuotata al chiaro di luna, nulla davvero per rinfrancare i muscoli e darsi un po’ di svago con gli amici. Così, il ragazzo si avvicina deciso alla sponda, calca volutamente le orme nella sabbia fina per avvertire meglio la frescura della riva. Abbandona i vestiti poco lontano dalla spuma, mentre attorno i suoi amici stanno già ruzzolando oltre i flutti, sotto l’acqua placida illuminata dal chiarore lunare che ha appena preso il posto del rosso intenso del crepuscolo. Il nuoto, adesso. Svago, certo, ma al contempo pratica sportiva obbligata ed a buon mercato per chi non può permettersi esercizi ginnici di sorta, per i figli del volgo che coi gran signori hanno davvero poco a che spartire. Allora avanti, nell’abbraccio dell’acqua scura, tra la schiuma alzata dai compagni. A lunghe bracciate, il ragazzo si allontana in fretta dalla riva, fende sicuro le acque finché non si arresta. Qualcosa non torna. Qualcosa di troppo, specialmente in quello schema semplice di mare notturno in cui i rumori si perpetuano sempre uguali a sé stessi. Un gorgoglìo alle sue spalle, forse l’indizio di uno dei suoi compagni accorsi per tirargli qualche scherzo. Il guizzo è repentino, e precede con astuzia la mossa che il ragazzo crede sia destinata a lui. Svelto di mano e di nervi, si china nell’acqua in cerca della testa dell’assalitore, le mani che brancolano nell’oscurità fino ad aggrapparsi a qualcosa di vivo. Una chioma. Ma sono capelli troppo lunghi per appartenere ai compagni. Eppure, ormai la presa è salda. Meglio approfittarne e vederci chiaro, dunque. Sott’acqua nuovamente, e via in tutta fretta verso la riva, verso l’aria e la luce lunare. Una donna. E docile, tutto sommato. Tanto da seguirlo spontaneamente e senza fare una piega fuori dal mare. Bellissima. Muta. Il giovane, vinto dall’avvenenza della sua preda, consuma tante, troppe parole rivolgendosi a lei. Le chiede chi sia, da dove venga e cosa faccia sola a quell’ora di notte in mare. A poco vale il conforto del mantello che il ragazzo dispiega sulle sue spalle tremanti. Consumano in fretta la strada verso la casa del nuotatore, abbracciati nella nebbia debole che sale dal litorale. Sull’uscio il ragazzo ritrova la madre in attesa, le affida la sconosciuta affinché venga accudita, consolata, abbigliata con le vesti più degne della sua insolita bellezza. Grata e cortese, la naufraga occupa una povera sedia, al centro tra il ragazzo e la madre. Grata, cortese e tuttavia muta alle risposte dei due come di tutti coloro che transitavano per la capanna, e che invano le chiedevano lumi. Tutt’al più accennava risposte coi segni ad alcune domande, ma mai disse nulla circa la sua famiglia, la patria che aveva lasciato dietro di sé o la cagione del suo raggiungere quella contrada. Estranea, eppure familiare a tutto ciò che le accadeva intorno in un’abitazione non sua in cui però agiva e viveva da consanguinea, tanto amichevole e devota agli usi del paese da annuire con soddisfazione se interrogata sulla sua fede nel Dio dei Cristiani. Passavano i giorni e cresceva la familiarità, al punto che alcuni si arrischiarono a chiederle se non avesse maturato intenzione di coronare l’amore che il giovane ormai provava senza timore per lei sposandolo. La naufraga chinò il capo in segno di assenso, e posò la mano in quella del suo raggiante pescatore. A giorni, anche la madre del giovane prese in considerazione la cosa, ed inaugurò i preparativi solenni informando tutto il villaggio, convocando il prete che in chiesa benedisse l’unione tra il ragazzo e la sua muta – e priva di dote - consorte. I due si amarono teneramente nei giorni, sempre più felici della loro nuova vita insieme. A coronamento dell’unione, la donna concepì e diede alla luce un figlio, che curava con smisurato amore non allontanandolo mai dal suo grembo. Lo allattava, lo lavava, lo fasciava con tenerezza inaudita, mentre il suo cuore di mamma si gonfiava giorno dopo giorno. In occasione di una innocua passeggiata, il padre tenne una singolare conversazione con un amico, che si era fatto preciso dovere di informarlo di come, a suo parere, quella strana sposa apparsa dal nulla, senza passato e senza favella, più che una donna potesse essere una creatura stregata. L’uomo rigettò con convinzione le parole del compagno, ma non riuscì a non ripensare a quando, poco prima delle nozze, il vescovo in persona lo avesse fatto convocare per manifestargli le sue ecclesiastiche perplessità circa quella strana femmina venuta dal mare. Assediato nuovamente dal medesimo ordine di dubbi, il giovane ormai padre iniziò ad assistere al tracollo della sua convinzione un tempo granitica circa quell’unione che tutti attorno a lui giudicavano infausta. Sotto pressione ed attanagliato da un soffocante velo d’ansia, mutò la sua natura divenendo cupo e taciturno, offuscato nella gioia di vivere da quel sospetto che con dovizia di tarlo gli rodeva insistentemente l’anima. Ritrovato l’amico che lo aveva indirizzato lungo la via del dubbio, i due orchestrarono un piano. Rientrato in casa, l’uomo avrebbe sguainato la spada di fronte alla moglie ed al bambino, minacciando apertamente la prima che, se non gli avesse rivelato la verità occultata, egli avrebbe reciso la vita del frutto del loro amore. Così l’uomo fece. La sua sposa indietreggiò, madida di sudore e di paura, ma non aprì bocca finché non vide la lama avvicinarsi alle carni del bambino. Fu allora che ruppe il suo lungo silenzio. “Oh misero!” disse alla sposo livido, “costringendomi a parlare perdi una sposa preziosa.” Ed in lacrime aggiunse amara “sarei rimasta con te ed avrei continuato a farti del bene, se solo mi avessi permesso di osservare il silenzio che mi è stato imposto. Ecco, ora ti parlo perché mi costringi, ma dopo avermi udita non mi vedrai mai più.” Così parlò la naufraga del mistero, per poi scomparire mentre l’uomo cadeva in ginocchio, vinto dal terrore del gesto malvagio che aveva messo in atto. I giorni passarono, ed il fanciullo ebbe una vita ed un’infanzia proprio come tutti i bambini del suo villaggio. Eppure, di quando in quando, lo trovavano a girovagare lungo la riva del mare. Proprio nei pressi del tratto in cui anni prima era stata rivenuta la madre ora sparita. Giochi di bambini, pensavano tutti, usuali in un borgo affacciato sull’acqua. Ma un dannato giorno d’estate, durante una delle sue gite, il bambino entrò in acqua per un bagno. Fece appena qualche passo lontano dalla riva, prima che due braccia di donna gli cingessero la vita e lo trascinassero giù , verso il fondo del Mare di Sicilia, nel regno da cui la sua stregata madre proveniva ed ove ora proprio lei rivendicava il suo ruolo di genitrice occulta. Nessuno lo vide mai più, nemmeno il padre, rimasto ormai solo con i cocci dei suoi sogni di cristallo, impossibili da riparare. Una storia leggendaria, non c’è dubbio. La leggenda dell’Ondina Siciliana.
Undine, olio su tela di John William Waterhouse, 1872 (fonte: wikipedia.org).



















Neanche tanto dissimile da miti affini di demoni femminili come quelli di melusiniana memoria. Fantasia. Vezzo. O almeno così sembra, visto che c’è chi giura che sia accaduto realmente, in terra di Sicilia. E’ Goffredo di Auxerre, abate di Chiaravalle e sodale del ben noto Bernardo, che si prende la briga di riportare questa vicenda, testimoniata da un suo amico religioso al seguito della corte di Re Ruggiero, tra le pagine del suo Super Apocalypsim.
L’Abbazia di Chiaravalle, nei pressi di Milano (fonte: giudittadembech.it).















E’misteriosa, la cronaca della fata-demone, perché riporta una variante insolita del mostro teriomorfo femminile per eccellenza. Sirena. In greco sýrô, attraggo, e seiràô, incateno. Nell’ebraico antico sir o scir, canto. Un frammento vivente di mitologia dei popoli, rispetto alla macro-famiglia delle quali, quella delle ondine va tenuta in assoluto conto per i legami solidi con il regno degli elementari d’acqua tanto caro al principe degli alchimisti, lo svizzero Paracelso.
Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, detto Paracelsus o Paracelso (fonte: wikipedia.org).
















Affini alle fate, eppure prive d’anima e dunque destinate a restare fuori dai cancelli del Paradiso dopo il trapasso, guadagnano redenzione e pietà divina solo catturando l’amore di un uomo, portandolo all’altare, generando un figlio. Comunemente diffuse nei laghi, nelle acque di foresta e nelle cascate, non disdegnano però di adattarsi al mare, come nel nostro caso siciliano. Hanno voci sopraffine. Tanto soprannaturali da doverle occultare (insieme alla loro stessa magica origine) ai mortali, troppo sciocchi per poterle contemplare. Tanto sottili, ancora, da poterle confondere a piacimento col tenue scrosciare dell’acqua. Sanno essere crudeli oltre ogni dire, catturando così saldamente l’attenzione degli uomini da condurli all’inebetimento ed alla morte, proprio come le sirene omeriche e l’insidiosa Lorelei del Reno. Ma possono alle volte essere gentili, come insegna il Nibelungenlied nel quale i Burgundi vengono avvisati dalle ondine stesse, mentre valicano il Danubio, della pericolosità del viaggio che hanno intrapreso. Sta proprio in questo la loro natura più radicale e peculiare. Vaticinatrici infallibili, e come tali capaci di portare con sé il peso delle sovente oscure profezie che, nel loro essere creature soprannaturali in cerca di un riscatto per l’anima diafana capitata loro in sorte, si sforzano di custodire fino all’amaro epilogo.

Articolo di Simone Petrelli. Tutti i diritti riservati

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CONFERENZA "CARLO MAGNO ED IL SACRO ROMANO IMPERO"

Ultima conferenza di  "LUCI NEL MEDIOEVO"promosso da  Associazione Archeosofica  presso il parco De Riseis - Lungomare Matteotti,3  a Pescara - Domani 28 luglio ore 21,30: "CARLO MAGNO ED IL SACRO ROMANO IMPERO". Carlo Magno rappresenta indubbiamente uno dei personaggi più affascinanti del MedioEvo. Un personaggio, però, avvolto nel mistero e assai difficile da “inquadrare” a causa, anche, delle esigue notizie storiche e biografiche in nostro possesso. Un personaggio che, quando necessario, non rinunciò ad usare modi talora estremamente rigorosi per affermare il diritto e la fede, che alla mentalità comune di oggi possono apparire brutali. Nel parlare di questo personaggio non si può, tuttavia, non tenere di conto del momento storico e del contesto in cui Carlo Magno si trovò a dover vivere e operare. 
l’Idea che guidò l’azione di Carlo Magno fu quella della restaurazione di un SACRO ROMANO IMPERO ovvero UNIRE l’Occidente sotto un Unico Regno a carattere Politico e Spirituale ad un tempo, ad immagine e somiglianza del “Regno Celeste” sotto la Guida di un “Re gradito a Dio”.

giovedì 26 luglio 2012

PARCO ROCCA DI NARNI

La fortezza forma di quadrilatero, presenta quattro torri angolari quadrate e il mastio, più alto e possente, formato dall'unione di due torri. Immersa in un suggestivo paesaggio coronato da olivi su un colle a 332 metri a dominio della valle del Nera, circondata da un fossato e da una doppia cinta muraria, ospita internamente una cappella e una cisterna in travertino che si apre sul cortile. Al primo piano si trova la residenza signorile, mentre altre stanze servivano per la guarnigione. Attualmente è patrimonio comunale e, dopo anni d'impegnativi restauri, è tornata all'antico splendore. Nelle giornate di apertura del parco ed in occasione di eventi speciali, potrete gustare piatti tipici locali nel nostro ristoro con la possibilità di desinare all’interno di due grandi riproduzioni di tende del XV secolo. Nella Rocca è presente un'area riservata alle serate di gala, cornice ideale per ospitare banchetti nuziali, cene aziendali e convivi d’ogni sorta. La Rocca di Narni è anche dotata di una Cappella, casa comunale, dove è possibile celebrare dei matrimoni civili e di una moderna sala conferenze dotata di 80 comodi posti. Attività didattiche e laboratori di vario genere per istituti scolastici e centri estivi. Stage di formazione di base e superiore, per musicisti attori e animatori." 

Informazioni sul sito: www.roccadinarni.it

CANONIZZAZIONE NEL MEDIOEVO

È col progressivo crollo dell'Impero romano d'Occidente ed i sempre più frequenti contatti con le varie popolazioni barbariche che si avvia un cambiamento di rilievo, sempre più accentuato con l'inizio del Medio Evo: vede la luce una forma embrionale di processo di canonizzazione, operato dai vescovi che autorizzano la venerazione dopo una sommaria inchiesta e la redazione della Vita del santo, ovvero una sorta di biografia agiografica contenente i suoi miracoli. Si parla in questo periodo di "canonizzazione vescovile". È fino al X secolo che la liceità del culto era determinata dall'approvazione del vescovo: la canonizzazione vescovile risponde allo stimolo della vox populi. È poi nel 993 che per la prima volta il prestigio del caso viene legato al sinodo romano e il 31 gennaio papa Giovanni XV canonizza solennemente sant'Ulrico di Augusta.

BEATIFICAZIONE


La beatificazione nel Cattolicesimo è il riconoscimento formale, da parte della Chiesa, dell'ascensione di una persona defunta al Paradiso e la conseguente capacità di intercedere a favore di individui che pregano nel nome della persona beatificata, la quale però non può ancora rientrare formalmente tra i santi, il che richiede un processo più lungo, la canonizzazione. Nel primo millennio e fino al XII secolo i vescovi potevano autorizzare il culto di un cristiano defunto nella loro diocesi o in una sua parte. Tuttavia, frequenti abusi e disparità da parte dei vescovi già alla fine dell'XI secolo convinsero i papi a limitare il potere dei vescovi e raccomandarono l'esame di miracoli e virtù a un concilio. In particolare questa linea fu seguita dai papi Urbano II, Callisto II ed Eugenio III. A rivendicare la giurisdizione papale sulle beatificazioni fu per primo papa Alessandro III a metà del XII secolo, sebbene sia dibattuta l'importanza e l'applicazione del suo decretale che proibiva il culto di persone non autorizzato dalla Sede Apostolica. Lo stesso Alessandro III non solo permise, ma ordinò il culto del beato Guglielmo di Malavalle nella diocesi di Grosseto. Nel XIV secolo, il Papa cominciò ad autorizzare il culto di alcuni santi solo in ambito locale prima che fosse completato il processo di canonizzazione. Tale pratica è all'origine della procedura di beatificazione, in cui una persona è detta beata. Il culto pubblico del beato è universale nella recita del martirologio, mentre le altre celebrazioni liturgiche, l'Eucaristia e la liturgia delle Ore, sono approvate in ambiti più ristretti (singole diocesi o famiglie religiose). Il 25 gennaio 1525, papa Clemente VII concesse un indulto ai Domenicani del Convento di Forlì per celebrare la messa del beato Giacomo Salomoni ogni volta che, durante l'anno, la loro devozione li spingesse a farlo. Questo indulto è considerato importante nella storia delle celebrazioni liturgiche dedicate ad un beato, tanto da risultare come il più antico citato da papa Benedetto XIV nel documento De canonizatione.

Fonte: Wikipedia

mercoledì 25 luglio 2012

BINZAGO, UN TUFFO NEL MEDIOEVO

Per chi raggiungerà il prossimo fine settimana i piccoli borghi di Binzago e San Lino di Agnosine potrà fare un viaggio nel tempo e calarsi in un’atmosfera medievale. Sabato 28 e domenica 29 luglio , infatti, per iniziativa della Pro loco di Binzago San Lino, va in scena “Binzago Medievale”. Il borgo comincerà ad animarsi a partire dalle 17 con il mercato medievale, le botteghe artigiane e le taverne, allietato da musici e giocolieri. Sarà allestito anche un accampamento medievale dove i cavalieri si daranno battaglia. Per poter degustare i prodotti del borgo sarà necessario rivolgersi prima al banco del cambio per cambiare le monete per poter consumare. Lungo il percorso saranno collocati dei punti ristoro, mentre alle 20.30 sarà proposta una cena medievale curata dall’associazione Sestiere Castellare di Pescia (Pistoia) (prenotazione obbligatoria al num. 334.9886807 oppure 0365.896894). La serata proseguirà fra giullari, musici e cantastorie e si concluderà con il processo e il rogo della strega. Domenica mattina alle 9 è prevista la messa presso il santuario di San Lino con la partecipazione del coro Madonna di Calchere. A seguire il borgo medievale riprenderà vita con tutte le attrazioni del giorno prima. Alle 10 e alle 14.30 sono in programma delle visite guidate alle chiese e al borgo di Binzago con partenza dal santuario di San Lino (con Chiara Gafforini). Per pranzo sarà servito lo spiedo, anche da asporto (prenotazioni ai num. 334.9886807, 0365.860700). Nel pomeriggio proseguiranno le animazioni per per grandi e piccini e alle 17.30 andrà in scena la Giostra medievale con i Cavalieri della Guardia. Nelle due giornate sarà possibile provare il battesimo della sella per tutti i bambini. Alle 23 si concluderà la due giorni di festa con un grande spettacolo.

CENE DUELLI E STREGHE A PERGINE


«Vogliamo che le Feste Medievali diventino qualcosa che gli assenti si rammaricheranno di non aver visto». Alla presentazione della 7ª edizione di un’iniziativa che vuole far parte della tradizione estiva perginese, l’ha detto Paolo Stefani, il presidente della Pro loco e un po’ il “patron” della manifestazione che da venerdì a domenica sera occuperà le vie del centro storico, trasformandole in un borgo medievale dove passeggeranno dame e cavalieri, armigeri e villici. Dove prenderanno vita sfide e duelli, ma anche l’assalto al castello e il processo alla strega che tanta risonanza ha avuto l’anno scorso. E, ancora una volta, saranno coinvolti sindaco e giunta comunale. Con Silvano Corradi, appunto il primo cittadino, che ieri alla presentazione ha dichiarato la propria disponibilità a partecipare «in costume medievale» per quattro giorni consecutivi.
Quattro giorni, perché, se le Feste inizieranno ufficialmente venerdì per concludersi domenica sera, già domani sera, giovedì, ci sarà un prologo. Si tratta della proposta già annunciata dal Trentino la settimana scorsa, e cioè la cena offerta (su versamento di 16 “perzin”) in via Maier, su una tavola imbandita lunga decine e decine di metri. E sarà una cena in costume, per tutti quelli che saranno poi protagonisti delle giornate successive.
Domani, la cena. Ecco il menù: «Formagella et nostro salame come antecena, sopa de fogliammischiate de lo horto cum farro, panem, vino bono de bacche rosse de la casa cum fructa fresca de stascione ed acqua de la fonte, costoletta de porcellotto stascionato bono, bono, a la gratella, cauli conciati in agresto al modo nostro, panem dolcem cum fichi e miele». Una cena che appagherà «a dame e messeri lo palato, lo spirito e lo becco». Venerdì sera, il corteo in costume sfilerà per le vie di Pergine e una giuria (anch’essa in costume) assegnerà un premio al miglior gruppo. Sabato, sarà protagonista la strega. Autore della serata è Roberto Bencivegna, con il suo gruppo comico: «Fate uno più uno - ha anticipato - e individuerete chi vestirà i panni della strega». Ma in tanti saranno processati e giudicati: «Senza oltrepassare i limiti», ha auspicato Corradi.
Sabato pomeriggio, ci sarà anche l’atteso e spettacolare assalto al castello (alle 18), mentre domenica sera è prevista la tradizionale firma del trattato di pace in piazza Municipio. Insomma, le vie di Pergine centro si animeranno di antichi rumori e di antichi sapori, saranno affollate di bancarelle e stand con antichi mestieri. Sono annunciati oltre cinquanta banchetti e poi gli accampamenti e gli arcieri storici de Persen. E, accanto a queste “antichità”, non mancheranno le più moderne attrezzature per vedere gli spettacoli via satellite.

Articolo di Roberto Gerola sul sito http://trentinocorrierealpi.gelocal.it

martedì 24 luglio 2012

MEDIOEVO A SAN MARINO DAL 26 LUGLIO

Il centro storico di San Marino torna a pulsare al ritmo delle Giornate Medioevali. Da giovedì 26 luglio l’atmosfera del medioevo tornerà ad avvolgere San Marino, coinvolgendo tutte le vie del Centro Storico. Tra spettacoli di musica, cortei storici, tornei di balestra, giochi di bandiere, cartomanti e giullari, arcieri, antichi mestieri e menu secolari, le Giornate Medioevali faranno ancora rivivere fino a domenica usi e costumi di mille anni fa, regalando ai turisti un’esperienza indimenticabile. “La rievocazione delle Giornate Medioevali – spiega il Segretario di Stato Berardi – è ispirata agli antichi Statuti del 1300 e fa rivivere tradizioni secolari di cui le nostre mura sono ancora intrise”. “E’ un appuntamento gradito ai sammarinesi e ai turisti grazie a un programma di attrazioni, eventi, ambientazioni, sempre più ricco, fedele alle nostre tradizioni e perfettamente in sintonia con l’assetto urbanistico e la storia di San Marino, che, proprio nel medioevo, delineava il quadro istituzionale di riferimento e un modello democratico esemplare e unico in Europa”. “Auguro a tutti di vivere San Marino lanciandosi alla sua scoperta guidati dalla musica, da un corteo, da un giullare o da una dama fino a conoscerne le più suggestive sfaccettature, aiutati dalle ghiottonerie dei tempi andati e dalle emozionanti rievocazioni spettacolari”. “Le Giornate Medioevali sono ormai la festa nazionale del medioevo e sono un elemento che contraddistingue l’estate a San Marino. Ringrazio quanto rendono possibile la realizzazione di un evento di anno in anno sempre più ricco e articolato: l’Ufficio del Turismo, le associazioni culturali dei gruppi storici, dei musici, dei figuranti, di arcieri, balestrieri e sbandieratori, i ristoratori che propongono menu originali a tema, tutte le maestranze che curano i diversi allestimenti e tutti coloro, commercianti inclusi, che contribuiscono a creare un’ atmosfera accogliente per i visitatori”.

LA COCCA

La cocca fu una tipologia di nave medievale, di forma rotonda, che poteva raggiungere una stazza di 1000 tonnellate. Essa può essere considerata la più importante delle navi a vela che seguirono il periodo della navi a propulsione mista - remi e vele. La cocca possedeva un ponte scoperto, sotto il quale un unico vano costituiva la stiva. Successivamente, si aggiunse un ponte coperto più piccolo a prua e uno maggiore a poppa. Possedeva un solo albero con una sola vela, quadra e di grandi dimensioni. Essa nasce nei mari del nord, probabilmente intorno al XII secolo, per far fronte alla necessità di adeguare l'incremento dei commerci via mare con navi sempre più capaci e sempre più in grado di ben veleggiare sia in condizioni di mare calmo che di mare agitato. Si sviluppa quindi un nuovo tipo di nave chiamata cocca anseatica. Le cocche anseatiche presentavano un disegno che abbandonava la prua ricurva delle precedenti navi e mostravano una prua dritta, formante un angolo di circa 60 gradi, fissata da una lunga chiglia dritta con un dritto di poppa anch'esso dritto, formante un angolo di 75 gradi. L'attrezzatura velica presentava vela quadra con bracci e boline in modo che la vela potesse essere orientata per procurare il movimento in avanti della nave con vento al traverso. La nave presentava i castelli di prua e di poppa, utilissimi in caso di scontro armato, non infrequente in tempi in cui la pirateria era l'altra faccia della medaglia dell'attività mercantile. La vela quadra era dotata di matafioni di terzarolo lungo il bordo inferiore in modo che il bordame venisse assicurato con i matafioni.

Fonte: Wikipedia

PIENO MEDIOEVO

Il Medio Evo detto «classico» o «centrale» o «pieno Medioevo» è il periodo intermedio che collega il Basso Medioevo e l'Alto Medioevo, e si estende nei secoli XI, XII e XIII, corrispondendo quindi ad un apogeo del Medioevo, da cui i concetti di "Alto", poi di "Basso". Infatti, quando gli storici cristiani hanno diviso questo periodo della storia in tre, essi hanno determinato che questo culmine non poteva che essere associato con l'età d'oro delle Cattedrali romaniche (fine XI, XII secolo) e poi gotiche (soprattutto nei secoli XI e XII). Queste denominazioni di alta e bassa sono ovviamente soggettive, come la nozione di Medioevo, che è stato inventato nel tempo moderno, da filosofi dell'Illuminismo che volevano svalutare il Medioevo, a beneficio di quello che chiamavano il "Rinascimento". Il periodo considerato è quindi quello che va dall'XI al XIII secolo (c. 1000–1300) cui fa seguito il Basso Medioevo, il quale termina convenzionalmente prima del 1500 (di solito 1492, anno della scoperta dell'America). Nella storiografia italiana il periodo del Pieno Medioevo o Medioevo classico è talvolta compreso nel Basso Medioevo.

Fonte: Wikipedia

AGOSTINO DI CANTERBURY


Agostino di Canterbury, in latino Augustinus Cantiacorum (Roma, 13 novembre 534 – Canterbury, 26 maggio 604), è stato un monaco romano e primo arcivescovo di Canterbury. Venerato come santo da cattolici e anglicani, è conosciuto anche come l'Apostolo d'Inghilterra. Fu infatti inviato presso il re (Bretwalda) Ethelbert del Kent, in Inghilterra, da papa Gregorio I nel 597. Fu accompagnato da san Lorenzo, secondo arcivescovo di Canterbury. Dopo l'invasione dei Sassoni (V-VI secolo), in Britannia si era diffuso il paganesimo e l'idolatria, in precedenza soppiantati dal cristianesimo. La situazione vide un'inversione di tendenza quando il re del Kent Etelberto, sposò Berta, figlia del cristiano Cariberto, re di Parigi. Ella, portando con sé il cappellano Liudhard, eresse una chiesa a Canterbury (forse ne restaurò una già esistente), dedicandola a san Martino di Tours, patrono della sua famiglia (i Merovingi). Etelberto era pagano, ma si dimostrò molto tollerante e permise alla moglie di adorare il proprio Dio. Berta poté così organizzare una piccola comunità con tanto di sacerdoti. Etelberto, interessato al nuovo culto, chiese a papa Gregorio I di inviare dei missionari. Gregorio affidò il compito a un gruppo di 40 monaci benedettini del monastero romano di Sant'Andrea sul Celio, di cui Agostino era priore.

IL FANTASMA DI AZZURRINA


Azzurrina, secondo la leggenda, sarebbe stata la figlia di un certo Ugolinuccio di Montebello, signore di Montebello (RN) nella metà del Trecento. Stando al racconto popolare, Azzurrina sarebbe misteriosamente scomparsa prematuramente andando così ad alimentare una leggenda popolare molto conosciuta in Romagna. La leggenda di Azzurrina sarebbe stata tramandata oralmente per tre secoli, presumibilmente venendo di volta in volta distorta, modificata, ampliata, abbellita. Solo nel Seicento un parroco della zona la mise per iscritto assieme ad altre leggende e storie popolari della bassa Val Marecchia. Guendalina era una bambina albina. La superstizione popolare del tempo collegava l'albinismo con eventi di natura magica se non diabolica. Per questo il padre aveva deciso di farla sempre sorvegliare da un paio di guardie e non la faceva mai uscire di casa per proteggerla dalle dicerie e dal pregiudizio popolare. 

ARTE LONGOBARDICA

L'arte longobarda comprende le manifestazioni artistiche realizzate in Italia durante il Regno dei Longobardi (568-774), con residuale permanenza nell'Italia meridionale fino al X-XI secolo (Langobardia Minor). Al loro ingresso in Italia, il popolo germanico orientale dei Longobardi portò con sé la propria tradizione artistica di matrice germanica, anche se già influenzata da elementi bizantini durante il lungo soggiorno del popolo in Pannonia (VI secolo); tale matrice rimase a lungo visibile soprattutto negli elementi ornamentali dell'arte (simbolismo, decori fitomorfi o zoomorfi). In seguito al radicarsi dello stanziamento in Italia, ebbe inizio un vasto processo di fusione tra l'elemento germanico e quello romanico (latino-bizantino), che diede vita a una società sempre più indistinta (quella che, da lì a breve, sarebbe emersa come sic et simpliciter "italiana"). In un simile contesto, per "arte longobarda" si intende genericamente l'intera produzione artistica prodotta in Italia durante gli anni del dominio longobardo, soprattutto durante il VII-VIII secolo ma anche più avanti, fino al IX secolo e oltre (soprattutto al sud): indipendentemente, quindi, dall'origine etnica dei vari artefici, tra l'altro spesso impossibile da definire. Un insieme di sette luoghi densi di testimonianze architettoniche, pittoriche e scultoree dell'arte longobarda, compreso nel sito seriale Longobardi in Italia: i luoghi del potere, è stato inscritto alla Lista dei patrimoni dell'umanità dell'Unesco nel giugno 2011. Già prima della discesa in Italia la principale espressione artistica dei Longobardi era stata quella legata all'oreficeria, che fondeva le tradizioni germaniche con le influenze tardo-romane recepite durante lo stanziamento in Pannonia (fine V-inizio VI secolo). Risalgono a questo periodo iniziale molte fibule e le crocette in lamina d'oro lavorata a sbalzo, che presero il posto delle monete bratteate di ascendenza germanica già ampiamente diffuse come amuleti. Le crocette, secondo una tipologia di origine bizantina, erano usate come applicazioni sull'abbigliamento. Gli esemplari più antichi presentano figure di animali stilizzati ma riconoscibili, mentre in seguito furono decorate con intricati elementi vegetali, all'interno dei quali comparivano talvolta figurine zoomorfe. Rientrano nella produzione di alto livello le croci gemmate, come la Croce di Agilulfo conservata al Museo e Tesoro del Duomo di Monza (inizio del VII secolo), con pietre dure di varie dimensioni incastonate a freddo in maniera simmetrica lungo i bracci. Un altro esempio simile è la copertura dell'Evangeliario di Teodolinda, dove sulle placche d'oro sono sbalzate due croci con un motivo decorativo simile (603, secondo la tradizione). Era in uso anche una tecnica di incastonatura a caldo, dove si usavano pietre e paste vitree fuse e versate in una fitta rete di alveoli. Altri capolavori, di datazione più discussa, sono la Chioccia con i pulcini e la Corona Ferrea. La produzione e la decorazione di armi prese in prestito alcuni stilemi dell'oreficeria e sviluppò anche caratteri propri. Grazie ai corredi funebri ritrovati, si è venuti a conoscenza di grandi scudi da parata in legno ricoperto di cuoio, sui quali potevano venir applicate sagome in bronzo: per esempio nello Scudo di Stabio (Berna, Historisches Museum) erano inchiodate figurine di animali e figure equestri senza precedenti, di immediato e raffinato dinamismo. Talvolta si cercava di recuperare modelli classici, come nella lastra frontale di elmo della Val di Nievole, detta Lamina di re Agilulfo, risalente agli inizi del VII secolo e oggi conservato a Firenze (Museo del Bargello), dove alcune figurine compongono una parata regale, che rappresenta simbolicamente il potere sovrano, con due vittorie alate quasi caricaturali, ma che testimoniano lo sforzo di riusare modelli antichi secondo il sintetico sentire longobardo. L'attività architettonica sviluppata in Langobardia Maior è andata in gran parte perduta, per lo più a causa di successive ricostruzioni degli edifici sacri e profani eretti tra VII e VIII secolo. A parte il Tempietto longobardo di Cividale del Friuli, rimasto in gran parte integro, altre costruzioni a Pavia, a Monza o in altre località sono state ampiamente rimaneggiate nei secoli seguenti. A Pavia, capitale del Regno longobardo, lo slanciato corpo centrale della distrutta chiesa di Santa Maria in Pertica (fondata nel 677) fu il riferimento per architetture successive; un esempio longobardo della stessa tipologia sopravvissuto fino a oggi è il Battistero di San Giovanni ad Fontes, nella vicina Lomello, mentre della chiesa di Sant'Eusebio oggi rimane solo la cripta. La principale testimonianza architettonica longobarda della Neustria al di fuori di Pavia è l'area archeologica di Castelseprio (Varese), della quale restano integri il Torrione di Torba e la Chiesa di Santa Maria foris portas, risalente all'ultimo scorcio dell'età longobarda e ospitante uno dei più raffinati cicli pittorici dell'Alto Medioevo. A Monza rimane una torre longobarda forse facente parte dello scomparso Palazzo Reale di Teodolinda e oggi inclusa nell'abside del Duomo. Altre tracce di architettura longobarda in area lombarda sono la basilica Autarena di Fara Gera d'Adda e la chiesa di Santo Stefano Protomartire di Rogno, in provincia di Bergamo, e a Brescia la chiesa di San Salvatore. In tutti questi edifici le vestigia longobarde costituiscono il residuo di quanto esisteva prima dei pesanti rimaneggiamenti avvenuti nei secoli successivi. Il monumento longobardo più famoso e meglio conservato si trova comunque a Cividale del Friuli, ed è il cosiddetto Tempietto longobardo, edificato verso la metà dell'VIII probabilmente come cappella palatina. È composto da un'aula a base quadrata, con presbiterio sotto un loggiato a tre campate con volte a botte parallele. La parte più interessante è il "fregio" con sei figure a rilievo di sante, in stucco, eccezionalmente ben conservate: le loro monumentali figure sono da collegare ai modelli classici, riletti secondo la cultura longobarda..
Testimonianze maggiormente fedeli alla forma originale si ritrovano, invece, nella Langobardia Minor, a Benevento, dove si conservano la chiesa di Santa Sofia, un ampio tratto delle Mura e la Rocca dei Rettori, unici esempi superstiti di architettura militare longobarda. A Spoleto, sede dell'altro grande ducato della Langobardia Minor, l'ispirazione monumentale dei duchi longobardi si manifestò nel rifacimento della chiesa di San Salvatore, già basilica paleocristiana del IV-V secolo e ampiamente rinnovata nell'VIII, e, a Campello sul Clitunno, il Tempietto del Clitunno. I migliori esempi di scultura longobarda si trovano a Cividale del Friuli ed a Pavia. Nel Museo Civico Malaspina di Pavia sono conservati due plutei dell'inizio dell'VIII secolo, provenienti dall'oratorio di San Michele alla Pusterla. Entro elaborate cornici con tralci ed elementi vegetali sono raffigurati dei pavoni che si abbeverano a una fonte sormontata dalla croce e dei draghi marini davanti all'albero della vita. Presentano un rilievo bidimensionale staccato incisivamente dal fondo, con un effetto calligrafico incisivo, che opera una stilizzazione altamente simbolica.
Sempre a Pavia è custodita la Lastra tombale del duca Adaloaldo, risalente al 718 e recante una lunga iscrizione arricchita da bassorilievi a soggetto vegetale.
Durante la cosiddetta Rinascenza liutprandea (inizio dell'VIII secolo, in particolare nel decennio 730-740 circa) furono scolpiti due opere di gran pregio ancora esistenti a Cividale:
  • L'altare del duca Ratchis, nel Museo Cristiano di Cividale, composto da un unico blocco di pietra d'Istria scolpito sulle quattro facce laterali con figure fortemente bidimensionali e con un netto distacco della parte scolpita, rispetto allo sfondo, come un disegno a rilievo. Questo effetto, assieme alla marcata stilizzazione delle figure e il senso calligrafico, fa assomigliare l'altare più ad un monumentale cofanetto eburneo.
  • Il Battistero di Callisto, sempre nel Museo Cristiano di Cividale, con due lastre scolpite molto simili all'altare del duca Ratchis (forse addirittura dello stesso autore) e figure simboliche legate al sacramento del battesimo (pavoni e grifoni alla fonte, leoni ed agnelli, simboli cristologici e degli Evangelisti, ecc.). Presenta una forma ottagonale ed è sormontato da arcate a tutto sesto sostenute da colonne corinzie. Anche sulle arcate si trovano iscrizioni e motivi decorativi vegetali, zoomorfi e geometrici.

Notevole è anche la raffinatezza esecutiva della lastra tombale di San Cumiano, presso l'Abbazia di San Colombano di Bobbio: risalente agli anni del regno di Liutprando, reca un'iscrizione centrale, racchiusa da una doppia cornice a motivi geometrici (serie di croci) e fitomorfi (tralci di vite). Inoltre all'interno della basilica abbaziale vi è un'antica vasca battesimale con decorazioni laterali (motivi a vimini). Ma le opere più importanti si trovano nella cripta ai lati del sepolcro di san Colombano, ossia due lastre tombali (plutei) dei due abati successori al santo irlandese sant'Attala e san Bertulfo; la prima raffigura un albero della vita con decorazioni celtiche femminili e maschili dei frutti dell'albero, il secondo pluteo è più complesso è definito anello della vita è costituito da due cerchi decorati raffiguranti la vita terrena e quella ultraterrena racchiusi da un ulteriore cerchio a forma di otto simboleggiante l'infinito e l'universo ed altri decori longobardi-celtici. Un esempio particolarmente interessante del rapporto tra committente e artefice in epoca altomedievale è il paliotto del duca Ilderico, databile intorno al periodo in cui Ilderico fu duca di Spoleto (739-742) e attribuita allo scultore Orso dall'iscrizione Ursus magester fecit. 
Alcune straordinarie testimonianze si trovano in alcuni monasteri della Langobardia Minor, in particolare in Campania, Molise e Puglia, risalenti soprattutto tra la fine dell'VIII e il IX secolo, avendo avuto i ducati longobardi di questa zona una sopravvivenza più lunga che nei territori a nord degli Appennini. Tra centri monastici più importanti vi furono il Santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano (fondato nel VI secolo), la potente abbazia di Montecassino (fondata nel 529 e molto attiva nel periodo dell'abate longobardo Gisulfo, 797-817), San Vincenzo al Volturno (fondato alla fine dell'VIII secolo). Nella cripta di San Vincenzo si è conservato un importante ciclo di pitture del tempo dell'abate Epifanio (797-817), con uno stile legato alla coeva scuola di miniatura beneventana, con colori luminosi e ricchi di lumeggiature, dal disegno piuttosto sciolto. Altri esempi di pittura nell'area campana si trovano nella chiesa di San Biagio a Castellammare di Stabia, la chiesa dei Santi Rufo e Carponio a Capua, nella Grotta di San Michele a Olevano sul Tusciano e nelle chiese di Santa Maria de Lama, Sant'Andrea della Lama e San Pietro a Corte a Salerno, ma i resti più importanti si trovano nella chiesa di Santa Sofia a Benevento, fondata nel 760 da Arechi II. Caratterizzata da una pianta centrale, con un'originale struttura con nicchie stellari, possiede tre absidi e notevoli resti di affreschi sulle pareti. Tra i rari esempi di arte di epoca longobarda sopravvissuti ai secoli, alcuni collocano anche gli affreschi della Chiesa di Santa Maria foris portas di Castelseprio, anche se la loro datazione è molto dibattuta ed oggi sembra propendere per un artista bizantino. Anche dal punto di vista dei contenuti simbolici il ciclo esprimerebbe una visione della religione perfettamente congruente con l'ultima fase del regno longobardo: eliminata, almeno nominalmente, la concezione di Cristo ariana, dove viene ribadita nelle scene dipinte la consustanzialità delle due nature, umana e divina, del Figlio di Dio.

Fonte: Wikipedia

ARTE BIZANTINA


L'arte bizantina si è sviluppata nell'arco di un millennio, tra il IV ed il XV secolo, prima nell'ambito dell'Impero romano, poi di quello bizantino, che ne raccolse l'eredità e di cui Costantinopoli fu capitale. Le caratteristiche più evidenti dei canoni dell'arte bizantina sono la religiosità, l'anti-plasticità e l'anti-naturalismo, intese come appiattimento e stilizzazione delle figure, volte a rendere una maggiore monumentalità ed un'astrazione soprannaturale. Infatti il gusto principale dell'arte bizantina è stato quello di descrivere le aspirazioni dell'uomo verso il divino. L'arte bizantina ha comunque avuto espressioni stilistiche molto diverse fra di loro nei suoi oltre mille anni di vita, ma nell'Impero d'Oriente l'arte rimase quasi invariata. La storia dell'arte bizantina potrebbe essere divisa in:
  • un primo periodo paleobizantino, dalla fondazione di Costantinopoli al VI secolo, nel quale inizialmente assorbe la produzione artistica di Roma, Alessandria d'Egitto, Efeso e Antiochia, ossia il linguaggio artistico dell'antichità, per elaborarlo e trasformarlo in un genere adatto soprattutto al suo mondo spirituale ma anche a quello imperiale.
Al primo periodo di formazione segue un secondo periodo denominato "prima età d'oro" (VI secolo), nel quale l'espressione artistica raggiunge alti livelli di qualità e produce capolavori. La terza fase è rappresentata da un periodo di involuzione che parte dal VII secolo e prosegue durante l'intera lotta iconoclastica (726-843), segue il periodo della cosiddetta Rinascenza macedone (IX-XI secolo), nel quale si recuperano modi espressivi dell'arte ellenistica oltre ad una certa vivacità e floridezza complessiva che si protrae e si innalza ulteriormente nel seguente periodo comneno (XII secolo), con un'arte di tipo linearistico, di notevole fioritura artistica da imporsi, per la sua eleganza e raffinatezza, su tutta l'arte europea dando vita ad una "seconda età dell'oro", che arriva fino alla caduta di Costantinopoli sotto i Latini (1204). Con la ripresa bizantina della capitale (1261) si ha l'ultimo periodo di fioritura con l'arte paleologa (detta anche Rinascenza paleologa, per il nuovo recupero dell'arte ellenistica), fino alla definitiva caduta della capitale sotto Maometto II nel 1453.
L'arte bizantina, con la sua ieraticità e il suo carattere a-spaziale, si richiama evidentemente al misticismo del cristianesimo nell'Impero Bizantino (Origene) ed è "coerente con il pensiero del tempo, in gran parte caratterizzato dal neoplatonismo di Plotino: la tecnica musiva è propriamente il processo del riscatto dalla condizione di opacità a quella, spirituale, della trasparenza, della luce, dello spazio".

Dopo la fondazione della nuova capitale da parte di Costantino I (306-337) nel 330, iniziò un complesso programma di costruzione incentrato a legare indissolubilmente la nuova città monumentale con il nome del suo fondatore. L'unico monumento superstite dell'epoca di Costantino è l'Ippodromo, monumentale arena per i giochi che aveva anche la funzione di permettere l'"epifania" dell'Imperatore, che si mostrava nella sua tribuna circondato dagli attributi del suo potere e veniva acclamato dal popolo in una visione che doveva sembrare divina. Con Teodosio II (408-450) vi fu un considerevole ampliamento della città, testimoniato da un vigoroso sviluppo urbano che indusse l'Imperatore a far costruire una nuova cinta muraria che da lui prese il nome. Ma fu solo in epoca giustinianea (VI secolo) che Costantinopoli acquisì quelle caratteristiche monumentali che ne fecero la più splendida città allora conosciuta, soppiantando definitivamente in ricchezza e popolazione i più ricchi e antichi centri urbani del Mediterraneo orientale (Alessandria, Antiochia) e la stessa Roma, la cui popolazione si era ridotta, a seguito delle invasioni barbariche e delle guerre gotiche a poche decine di migliaia di anime. Durante il regno di Giustiniano furono infatti edificati alcuni dei monumenti più famosi di Costantinopoli, come la magnifica Hagia Sophia, chiesa della Santa Sapienza, ricostruita in seguito a un incendio nelle forme monumentali date dalla maestosa cupola che irradia di una luce quasi ultraterrena il vastissimo spazio dell'aula a base centrale della basilica. Altre opere dell'epoca di Giustiniano sono la Santa Irene, la chiesa dei Santi Sergio e Bacco, la ricostruzione della chiesa dei Santi Apostoli. La capitale si affermò presto come centro di irradiazione artistica in tutti i campi, grazie al convergere di artisti provenienti da tutto l'impero, che poi riportavano nelle province le novità apprese. A causa delle distruzioni di opere per eventi bellici e naturali nei territori dell'Impero e in particolare nella stessa Costantinopoli, alcuni dei migliori documenti di arte bizantina si trovano in altre aree toccate dall'influenza della Seconda Roma quali l'Italia, la Grecia, i Balcani e, forse in minor misura, in Russia ed Ucraina. 

A Ravenna si sono conservati i migliori mosaici risalenti all'epoca di Giustiniano I (527-565), grazie al programma celebrativo iniziato dal vescovo Massimiano a partire dal 560 circa. Specialmente nella Basilica di San Vitale, a base ottagonale con sorprendenti analogie con la chiesa dei Santi Sergio e Bacco a Costantinopoli, tanto da aver fatto pensare alla mano dello stesso architetto, ha un interno sontuosamente decorato, con marmi policromi, stucchi, capitelli e pulvini scolpiti, ma soprattutto da celeberrimi mosaici, dove è celebrata l'epifania di Giustiniano e dell'Imperatrice Teodora, ciascuno accompagnato dai personaggi della corte, tutto lo sfarzo che richiedeva il loro status politico e religioso. L'arte bizantina si staccò dalla precedente arte paleocristiana per la maggiore monumentalità delle figure, che penalizzò però la resa dei volumi e dello spazio: i corpi sono assolutamente bidimensionali e stereotipati, e solo nei volti regali si nota uno sforzo verso il realismo, nonostante l'idealizzato ruolo semidivino sottolineato dalle aureole. Non esiste prospettiva spaziale, tanto che i vari personaggi sono su un unico piano, hanno gli orli delle vesti piatti e sembrano pestarsi i piedi l'un l'altro. Nonostante questo si rimane abbagliati dalla ricchezza delle vesti dei personaggi e dallo splendore dei loro attributi, immersi nel fondo oro che dà loro una consistenza ultraterrena. Dello stesso periodo è anche la serie di Martiri e Vergini nella chiesa di Sant'Apollinare Nuovo, dove sono ormai ben chiari gli elementi dell'arte bizantina:
  • la ripetitività dei gesti,
  • la preziosità degli abiti,
  • la mancanza di volume (con il conseguente appiattimento o bidimensionalità delle figure),
  • l'assoluta frontalità,
  • l'isocefalia,
  • la fissità degli sguardi e la ieraticità delle espressioni;
  • la quasi monocromia degli sfondi (in abbacinante oro),
  • l'impiego degli elementi vegetali a scopo puramente riempitivo e ornamentale,
  • la mancanza di un piano d'appoggio per le figure che, pertanto, appaiono sospese come fluttuanti nello spazio.
  • Chiusero la stagione dell'arte ravennate i mosaici di Sant'Apollinare in Classe, dove la rappresentazione è ormai dominata dal simbolismo più puro, ormai staccato completamente da qualsiasi esigenza naturalistica di stampo classico.
Durante l'epoca di Teodorico, dal 493 al 526, Roma visse un periodo di pace, governata dal cancelliere Cassiodoro, mentre il Re risiedeva a Ravenna. Mentre i monumenti cittadini subivano un inesorabile e irrimediabile degrado, tanto da alimentare un mito nostalgico dell'antica Roma (Teodorico stesso si fece mandare colonne e marmi dei palazzi imperiali). Di rilievo fu l'iniziativa di Papa Felice IV (526-530), che decise di rompere la stasi facendo edificare una chiesa nel centro del foro romano, la Chiesa dei Santi Cosma e Damiano, tramite il riutilizzo di parti di edifici preesistenti quali la sala delle udienze e la biblioteca del Tempio della Pace e il vestibolo di Massenzio. Si trattava di una rottura della stasi edilizia nel Foro durata più di due secoli e sanciva la continuità tra tradizione classica e cristianesimo in un luogo altamente simbolico.
Il grande mosaico del catino absidale rappresenta Cristo tra i Santi Cosma e Damiano e rispetto al mosaico di Santa Pudenziana (fine del IV, inizio del V secolo) mostra il passaggio a una rappresentazione più irreale, simbolica e soprannaturale, con il Cristo nell'atto di scendere da una cortina di nuvole infocate disposte in scorcio, che forma un rigido schema triangolare, come se stesse dirigendosi verso l'osservatore. La scena rappresentata è quella della Parusia, cioè la seconda venuta di Cristo profetizzata nell'Apocalisse di Giovanni. È un tema che molta influenza ebbe nella successiva decorazione musiva delle chiese romane specie durante la cosiddetta rinascenza carolingia dove il tema della parusia (e in generale la profezia apocalittica) fu ampiamente ripreso: si veda in particolare il ciclo musivo di Santa Prassede. In ogni caso il mosaico di Cosma e Damiano, coerentemente al fatto che a Roma la tradizione classica offriva ancora modelli su cui confrontarsi, mostra un senso plastico ed una caratterizzazione delle figure più sviluppati dei coevi mosaici bizantini. In questo senso è da notare anche il fatto che sono rappresentate anche le ombre proiettate dalle figure, particolare che scompare nei mosaici romani posteriori, mentre lo sfondo è blu cobalto non in oro. Dopo la conquista di Roma durante le guerre gotiche (552), la città toccò il minimo storico di abitanti (30.000), entrando nel periodo più buio della sua storia. Inizialmente i bizantini si preoccuparono di restaurare le opere pubbliche di necessità immediata, quali mura, acquedotti, e ponti legati alle vie consolari. La cristianizzazione del centro proseguì con l'apertura di chiese in edifici pubblici o la riconversione di templi come il Pantheon, consacrato nel 609, o il Tempio della Fortuna Virile, divenuto tra l'872 e l'882 chiesa di Santa Maria in Gradellis. Dall'aula di rappresentanza dei palazzi imperiali venne ricavata la chiesa di Santa Maria Antiqua, coperta da una frana nell'847 e riscoperta solo nel Novecento, con importante tracce di un ciclo di affreschi databile con notevole precisione (grazie ad iscrizione ed altre fonti) a quattro interventi diversi:
  • Il primo è quello della Madonna col bambino tra angeli nella nicchia centrale, dipinta subito dopo la conquista bizantina, quasi a sottolineare il cambio di destinazione del palazzo, che presenta la marcata frontalità "iconica" tipicamente bizantina.
  • Il secondo è quello dell'Annunciazione, di mano di un artista più raffinato e più attento agli effetti della luce, e risale al 565-578, quando l'aula venne destinata a cappella palatina.
  • Il terzo risale al 650 circa, con le tracce sulla parete palinsesto (Santi Basilio e Giovanni e altri frammenti).
  • Il quarto coincide con il pontificato del papa greco Giovanni VII (705-707), ed è rappresentato dall'immagine di San Gregorio Nazianzeno nell'abside ed altre scene nel presbiterio, con uno stile così vicino all'arte bizantina da aver fatto pensare ad artisti provenienti da Costantinopoli.
Se fino alla fine del V secolo l'arte romana (soprattutto paleocristiana) seguì uno sviluppo autonomo, costituendo semmai essa stessa un modello, per molti artisti bizantini, a partire dal VI secolo a seguito della liberazione giustinianea della città dal giogo gotico e ancor più nei due secoli successivi, convivranno nella Città eterna sia influssi strettamente romano-orientali, sia stimoli verso il classicismo. Se il mosaico del catino absidale di Sant'Agnese fuori le mura (625-638) presenta tre figure isolate, altamente simboliche e immateriali, circondate da un abbagliante fondo oro, gli affreschi della Cappella di Teodoto (un alto funzionario) presso Santa Maria Antiqua mostrano influenze dalla Siria e dalla Palestina, con un uso semplice del colore e del disegno, ma altamente efficace. Nello stesso arco di tempo si colloca la decorazione della cappella di San Venanzio (databile alla metà del settimo secolo) presso il Battistero Laterano. La cappella mostra richiami alla decorazione della Basilica di San Vitale a Ravenna, specie nella disposizione paratattica del corteo di santi, affine alla celeberrima rappresentazione della corte di Giustiniano. Altro elemento bizantino è la rappresentazione nel catino della Vergine orante del tipo iconografico della Aghiosoritissa. Ci restano di quel periodo anche una serie di icone sparse in varie chiese: una Madonna al Pantheon datata 609, o la Madonna Theotokòs di Santa Maria in Trastevere (datazione incerta tra il VI e l'VIII secolo) con una rigida frontalità e colori smaglianti messi in relazione con il primo strato di affreschi di Santa Maria Antiqua.

Il mosaico ricoprì un'importanza fondamentale all'interno dell'arte bizantina, come l'aveva avuta nel mondo romano-imperiale di espressione latina, poiché l'utilizzo di tessere vitree policrome risultò essere uno strumento ideale per soddisfare le esigenze espressive di carattere visivo con contenuti artistici. Senza nulla togliere ai centri musivi storici, come Roma, Ravenna, Tessalonica, Napoli, e Milano, indubbiamente a Costantinopoli dal VI secolo il mosaico assurse al ruolo di arte per eccellenza e proprio lì assunse particolari caratteristiche. Mirabile testimonianza della magnificenza dell'arte musiva bizantina del VI secolo si osserva nella Basilica di San Vitale a Ravenna.
Uno degli elementi preminenti del mosaico bizantino fu la lirica della luce, attraverso la quale gli artisti proiettarono le loro immagini fantasiose in una dimensione astratta e ultrasensibile, ancorandosi ad una realtà trascendente. Mentre lo spazio tese a dilatarsi, le figure umane o spirituali invece si convertirono in immagini immateriali, povere di plasticità e dinamismo bensì ricche di colori. Se nei primi secoli di sviluppo le finalità narrative furono preminenti, dopo il IX secolo invece le figurazioni rappresentarono concetti religiosi e dogmatici, correlati alla redenzione. La distribuzione tipica dei mosaici nei luoghi di culto consistette nella raffigurazione di Cristo Pantocratore attorniato dagli angeli nella cupola, qui vista come luogo celestiaco, mentre agli Evangelisti spettò un posto nei pennacchi, la Madonna nell'abside, in questo caso rappresentativo della mediazione fra la sfera celeste e quella terrena, infine nelle navate vennero elencati gli avvenimenti evangelici fondamentali.  In realtà il mosaico, arte imperiale per eccellenza, fu sostanzialmente una costante dell'arte bizantina e le (relativamente) molte testimonianze che ce ne restano ci dimostrano come questa tecnica decorativa (sia pure in modo non lineare) si dipanò lungo i secoli. In questo senso vanno senz'altro citati i cicli muvisiari veneziani e siciliani (avviati nel XII secolo) unanimemente attribuiti (almeno per le fasi iniziali) a maestranze direttamente chiamate da Costantinopoli. Tra gli altri mosaici sopravvissuti nel tempo si annoverano la Pietà presso Santa Sofia di Costantinopoli (XII secolo), il San Giorgio conservato al Louvre (XII secolo), quelli conservati e del periodo iconoclastico quelli di Santa Irene a Costantinopoli oltre alle raffigurazioni della moschea di Omar a Gerusalemme.[1] Infine, nel XIV secolo il mosaico bizantino conobbe un ultimo periodo di rifioritura e di innovazione ed infatti le sue caratteristiche evidenziarono colori più brillanti, atteggiamenti più umani e una delicata intimità. Risalgono a quest'epoca i mosaici della chiesa di San Salvatore in Chora, a Costantinopoli. Nella pittura ad affresco si riscontrano gli stessi caratteri ed elementi dell'arte musiva. La pittura bizantina trae origine dalla grande tradizione classico-ellenistica (anche attraverso gli apporti delle province mediorientali dell'Impero che tale tradizione rielaborano peculiarmente) , ma ne rivede e ne “corregge” gli elementi di fondo per fare fronte alle nuove esigenze religiose, spingendosi verso una intima spiritualità che predilige la prospettiva frontale a quella verticale, in grado di dilatare l'estensione del colore limitando le oscillazioni cromatiche; inoltre schematizza le forme e le figure donando fissità espressiva degli sguardi e intensificando la simbolicità della narrazione. Purtroppo nessuna opera risalente al primo periodo bizantino è sopravvissuta, mentre del VIII secolo è rimasto qualche affresco nelle catacombe romane e nella chiesa di San Demetrio a Salonicco. Di notevole valore storico-artistico sono gli affreschi delle chiese rupestri in Cappadocia, quelli di arte monastica del X-XI secolo in Anatolia, quelli greci (XI secolo) a Salonicco, a Kastoria e a Focide, così come le pitture nelle chiese di Bachkovo in Bulgaria e a Santa Sofia di Kiev risalenti al XII secolo. Certamente degni di menzione poi sono gli affreschi ciprioti, tra i quali spiccano quelli della piccola chiesa della Panagia Phorbiotissa ad Asinou (XII secolo). In Italia affreschi bizantini si trovano nelle chiese rupestri soprattutto nelle regioni meridionali (Puglia e Basilicata) ad opera di monaci dell'Asia Minore che fuggivano dall'iconoclastia a dalla successiva invasione dei turchi musulmani. Per quanto riguarda i due secoli seguenti, si impongono per raffinatezza e delicatezza cromatica gli affreschi nel territorio della ex Iugoslavia, massima testimonianza pervenutaci della cosiddetta rinascenza paleologa, probabilmente gravidi, secondo i più recenti indirizzi di ricerca, di conseguenze sullo sviluppo dell'arte italiana della seconda metà del XIII secolo. Si ricordano anche le opere del XIV secolo conservate nelle chiese cretesi, rumene ad Argeş, russe a Novgorod dove operò in questo periodo il grande pittore greco Teofane, maestro di Andrej Rublëv.
Oltre alla pittura monumentale, un capitolo di fondamentale importanza nell'ambito della pittura bizantina è costituito dalle icone: rappresentazioni di Gesù, della Vergine, di santi, delle Dodici Feste della Cristianità ortodossa. Le tecniche di produzione delle icone possono essere le più varie (encausto, tempera, mosaico, su tavola o su muro) e nel mondo bizantino ebbero (e tuttora hanno nel mondo ortodosso) un alto e complesso significato religioso, cui, fino alla caduta dell'Impero si associava anche un significato civile: alcune icone assursero a palladio dello stato bizantino. Dal punto di vista strettamente artistico ebbero grandi implicazioni su molte aree soggette all'influenza politica e culturale dell'Impero di Bisanzio, e ciò anche per la notevole facilità di spostamento di questi manufatti (si è già ricordata la significativa presenza di antiche icone a Roma). La stessa ripresa della pittura su tavola in ambito occidentale (utilizzata nel modo antico, ma che scompare nell'alto Medioevo d'Occidente a vantaggio della pittura murale e della miniatura), pittura su tavola che tanta parte avrà nell'arte europea, ed italiana in specie, dal XII secolo in avanti, è debitrice al cosante esempio dell'icona. Secondo alcune prospettazioni (O. Demus) produzioni fondamentali dell'arte occidentale, quali la pala d'altare e poi il polittico, altro non sono che adattamenti delle icone alla diversa struttura delle chiese d'Occidente (spesso prive di iconostasi) e alla diversa liturgia. Una delle più straordinarie raccolte di icone (molte delle quali di paternità direttamente costantinopolitana) è conservata oggi presso il Monastero di Santa Caterina sul Sinai, nel territorio dell'attuale Egitto. Qui si conservano icone antichissime come il celeberrimo Cristo Pantocratore, risalente al VI secolo. Di pregevole qualità sono anche le miniature dei manoscritti. Le miniature più antiche rivelano tendenze orientaleggianti ed elleniche, mentre le più recenti evidenziano una tendenza cattedratica legata agli scriptoria di Costantinopoli oltre ad una popolare manifestata dalla ricchezza ornamentale. I manoscritti più diffusi sono i salteri, come quello Khludov di Mosca e di San Giovanni a Costantinopoli; di pregevole fattura sono anche gli omeliari, come i Coislin 79 descriventi le omelie di San Giovanni Crisostomo, gli Ottateuchi che comprendono i primi 8 libri della Bibbia, gli Evangeliari e i Menologi che illustrano le vite dei Santi.  Se la pittura e l'arte del mosaico ebbero un ruolo centrale nell'arte bizantina, forse lo stesso non può dirsi della scultura lapidea. In particolare, a differenza di quanto non si osserva in occidente, la scultura non si emancipò dalla funzione decorativa architettonica, rarissime infatti sono le sculture a tutto tondo. Forse in questo fenomeno giocò un ruolo la diffidenza della cultura religiosa orientale verso la raffigurazione tridimensionale del sacro, associata al paganesimo a causa del grande numero di statue classiche accumulatosi a Costantinopoli. E del resto il ponderso corpus teologale sviluppato sulla liceità e sul valore della rappresentazione sacra - elaborato dalle correnti iconodule nella disputa contro l'iconoclasmo - si occupa essenzialmente della produzione pittorica. Ciò non di meno anche in campo scultoreo i risultati qualitativi raggiunti furono molto elevati. Una testimonianza molto interessante di scultura lapidea bizantina osservabile in Italia si trova a Pisa. Qui infatti una "taglia" bizantina (si ipotizza direttamente proveniente da Costantinopoli) istoriò (inizi XIII secolo) il portale maggiore del battistero. Tutto ciò non significa però che le arti plastiche nel loro complesso fossero scarsamente coltivate. Se la scultura ebbe un ruolo minore (quanto meno rispetto ad altri campi) risultati altissimi, invece, vennero raggiunti nelle arti suntuarie, cioè nella lavorazione di materiali preziosi: metalli, avorio, pietre e cristalli. Le lavorazioni in metallo (reliquiari, arredi sacri) inoltre implicavano il frequente utilizzo di decorazioni in smalto, altra tecnica in cui l'arte bizantina raggiunse livelli qualitativi eccelsi. Celeberrime poi sono molte opere in avorio (come il cosiddetto Avorio Barberini, tra i più noti avori bizantini). Fu proprio nella lavorazione dell'avorio che la scultura bizantina raggiunse le sue vette. Tra le più alte lavorazioni bizantine in avorio che abbiamo in Italia si annovera la cattedra vescovile di Massimiano, a Ravenna, risalente al VI secolo.

Fonte: Wikipedia

ARTE MEDIEVALE




ARTE BARBARICA

Il termine arte barbara, o barbarica, individua il complesso di espressioni artistiche fiorite nel periodo delle invasioni barbariche, , tra la tarda antichità e l'Alto Medioevo (V-IX secolo), in una zona geografica estesa dal Danubio alla penisola iberica, dall'Africa settentrionale alla Scandinavia e alle isole britanniche. Documentata da numerosi monumenti in Italia, Germania, Francia e Spagna, quest'arte è derivata da quella propria dei nomadi asiatici, come dimostrano le scoperte archeologiche avvenute in Siberia, in Russia ed in altre regioni di quel continente. Quindi è l'arte ornamentale dell'oggetto facilmente trasportabile, adatto alle esigenze di chi pratica una vita più nomade che stanziale. L'architettura, la scultura e la pittura prodotta dai vari regni barbarici non appartenne in origine tanto ai barbari quanto alle competenze, alle conoscenze e alla storia dei popoli sottomessi, anche se alcuni elementi e gusti tipicamente barbarici si introdussero nelle arti dei popoli conquistati. Nonostante questo, i barbari non mancarono di produrre una loro architettura e una loro scultura: la prima fu caratterizzata da costruzioni in legno che non sopravvissero nel tempo, ma delle quali resta una traccia descrittiva nei poemi che valorizzarono i santuari scandinavi di Uppsala, i padiglioni reali germanici, le strutture religiose piramidali norvegesi e ucraine. La scultura, diffusa soprattutto in Scandinavia, produsse stele funebri di pietra raffiguranti le saghe nordiche, navi in legno impreziosite da teste di mostri e da fasce ornamentali che ispireranno l'attività artistica barbarica più emblematica: l'oreficeria. L'influsso esercitato dall'arte barbarica sulle varie manifestazioni artistiche europee dei secoli successivi è notevole. Motivo caratteristico è la deformazione decorativa degli elementi naturali, molto stilizzati, a volte ridotti a puro elemento geometrico ed applicata a sculture, gioielli, armi, mosaici. Ampie tracce dell'arte dei popoli germanici si ritrovano nei corredi funebri. Infatti questi tenevano molto all'abbigliamento ed oggi la loro arte è documentata da fibule (fibbie) provenienti da Nocera Umbra e Gualdo Tadino. Vi si distinguono decorazioni di animali stilizzati, ripetuti simmetricamente e scomposti. Questa concezione artistica è totalmente astratta, non riconducibile a nulla che avesse un passato in Italia. Viene ricompresa in questa suddivisione della storia dell'arte anche l'espressione artistica che si sviluppò in Irlanda, territorio rimasto all'esterno dell'impero romano e non soggetto alle invasioni barbariche. Evento determinante fu la cristianizzazione ad opera di san Patrizio, a cui seguì lo sviluppo di una caratteristica forma di monachesimo. I monasteri irlandesi furono al centro della cosiddetta arte insulare e si specializzarono nella miniatura, producendo decorazioni caratterizzate dai soliti motivi geometrico-astratti di stilizzazione delle forme naturali. Fu in particolare in oreficeria che vennero raggiunti i migliori risultati artistici, con notevoli apporti originali. Le principali produzioni riguardano fibule, diademi, else, fibbie di cinturoni. Un primo stile, detto policromo, risale agli Unni e trovava dei precedenti nelle popolazioni stanziate sul Mar Nero. Si contraddistingue dall'uso di pietre levigate (spesso rosse come granati e almandini), incastonate nell'oro, sia isolate, sia a distanze ravvicinate, ricoprendo quasi l'intera superficie con sottili strisce di metallo prezioso tra un castone e l'altro. Nella seconda metà del V secolo questa tecnica raggiunse un apice all'epoca di Childerico e più o meno contemporaneamente si diffuse anche in Italia e Spagna tramite i goti. In Spagna le forme usate furono meno elaborate e meno ricche. Questa tecnica, oltre all'ampia diffusione, ebbe una vita molto lunga, essendo usata ancora dai Franchi e dai Longobardi nel VII secolo. Un secondo stile è quello animalistico, che venne portato ad alti livelli nel bacino del Mare del Nord e nella Scandinavia, prima di diffondersi in tutta Europa. I manufatti tipici in questo stile sono fibbie e guarnizioni varie ed hanno analogia con produzioni simili in province romane quali la Britannia e la Pannonia. In queste opere le figure geometriche invadono tutta la superficie ed a seconda dei risultati si hanno due, o tre per alcuni storici dell'arte, sottodivisioni:

Lo stile animalistico I: caratterizzato da una disposizione degli elementi scomposta ed asimmetrica; gli elementi zoomorfi sono essenziali ma realistici, spesso presentano elementi umani e i temi geometrici sono regolari.

Lo stile animalistico II: sviluppatosi successivamente su influsso dell'arte bizantina, presenta maggiore regolarità e fluidità del disegno; gli elementi zoomorfi diventano più stilizzati, fino a venire assorbiti in inestricabili motivi a nastro.

Lo stile animalistico III: caratteristico dei paesi scandinavi dal 700 in poi, che riprende alcuni elementi del primo stile e tende a risaltare le forme di animali aggrovigliate, secondo i codici decorativi irlandesi.

Secondo l'opinione di molti critici d'arte, le varie fasi stilistiche nascono anche dall'esigenza di proteggere e mascherare i miti pagani dalla diffusione del Cristianesimo. Oltre che in oreficeria motivi simili vennero sviluppati nella scultura in pietra e nei manoscritti miniati dei monasteri, soprattutto nelle pagine tappeto prodotte nel VII secolo nelle isole britanniche.

Fonte: Wikipedia

SAN TOMMASO BECKET

Tommaso Becket (Londra, 21 dicembre 1118 – Canterbury, 29 dicembre 1170) è stato un arcivescovo cattolico e santo inglese. Lord Cancelliere del Regno d'Inghilterra dal 1154, venne eletto arcivescovo di Canterbury e primate d'Inghilterra nel 1162: ostile ai propositi di Enrico II di ridimensionamento dei privilegi ecclesiastici, venne ucciso (forse per ordine del sovrano) nel 1170. Nel febbraio 1173 venne proclamato santo e martire da papa Alessandro III durante un soggiorno dello stesso a Segni nei pressi di Anagni. Nato a Londra dal mercante Gilbert Becket di Thierville e Matilda di Mondeville, stabilitisi in Inghilterra sotto Guglielmo il Conquistatore, venne avviato sin dall'infanzia alla carriera ecclesiastica: dopo la prima formazione ricevuta presso l'abbazia di Merton, approfondì gli studi a Parigi e, tornato in patria, entrò a servizio dell'arcivescovo di Canterbury Teobaldo di Bec. eobaldo, riconosciutene le capacità, ne fece uno dei suoi più stretti collaboratori: lo inviò ad approfondire lo studio del diritto canonico a Bologna e ad Auxerre; Tommaso accompagnò l'arcivescovo al concilio tenutosi a Reims nel 1148 e, nel 1154, venne ordinato diacono e nominato prevosto di Beverley ed Arcidiacono della Cattedrale.

CASTELPTETRAIO, UNA CENA MEDIEVALE PER LE "NOTTI DELL'ARCHEOLOGIA"

Castelpetraio, una cena medievale per le Notti dell'Archeologia. Il 26 luglio visita ai camminamenti del Castello e poi alla scoperta delle cantine | Il Medioevo torna ancora a Monteriggioni, dopo lo straordinario successo della Festa medievale del 2012 va in scena la cena-spettacolo a Castelpetraio nell'ambito delle Notti dell'Archeologia. La manifestazione toscana, per tutto luglio, farà riscoprire le tradizioni artistiche, artigiane, produttive e alimentari, comprese le iniziative di degustazione. A Monteriggioni le Notti dell'Archeologia sono previste per giovedì 26 luglio e inizieranno dalla visita alla cinta muraria del castello, per proseguire con la visita delle cantine di Castelpietraio, terminando con una cena-spettacolo organizzata dall'Associazione Agresto, i protagonisti della Festa Medievale. L'evento patrocinato da Regione Toscana e Comune di Monteriggioni, è previsto quindi per il 26 luglio con inizio alle 17.30 per la visita guidata sui camminamenti del Castello di Monteriggioni. Alle 18.30, visita guidata alle cantine dell'Azienda Agraria di Castelpietraio (Strove), con assaggi di prodotti dell'azienda e di altri produttori locali. A seguire: cena medievale organizzata dall'Associazione Agresto. Su richiesta è possibile effettuare la visita in lingua inglese. 
La partecipazione è gratuita, ad esclusione della cena per la quale la prenotazione è obbligatoria. Per info e prenotazioni: Ufficio turistico di Monteriggioni, tel. 0577 304834, e-mail: info@monteriggioniturismo.it.

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